Trattato dei governi/Libro ottavo/X
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(Politica) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
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Restaci a discorrere della monarchia, quai sono le cagioni che sono atte a distruggerla, e quai sieno quelle che sono atte a preservarla, e quasi gli accidenti medesimi che nascono intorno agli altri stati, nascono ancora intorno al regno e alla tirannide. Perchè il regno è un governo, che ha natura di stato ottimate, e la tirannide è un composto del violento stato dei pochi potenti e dello stato popolare. Laonde tale imperio è dannosissimo a chi vive sotto di lui come quello che è di due cattivi stati composto, e che ritiene in sè le transgressioni e li peccati dell’uno stato e dell’altro.
E la generazione di lei e del regno subito apparisce esser fatta dai contrari all’una e all’altra; imperocchè il regno è stato generato dagli uomini buoni e giusti per fine d’essere difesi da lui contra l’ingiurie del popolo, e re è constituito uno di loro che sia sopra gli altri per bontà o per azioni da bontà derivanti o per avanzare gli altri di stirpe simile. Ma la tirannide è creata dal popolo e dalla plebe contra li nobili, acciocchè il popolo dalla nobiltà non possa essere offeso.
E ciò ch’io dico è manifesto per gli eventi, che occorrono. Chè la più parte de’ tiranni sono stati (per via di dire) quasi tutti popolari capi, i quali si sono acquistati fede appresso il popolo per aver dato calunnie alla nobiltà. E le tirannidi non si sono fatte altrimenti, dappoichè le città sono state popolate, ma innanzi si facevono elleno di re, che trapassavano gli ordini antichi della patria, e che volevano comandare più signorilmente. Certe altre ancora sì facevono di cittadini eletti alli magistrati supremi e di autorità amplissima, conciossiachè li popoli anticamente dessino gli uffizî, e le cure per lungo tempo. Certe ancora se ne facevano dagli stati de’ pochi potenti, i quali proponevono uno alli magistrati supremi.
E in tutti questi simili modi si potette constituire la tirannide agevolmente per la potenza, che tali avevono, pure ch’e’ volessino constituirla per via d’essere re o per via degli onori loro conceduti, siccome fece Fidone in Argo. E altri tiranni la constituirono essendo essi re. E altri ferono il simile in Ionia e Falari la condusse per via degli onori stati datili. E Panezio appresso dei Leontini: e Cisselo in Corinto; e Pisistrato in Atene; e Dionisio in Siracusa. E altri nel medesimo modo vi pervennero per essere stati innanzi capi di popolo.
Come io ho detto adunche il governo regio ha dello ottimate, perchè tale grado si dà per via di degnità, cioè o per via di virtù propia di chi è fatto re o de’ suoi antichi o per benefizî fatti a quei popoli, o per queste cose, e ancora per la potenza del fargli. Chè tutti costoro, avendo fatto o benefizî, o potendo assai beneficare le città e le provincie, conseguirono un tale onore; altri cioè per avere liberati i popoli nelle guerre da servitù, come Codro, e altri per avergli tratti di servitù, come Ciro, o per avere acquistato, o essere per dovere acquistare provincie, siccome i re di Sparta, e dei Macedoni, e dei Molossi.
E l’uffizio del re è guardare, che chi ha facultà non sia rubato, e che il popolo non sia offeso dai ricchi. Ma la tirannide (come io ho detto innanzi) non riguarda a nessuna utilità publica, anzi solo al comodo propio. E il fine tirannico è il piacevole. E il fine regio è l’onesto. Onde infra le cose, che l’uno e l’altro governo ha più, la tirannide ha i danari, e il regno ha piuttosto gli onori. Oltra di questo del re è la guardia civile, e del tiranno la composta dei soldati forestieri.
Ed è manifestissimo, che la tirannide ha i vizî dello stato popolare e di quello dei pochi potenti, perchè dallo stato de’ pochi ella piglia il fine, che v’è la ricchezza, che con tal modo solo può ella mantenere la sicurtà sua, e vivere nelle delizie e non prestare fede alcuna ai suoi cittadini. Onde che dalli tiranni si levi l’arme ai cittadini, e facciasi male al popolo, e caccinsi via li cittadini e lievinsi dalle guardie della città, è vizio comune dell’uno stato, e dell’altro: cioè della tirannide, e di quello dei pochi potenti. E dallo stato popolare piglia ella il far contra la nobiltà, e il distruggerla in occulto, e in palese, e il farla ribella, come s’ella fusse sua avversaria e nimica del suo principato. Imperocchè da’ nobili si fanno le congiure, parte per volere essi governare, e parte per non voler servire. Onde il consiglio di Periandro dato a Trasibulo fu il tagliamento delle sopravanzanti spighe, come s’ei bisognasse sempre nella tirannide tor via quei cittadini, che fussino eccellenti.
Come io ho detto adunche quasi le medesime cagioni è da stimarsi che distruggino le monarchie, che quelle, che gli altri stati fanno mutare. Imperocchè la più parte di quei che vivono sotto le monarchie, le vanno ad assaltare per cagione della ingiustizia de’ monarchi o del timore che essi n’hanno, o del dispregio inverso d’essi monarchi, e quanto alla ingiustizia massimamente per cagione d’essere stati svillaneggiati. E alcuna volta si fa impeto contra di loro, per essere a quei tali stato tolto la roba. Li fini ancora, perchè si congiura contra di tali, sono li medesimi nella tirannide, che in quegli altri stati, e nel regno ancora: perchè nei monarchi abbonda e ricchezza e onore; le quai due cose sono da ogn’uomo desiderate.
Delle congiure, alcune se ne fanno contro alla persona del principe, e alcune contra il principato. Nelle congiure cagionate dalla contumelia si fa l’assalto contra la persona. E la contumelia essendo di più sorte, ciascuna d’esse è cagione di concitare ira, e la più parte degli adirati assaltano per vendicarsi, e non per essere da più degli assaltati. Siccome fu la congiura fatta contra li figliuoli di Pisistrato, per avere essi vituperata la sorella d’Armodio, e per aver voluto fare il medesimo a lui; chè Armodio diventò loro nimico per cagione della sorella; e Aristogitone per cagione d’Armodio. Congiurarono ancora contra Periandro tiranno d’Ambracia quei congiurati, per avere egli motteggiando domandato un giovine, che con lui insieme cenava, quando ormai ei doveva di lui partorire.
E la congiura di Pausania contra Filippo fu per avere negletto Filippo lo sforzamento fattogli da Attalo. E la fatta contra Aminta il picciolo da Dereda1, fu per essersi Aminta vantato d’averlo svergognato. E quella di Evagora da Cipro fatta contra l’Eunuco, fu per avere l’Eunuco toltogli un suo figliuolo, onde egli l’ammazzò, come svillaneggiato da lui. Molte ancora se ne fanno, per avere alcuni d’essi monarchi svergognato qualcuno nella persona, come fu quella di Crateo contro ad Archelao, che sempre ebbe egli poi a noja la sua conversazione, onde ogni picciola occasione gli fu poi bastante. Ovvero fu, perchè, avendogli Archelao promesso una delle sue figliuole, e’ non gliene dette mai; ma, essendo egli occupato nella guerra contra Sirra, e Arrabio2, dette la prima al re di Elimeia3, e l’ultima al figliuolo4 d’Aminta, stimando per tale verso, che egli non dovesse contendere con seco, nè ancora il figliuolo di Cleopatra. Ma il principio della alienazione nacque, che egli ebbe per male d’essere in grazia sua per cagione di amor libidinoso.
Congiurò ancora insieme con lui Ellanocrate da Larissa pel medesimo conto, di cui essendosi egli goduto l’età giovinile non gli attenne quello, che ei li aveva impromesso di rimetterlo in stato, onde e’ pensò, che ei se l’avesse usato per dispregiarlo, e non per amarlo. Ma Parone, e Eraelide da Ennio5 ammazzarono Coti, per fare vendetta di loro padre. E Adama6 si ribellò da Coti per essere stato castrato da lui nel tempo, che egli era fanciullo, e tenneselo ad ingiuria.
Molti ancora si sono adirati con quei da chi ei sono stati battuti, e parte di questi gli hanno ammazzati, e parte come ingiuriati hanno tentato di farlo, e contra di chi è stato in magistrato, e contra di chi è stato in potenza regale, siccome in Metellino fe’ Megacle pei Pentalidi, che gli circuivono e che gli battevono con le mazze ferrate, i quali avendogli egli assaltati con li suoi amici ammazzò. E dopo questo Smerde ammazzò Pendilo7 essendo stato da lui battuto, e dalla sua moglie strascinato. E Decannico fu capo della congiura contra ad Archelao, avendo egli primo incitato li congiurati, e di tale ira fu cagione, che Archelao lo aveva dato a Euripide poeta a frustare. E Euripide gli volea male, perchè egli l’avea tratteggiato non so che nel mal puzzo del fiato. E altri assai per simili cagioni parte furono ammazzati, e parte furono tentati d’essere morti.
Questo simile effetto partorisce la paura, la quale è una delle cagioni, come negli altri stati, parimente nelle monarchie della loro rovina, siccome fece Artabane a Serse, temendo la calunnia datagli per conto di Dario, cioè che ei l’aveva appiccato senza che Serse gliene avesse comandato, ma pensò, che e’ ne li avesse a perdonare, come s’e’ non si fusse ricordato de’ suoi comandamenti, per essergli stati fatti mentre che e’ cenava. E le rovine, che nascono dal dispregio dei principi, sono come fu quella di Sardanapalo, per essere stato veduto filare con le concubine, se egli è vero quello che di lui si dice. E quando in lui non fusse vero, in chiunche gli avvenisse si potrebbe verificare il detto di lui. E Dione congiurò contra Dionisio ultimo per non ne tenere alcun conto, veggendo che li cittadini parimente stavano disposti verso di lui, e che egli era sempre ebbro.
Congiurarono ancora gli amici del principe contra di lui, quando egli è da essere spregiato, e per essere tali in fede lo dispregiano, come se il fatto dovesse stare occulto, e pensando di poter tenere l’imperio congiurano in certo modo contra di lui, perchè e’ lo disprezzano, e come quei che possono fare e che dispregiano il pericolo, tentano agevolmente l’impresa, siccome fanno li capi degli eserciti contra loro principi. Nel quale grado fu Ciro con Astiage, che dispregiava il suo modo del vivere, e la sua possanza, per essere la sua possanza venuta a manco, e egli per vivere nelle lussurie. E come fece Seuti di Tracia a Amodoco essendo suo capitano dello esercito. Altri congiurano ancora per più altre cose di queste, cioè e per il dispregio, e per l’utile; siccome fe’ Mitridate contra Ariobarzane. Ma infra tutte l’altre cagioni per questa congiurano quei che sono d’animo feroce, e che s’hanno acquistato pregio nella guerra appresso i monarchi, conciossiachè la fortezza, che abbia congiunto il potere, diventi audacia, mediante le quai due cose tentano questi tali l’assalto dei principi, come quei che ne sperano agevolmente felice successo.
Ma di quegli, che congiurano per acquistar gloria, altro modo e altre cagioni sono in loro, che non sono le conte innanzi, perchè tali non tentano d’ammazzare li tiranni, come quei che ciò fanno per fine d’avere li tesori, che e’ veggono essere posseduti da loro, e per fine di que’ gradi, onde e’ sono onorati. Ma non già per tal fine entra in questi pericoli chiunche gli assalta per conseguitare gloria, ma li primi lo fanno per li fini detti, e questi come se un’altra cosa gloriosa conseguitare loro dovesse dappoi, e mediante la quale e’ fussino per divenirne nominati, e celebrati nel mondo, non volendo, dico, acquistare monarchia, ma gloriosa fama.
Contuttociò pochi si raccontano, che per tali cagioni congiurino contra li principi, perchè in tali è di necessità farsi un presupposto: cioè che ei non si curano della loro salute, se e’ non conseguiscono il fine della impresa. E a tali bisogna, che sia infisso nell’animo il proposito di Dione, il quale è difficile che sia infisso nell’animo d’assai; imperocchè egli con pochi armati assaltò Dionisio, dicendo, che infino a dove e’ li fusse stato lecito d’ire innanzi in cotale impresa, di tanto si sarebbe contento; e pur che ei gli avesse potuto torre una spanna di terra che subito gli fusse venuta la morte, stimando una simile morte per onestissima.
Rovinano le tirannidi in un modo come tutti gli altri stati, cioè da cagione estrinseca, quando un governo più possente di lei l’è inimico, perchè la voglia di rovinarla sempre vi sarà per la contraria elezione del governo, e tutti quegli che han forza e possanza, si cavano le voglie che egli hanno. Sono contrarî il popolare stato, e la tirannide (siccome dice Esiodo) nel modo che è l’artefice all’altro artefice; conciossiachè l’ultimo stato popolare sia una tirannide, e il regno, e lo stato degli ottimati le sono contrarî per contrarietà vera di stato. Onde è che gli Spartani rovinarono molte tirannidi, e così li Siracusani in quel tempo che egli ebbero buon modo di vivere.
In un altro modo rovinano le tirannidi da loro stesse, cioè quando li partecipanti nella tirannide sono in parte, come avvenne nella tirannide di Gelone, e oggi in quella di Dionisio. Quella di Gelone rovinò, perchè Trasibulo fratello di Ierone avendo il figliuolo di Gelone indotto per via di piaceri ad acquistarsi popolare grazia, acciocchè egli si facesse principe, e gli amici, e familiari essendosi accozzati insieme, acciocchè la tirannide non si dissolvesse, ma sì Trasibulo, occorse, che gli nimici della tirannide unitisi, avutane simile occasione, gli cacciassino via tutti. E Dione a forza d’arme ne cacciò Dionisio, al quale era ei congiunto per parentado, avendo chiamato il popolo in suo favore, e egli vi restò morto.
Ma essendo due le cagioni principali, onde si congiura contra li tiranni, cioè l’odio, e il dispregio, una delle cose dette è di necessità che sia sempre mai ne’ tiranni. E questa è l’odio. Ma dal dispregio sono succedute molte rovine. E di ciò siami indizio, che tutti quegli, che si sono acquistati quei gradi, la più parte se gli han conservati: e quegli che vi sono venuti per successione, subito (per via di dire) gli perdettero. E la ragione è, perchè essi vivendo lussuriosamente vennero in dispregio dei cittadini, e dettero loro molte occasioni da rovinargli.
L’ira si debbe mettere per parte congiunta all’odio che essa invero è cagione di tali azioni; anzi è molte volte cagione più efficace che non è l’odio, perchè l’ira fa congiurare gli uomini piuttosto, non aspettando tale perturbazione il discorso della ragione. E la contumelia fa sopra ogni altra ragione, che gli uomini seguitino l’impeto dell’ira. E per questa cagione fu rovinata la tirannide dei figliuoli di Pisistrato, e altre assai. Ma l’odio è contuttociò più nocivo, perchè l’ira è con dolore, onde ella non lascia discorrere; e l’odio è senza dolore. E per dire insomma tutte le cagioni, che io ho detto essere rovinatrici dell’ottimo governo popolare; le medesime sono rovinatrici delle tirannidi. E la cagione è, che tali stati sono ancora essi tirannidi, ma dispersè.
Ma il regno non è rovinato da cagione estrinseca, e però è egli di più vita, ma dalla intrinseca patisce ei bene mutazione, e fannovisi in due modi. In uno quando quei della successione regia son divisi; e nell’altro quando e’ cercano di comandare tirannicamente, e di trapassare i modi ordinarî, volendo essere padroni di più cose; e più di quello che loro permette la legge. Al tempo d’oggi non surgono regni, e se pure se ne fa, ei son piuttosto monarchie, e tirannidi, per essere il regno un imperio sopra di chi vi sta sotto volentieri, e per essere signore d’uomini di buona qualità. Onde per trovarsi molti simili, e per non si trovare alcuno tanto di virtù eccellente, che per grandezza, e degnità sia proporzionato dagli altri, però li popoli non gli vogliono volentieri stare sotto. E se uno in tai luoghi si acquista il regno o con fraude, o con forza, questo tale imperio apparisce tirannide.
Debbesi ancora porre un’altra cagione fuori delle conte, che faccia rovinare questi regni, i quali si danno per successione di sangue; cioè che per essere molti di simili re da essere spregiati, essi fanno delle villanìe senza aver potenza tirannica, ma solamente degnità regale. Onde tali agevolmente sono spacciati, perchè se i popoli non vorranno un tale, subito e’ non fia più re, ma e’ fia bene un tiranno a dispetto ancora de’ suoi popoli. Sono pertanto distrutte le monarchie per tali ed altre simili cagioni.