Trattato dei governi/Libro quarto/XVII

Libro quarto - Capitolo XVII: Come si debbino allevare i fanciullini

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto - Capitolo XVII: Come si debbino allevare i fanciullini
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Nati che sono li figliuoli, grande importanza alla buona disposizione dei loro corpi è da stimare che sia il nutrimento, di che natura e’ si faccia loro. E tale cosa apparisce per via degli altri animali a chi lo considera, e delle altre genti che in tale cosa usano diligenza per fargli atti agli esercizî militari. Chè invero la natura del latte in abbondanza è molto propia per fare i corpi robusti, quando egli è dato senza vino; acciocchè e’ non si caschi in infermità.

Ancora sono utili tutti que’ piccoli moti che si possono fare in simile età, e perchè le loro membrolina non si scontorchino è buono, e ancora oggi appresso d’alcune genti s’usano certi instrumenti da fasciargli, i quali mantengono loro la persona diritta. È buono ancora, subito che e’ sono nati e piccolini, assuefargli al patir freddo, e tale cosa è utilissima e alla sanità e alle azioni militari. Onde è in costume appresso di molti barbari di tuffargli nel fiume gelato subito che e’ sono nati, e certi gli coprono con vestimenti molto sottili, siccome fanno li Franciosi.

Perchè egli è meglio cominciare subito ad avvezzargli ad ogni cosa, che è possibile d’avvezzargli, e farlo a poco a poco; essendo la disposizione fanciullesca atta per natura ad avvezzarsi al freddo per la caldezza che è in lei. Nella prima età fanciullesca adunche è bene usare una tale diligenza, o simile a questa. Ma nella età, che seguita infino ai cinque anni, non sta bene esercitargli in alcuna disciplina nè in fatiche necessarie; acciocchè e’ non impediscono l’augumento, anzi debbono esercitarsi infino a tanto che egli avvezzino la persona a non stare pigra. La quale persona debba essere esercitata non tanto con altri intrattenimenti, quanto ancora con certi giuocolini; i quali non debbino però essere indegni d’uomini liberi, nè troppo faticosi, nè troppo rimessi.

Sia ancora a cuore alli magistrati detti instruttori dei fanciugli, quai favole e ragionamenti debbino essere loro messi innanzi, perchè tutte simili cose debbono essere di maniera ch’elle possino essere loro ponte alle azioni, che di poi hanno a farsi. Onde i loro giuochi e i loro spassi per lo più debbono essere imitazioni di cose gravi, che abbino a venire da poi.

E quegli che per legge vietano che gli fanciugli debbino essere proibiti dal pianto non fanno ciò rettamente; perchè tai moti giovano allo augumento, essendo quello in certo modo esercizio della persona: imperocchè il rattenimento del fiato genera forza in chi s’affatica. La quale cosa accade ai fanciugli che si concitano nel pianto. Debbono ancora gl’instruttori d’essi considerare sì ogni altra loro educazione, e sì avvertire, che essi non conversino coi servi, imperocchè in tale età, e insino a sette anni conviene, che e’ si nutrischino in casa.

Onde fa di mestieri, che tali sian rimossi dal non vedere, e dal non udire cose che non sieno da liberi uomini. In somma si debbe della città scacciare al pari d’ogni altro vizio quello del parlare disonesto, imperocchè dal dirsi comunche uno vuole le disonestà, ne conseguita appresso il farle. E ciò soprattutto si debbe avvertire nei giovani, che e’ non odino, o dichino cosa alcuna simile; e se pure alcuno d’essi contraffacesse o nelle parole, o nei fatti ad alcuna simile cosa, in tale caso chi è libero, se egli non è ancora stato chiamato con gli altri ai conviti, sia proibito di tale onore, e di più sia battuto nella persona; e chi è maggiore per età sia notato d’infamia servile, per avere commesso un peccato da servi.

Ma avendo noi vietato, che e’ non possa dire cosa alcuna brutta, è manifesto che noi vietiamo ancora, che e’ non si possa vedere dipinture, nè spettacoli disonesti. Faccino pertanto diligenza li magistrati, che nella città non sia nè statua, nè dipintura, che cose brutte v’appresenti; eccetto che in certi Dii, ai quali la legge concede la disonestà; appresso dei quali permetta la legge che e’ possino sacrificando onorargli, quando e’ sieno uomini fatti per loro, pe’ figliuoli, e per le moglie.

Debbesi ancora provvedere per legge, che li giovani non possino andare a vedere recitare poesie di Iambi, nè di comedie, prima ch’e’ sieno venuti in età, nella quale e’ possino essere invitati insieme con gli altri a cenare; e che la buona instruzione che egli hanno, gli possa conservare dalla ebrietà, e da tutti simili inganni.

Ora adunche ho io voluto questa materia scorrerla alquanto, ma un’altra volta ritornatoci su l’andrò io me’ considerando, se e’ ci è cosa da dubitare, o nò, e come e’ ci s’abbia a muovere su dubbî; che ora n’ho io fatto menzione, quanto egli è stato di necessità.

Nè forse qui sentì una tal cosa male Teodoro, istrione di tragedie, il quale non volse mai, che nessuno istrione parlasse innanzi a lui; nè ancora di quei, che non erano eccellenti, come se li spettatori si pigliassino nelli primi affronti. Chè una simile cosa accade ancora nelle familiarità, e nelle conversazioni degli uomini, e nelle altre cose tutte; cioè che noi amiamo maggiormente le prime che ci occorrono, e sieno quali elle si vogliono. Perciò bisogna allontanare da’ giovani tutte le cattive usanze, e massimamente quelle che hanno in loro o vizio, o disonestà.

Finiti li cinque anni, in quei due infino a sette si debbe cominciare avvezzargli ad imparare qualcosa di quelle che e’ sono capaci. Due sono l’età nelle quali debbe essere fatta la erudizione, una dai sette anni infino alla pube; e di nuovo dalla pube al ventuno anno. Chè chi divide l’età col settenario numero sempre non pare che faccia bene, anzi bisogna seguitare in tale distinzione la natura; conciossiachè ogni arte, e ogni instruzione voglia riempire quello che le manca.

È da vedere adunche innanzi ad ogni altra cosa, se ordine alcuno è da fare intorno ai fanciugli; e di poi se gli è meglio, che e’ sia fatta dal publico, o dal privato, come s’usa oggidì nella più parte delle città; e nel terzo luogo è da vedere di che natura e’ debba essere.


FINE DEL LIBRO QUARTO.