Giuseppe Gioachino Belli

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Le vorpe La mojje der giucatore
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832

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UN’ANTRA USANZA.

     Povero sor Canonico! è schiattato:
Se n’agnéde[1] a l’entrà dde primavera.
Come ch’ebbe er bijjetto de prelato,
Je pijjò un accidente, e bbona sera.

     Li creditori, appena fu ccrepato,
J’abbiffòrno[2] la casa e cquanto sc’era;
Perché llui pe’ spuntà cquer prelatato,
Ce se spese, a ddì ppoco, una miggnera.[3]

     Bbono ch’a le nipote ebbe cuscenza
D’ottenejje dar Papa sto conforto
De li scinqu’anni de sopravvivenza.[4]

     Sibbè in cuesto er Capitolo scià storto,[5]
Discenno ch’è una granne impertinenza
D’eguajjà un prete vivo a un prete morto.

Roma, 5 dicembre 1832.

Note

  1. Se ne andò.
  2. [Gli biffarono: gli misero i sigilli.]
  3. Miniera.
  4. È uso non infrequente a Roma, sì nel civile, come, e anche di più, nell’ecclesiastico, di accordare agli stipendiati alcuni anni di onorari dopo la lor morte, che per lo più servono a pagare i vizi della vita.
  5. Ci ha storto: dal verbo storcere, cioè: “torcere la bocca, in segno di disapprovazione o disgusto.„