Trattato dei governi/Libro ottavo/III

Libro ottavo - Capitolo III: Dichiarazione delle undici cagioni

../II ../IV IncludiIntestazione 17 settembre 2008 75% filosofia

Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro ottavo - Capitolo III: Dichiarazione delle undici cagioni
Libro ottavo - II Libro ottavo - IV


Delle quai tutte cagioni, che forza ci abbia la contumelia e l’utile, e di quanti mali elle sieno cagioni è quasi manifestissimo. Perchè quando li cittadini, che sono nei magistrati, si fan villanìa, e hanno l’un più che l’altro, e’ vengono perciò a contendere l’un con l’altro; e ancora con quello stato, che loro permette questa licenza. E il più si può avere in due modi, cioè o togliendolo ai privati, o togliendolo al publico. Dell’onore si sa benissimo ancora quello che e’ vaglia, e quanti moti civili e’ partorisca, veggendosi che li cittadini disonorati tumultuano nelle città per vedere gli altri onorati. E tali tumulti ingiustamente non sono eccitati, quando alcuni sono disonorati, o onorati fuori del dovere. E giustamente non si fanno, quando e’ son dati gli onori, e li disonori con ragione.

Sorgono i tumulti per cagione della eccellenza, quando un cittadino o più d’uno, sono più potenti degli altri, e più che non comporti quella città, o quel governo, perchè da tali eccellenze s’usa di venire alla monarchia, o a un potentato1.

Donde è in costume in molti luoghi l’ostracismo, come è in Argo e in Atene. Ma ei sarebbe stato meglio avere provisto da prima nella città, che li cittadini non vi fussino venuti sì grandi, che, poi che e’ gli avevano lasciati venire, avervi voluto porgere rimedio. Per la paura vengono a sedizioni quei che han fatte l’ingiurie, temendo di non avere a pagare la pena. E ancora vengono a sedizioni quegli, che debbono essere ingiuriati, volendo essere i primi a far l’ingiuria; siccome accade in Rodi, dove li nobili conspirarono contro al popolo per le accuse state loro messe addosso.

Per il dispregio ancora si contende, e congiurasi contra gli stati, siccome avviene in quei dei pochi potenti, quando gli esclusi dalla republica sono di più numero, che ciò dà loro speranza d’essere più potenti. E negli stati popolari vi muovono tumulti li cittadini ricchi, spregiando il cattivo ordine, e il mancamento dei magistrati, come avvenne in Tebe dopo la giornata fatta negli Enofiti; dove lo stato popolare rovinò per il male ordine di governo. E il medesimo avvenne di quello dei Megarensi, essendovisi dissoluto lo stato, per non v’essere più ordine nè magistrati, che lo reggessino. E come avvenne in Siracusa innanzi alla tirannide di Gelone. E come in Rodi fe’ il popolo innanzi che li nobili insurgessino contra di lui.

Mutansi ancora gli stati per gli accrescimenti, che fuori di proporzione si fanno in una città. Perchè così come il corpo è composto di parti, e debbe pigliare l’augumento, che sia moderato, acciocchè e’ vi resti la proporzione delle membra, perchè altrimenti e’ verrebbe a guastarsi, quando, cioè, uno piè vi fusse di quattro cubiti, e il resto del corpo fusse due spanne; e alcuna volta ancora e’ potrebbe l’animale trapassare in figura d’un altro, quando non pure mediante la quantità, ma mediante la qualità e’ crescesse fuori della sua proporzione debita; così la città ancora ella è composta di parti, delle quali sovente avviene, che una ne cresce, che altri non se ne accorge; come accade negli stati popolari, e nelle republiche della moltitudine dei poveri.

Avvenga che un tale effetto molte volte sia cagionato dalla fortuna, come fu in Taranto; dove essendo stati vinti e spenti assai de’ nobili da quei di Puglia2, poco dopo la guerra de’ Medî il governo di republica vi diventò popolare. E in Argo, essendo stati morti nel settimo dì3 assai di loro da Cleomene Spartano, furono constretti quei cittadini dopo tale rotta a ricevere nel governo alcuni vili uomini. E in Atene avendo essi per terra fatto male, li nobili vi vennero a poco numero, per andare ancora essi fuori alla guerra per proporzione ne’ tempi, che ei combattevano con gli Spartani. E questo medesimo ancora accade negli stati popolari, ma più di rado, perchè se quivi li ricchi vi diventano più di numero, o che le facultà vi creschino, quegli stati si mutano in istati stretti, o potentati.

Mutansi ancora i governi senza sedizione mediante la vergogna4, come avvenne in Erea, perchè quivi per tale cagione in cambio d’eleggere li magistrati ei gli traevono, e la cagione fu, che egli eleggevono uomini di che e’ si vergognavano.

E mutansi mediante la neglezione, cioè quando ei lasciano per straccurataggine essere nei magistrati supremi quei che non sieno amici di quel governo, siccome avvenne in Oreo, dove si dissolvette quello stato de’ pochi potenti: essendo in magistrato Eracleodoro, che di stato di pochi lo fece republica, e popolare.

Mutansi ancora per li minimi. Io dico minimi, perchè molte volte l’uomo non si accorge d’una gran mutazione fatta nello stato per non gli avvertire, siccome avvenne in Ambracia, dove, dandovisi i magistrati a chi v’aveva poco censo, vi si ridussono le cose al fine, che e’ vi si davano a chi non n’aveva punto, come se e’ fusse quasi il medesimo, o senza differenza alcuna il poco e il niente.

È ancora cagione di discordia il non essere li cittadini d’una medesima stirpe, infine a tanto ch’ei non divenghino una cosa medesima; imperocchè così come la città non di qualsivoglia moltitudine è composta, medesimamente ella non si compone ancora in qualsivoglia tempo. Onde tutti quei, che hanno ricevuto compagni, o forestieri, la più parte hanno avuto tumulti civili, come intervenne ai Troiugeni5, con li quali gli Achei abitarono insieme la città di Sibari. Ove essendo gli Achei fatti più di numero cacciarono poi li Troiugeni. Onde alli Sibariti nacque quella rotta. E come intervenne ai Turi, dove li Sibariti, che insieme abitavano, ferono loro il medesimo, perchè, parendo a quei di Turi ragionevole d’avere più, essendo la provincia loro, vi rimasono rovinati. E come avvenne a quei di Costantinopoli, contra dei quali avendo congiurato i vicini, essendosi scoperta la cosa, vi restarono vinti in un fatto d’arme.

E li Antisei avendo ricevuto in casa i ribegli di Scio, alla fine gli cacciarono via a forza d’arme. E il medesimo danno intervenne a Saclei6 de’ Samî, che essi avevano ricevuti, cioè che li Saclei furono cacciati dai Samî. E quei di Apollonia, che sono in sul mar maggiore, avendo messo in casa li vicini, furono poi ripieni di sedizione. E li Siracusani dopo gli stati tirannici, avendo ricevuti per cittadini li forestieri, e li soldati mercenari, ferono sedizione, e vennono a battaglia. E quei di Antipoli7 avendo ricevuti quei di Calcide loro vicini, la più parte d’essi restarono da loro rovinati. Negli stati stretti le sedizioni, che vi si fanno, nascono dai più, i quali vi si tengono ingiuriati per non avere il pari, essendo pari siccome io ho detto innanzi. E negli stati popolari ve l’eccitano i nobili, quando egli hanno quanto gli altri, ed a loro pare essere da più.

Fanno ancora le città alcuna volta sedizione mediante i siti, cioè quando il luogo non è bene dalla natura situato per fare una sola città, come avvenne ai Clazomenî, che abitavano sopra Citro con gli altri popoli della isola, e come a quei di Colofone con li Notî. E in Atene interviene ancora che li cittadini non vi sono simili, perchè cittadini più popolari sono quei, che abitano il Pireo, che quei che abitano la città. Finalmente come nelle guerre i transiti delle fosse, avvenga che piccioli, vi rompono le squadre; similmente in una città ogni differenza pare che vi faccia dissensione. E di ogni altra grandissima è forse quella, che vi fa la virtù, e il vizio, e dappoi la ricchezza e la povertà, e così ve n’è una più dell’altra, infra le quali una è la detta.


Note

  1. Dinastia oligarchica.
  2. Nel combattimento contro i Japigi.
  3. Dopo la disfatta del sette.
  4. I brogli elettorali.
  5. Trezenî.
  6. Zanclei.
  7. Anfipoli.