Trattato dei governi/Libro quarto/XIII

Libro quarto - Capitolo XIII: Che cose abbino ad essere in un buon governo

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto - Capitolo XIII: Che cose abbino ad essere in un buon governo
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Ma dicasi da me della republica stessa, di che natura e qualmente ella debba essere composta, in quella città, che abbia ad esser felice, e che abbia a reggersi con buon governo. E perchè due sono le cose, in che consiste il bene a ogni uomo; delle quali una n’è proporsi buon segno, e buon fine, e l’altra nel ritrovare, buoni mezzi da conseguirlo. Perchè queste due cose possono e concordare, e discordare l’una con l’altra; perchè il segno alcuna volta proposto è buono, ma conseguirlo si fa l’errore. E all’incontro avviene, che tutti i mezzi s’hanno buoni, ma il fine, che un s’è proposto è cattivo. E alcuna volta sta male l’una parte e l’altra, sicome interviene ancora nella medicina; che alcuna volta non vi si fa buon giudizio, come debba essere fatto il corpo sano, ne le medicine, e l’operazione del medico alcuna volta si fanno bene per il fine, che, s’è presupposto. Però bisogna nell’arti, e nelle scienze, che queste due cose vi stieno ottimamente, il fino dico, e li mezzi da condurvisi.

Che il fine, adunche sia il ben vivere, e la felicità, è cosa manifestissima. Ma certi è, che posson ciò conseguire, e certi no, impediti dalla fortuna, o dalla natura: perchè e’ non si può conseguirla senza aver qualche ajuto. E quanto uno è men disposto, ha ei di manco ajuti bisogno; e di più, quanto egli è disposto al contrario. Certi altri è, che non subito cercano di conseguirla, sebbene e’ possono. Ma perchè l’intento nostro è vedere qual sia l’ottima republica, e tale è quella, mediante la quale la città ha buon governo e governo buono è quello, mediante il quale ella può conseguire massimamente la felicità, però non bisogna ignorare che cosa sia la felicità.

Di lei ho io parlato nell’Etica, e se alcuno giovamento ci possono arrecare quei discorsi; che ella, cioè, è uno atto, e uno uso di virtù perfetta, e che tal virtù non è per supposizione, ma è assolutamente. Io chiamo per supposizione, le cose necessarie, e per assolutamente, l’oneste. Come è verbigrazia intorno alle azioni giuste sono i supplizî, e le punizioni delle cattività, perchè elle precedono da virtù, contuttociò elle sono necessarie, e hanno l’onesto per necessità, conciossiachè e’ sarebbe più eligibile il non aversi mai bisogno di loro, nè dall’uomo, nè dalla città. Ma l’azioni, che tendono agli onori, e alle facoltà, sono veramente azioni oneste, perchè l’una parte di queste azioni è una elezione di qualche male, e l’altra è eletta per il contrario, perchè ella ci è preparatrice di bene.

Può bene essere, che l’uomo virtuoso sia costantemente quando egli è constituito in povertà, in malattia, e in simile altra cattiva fortuna, ma e’ non è per questo che la felicità non alberghi negli abiti contrarî a questi. E questa materia ho io determinato nell’Etica, cioè che il virtuoso uomo è quegli, al quale mediante la virtù sono beni li semplicemente chiamati beni. Onde è manifesto, che l’uso di tali per necessità gli sarà virtuoso e onesto assolutamente. E di qui è che il vulgo si stima, che li beni esterni sieno cagione della felicità, non altrimenti che se del sonare la lira bene dicesse uno essere di ciò piuttosto cagione la lira, che non fosse l’arte.

È adunche chiarito per li detti nostri, che certe delle cose dette si debbon presupporre, e che certe ne debbe preparare il datore di legge. Onde vorrei io, secondo il mio desiderio parlando, constituire una città in quelle cose, di che fosse padrona la fortuna. Chè invero la fortuna si mette per padrona. Ma e’ non è già uffizio di fortuna, che la città sia virtuosa, ma di scienza, e d’elezione. E virtuosa è quella città che ha virtuosi li cittadini che partecipano del governo: e noi vogliamo che nella nostra tutti li cittadini vi partecipino, e però è da vedere in che modo l’uomo si faccia virtuoso, perchè se tutti possono essere virtuosi, e’ non è più eligibile di questo che ciascuno sia virtuoso, imperocchè nel modo detto imprima conseguita, che ciascuno, e che tutti sieno virtuosi.

Ma gli uomini si fanno buoni, e virtuosi mediante tre cose, le quali sono: natura, costume e ragione; conciossiachè prima bisogni nascere, come è dire uomo, e non un altro animale bruto, e medesimamente bisogna avere un corpo e un’anima bene disposta. E in certi si vede, che l’essere bene per natura creati non fa loro giovamento alcuno, perchè li costumi li fan rimutare, conciossiachè certi da natura sieno di tale sorte, che il costume gli possa volgere al meglio, e al peggio.

Gli altri bruti adunche vivono più secondo la natura, e certi pochi ancora secondo il costume. L’uomo di più vive secondo la ragione, perchè egli solo l’ha, onde bisogna che tai cose sieno concordi. Che e’ si vede, ch’egli opera molte cose fuori del costume, e della natura, quando egli è persuaso dalla ragione, che quelle cose sieno migliori. Innanzi ne dichiarai io, come dovevono essere fatti per natura quei cittadini, che erano atti facilmente a ubbidire al legislatore. Il resto s’appartiene alla erudizione. E l’erudizione si fa parte con la consuetudine, e parte con la udizione.