Trattato de' governi/Libro terzo/V

Libro terzo
Capitolo V:
Quanti sieno li modi de' governi

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro terzo
Capitolo V:
Quanti sieno li modi de' governi
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[p. 108 modifica]Fatta tale determinazione diciamo un poco quanti sieno li modi di stati, e di che natura; e raccontiamo inprima li buoni; conciossiachè chiariti questi ci abbia ad essere manifestato i contrarî loro.

Significando adunque republica e reggimento una cosa medesima, e essendo il reggimento quello ordine, che comanda nella città, per necessità conseguita, che in essa città vi comandi o uno, o pochi, o assai. Quando adunche uno, o pochi, o assai, comandano per il fine di bene publico, allora tai reggimenti son buoni per necessità. E quando e’ comandano per fine particolare o d’uno, o di pochi, o d’assai, allora tali stati si chiamano transgressi, imperocchè e’ bisogna o affermare, che li partecipanti nel reggimento non siano cittadini; o vero che e’ debbano essere tutti compagni nell’utile.

Costumasi in fra le monarchie di chiamare regno quella che risguarda il bene publico, e ottimate stato quello che risguarda al bene de’ pochi, ma di poi d’uno solo. Il quale stato è così detto o veramente perchè gli ottimi vi comandano, ovvero perchè egli ha rispetto allo ottimo di quella città, o di quei che son compagni nello stato. E quando il popolo governa per fine di bene comune, dicesi allora tal modo di governo republica, chiamata così col nome generale di tutti gli stati; e questo ch’io dico, avviene ragionevolmente, perchè e’ si può cioè dare, che uno, o pochi sieno per virtù eccellenti; ma egli è ben difficile a ritrovarsi molti, che sieno esatti in ogni virtù, e se e’ se ne trova, se ne trova nella virtù militare, la [p. 109 modifica]quale virtù è esercitata dai popolari. Onde secondo tale ordine di reggimento principalissima parte v’è la milizia; e in tale reggimento partecipano quei che hanno in mano l’arme.

Transgressioni di questi stati sono il regno nella tirannide; l’ottimate nello stato dei pochi, la republica nello stato popolare. Perchè la tirannide è un principato d’un solo, che governa per l’utile di chi è tiranno e lo stato de’ pochi governa per l’utile de’ ricchi; e il popolare governa per l’utile de’ poveri. E nessuno di questi governi è infatto, che governi per l’utile publico. Ma egli è necessario alquanto più lungamente discorrere, che natura sia quella di ciascuno de’ contati modi di governo; conciossiachè e’ ci occorrano dei dubbî. Ma e’ s’appartiene a chi considera filosoficamente qual si voglia dottrina, e che non solamente ha l’occhio al mettere in atto, gli s’appartiene dico a un tale, ed è suo proprio ufficio non straccurare cosa alcuna, nè lasciar nulla indietro inconsiderata; anzi debbe dimostrare il vero in ciascuna cosa.

La tirannide adunque è un principato d’un solo, che, come io ho detto, governa signorilmente la civile compagnia; e stato di pochi potenti è dove li ricchi sono padroni dello stato. E il popolare all’incontro dove non li ricchi ma li poveri vi governano. Ora il primo dubbio che nasce per tal difinizione, è questo; cioè che se li ricchi fussino più di numero, ed avessino in mano il governo (posto che stato popolare fusse quello, dove i più son signori), e all’incontro, se in qualche luogo avvenisse, che li poveri fussino manco dei ricchi, ma di più qualità, e fussino padroni dello stato (posto, che il governo dei pochi sia dove il poco numero di cittadini è principe); dico in tal caso la difinizione data di questi stati non essere buona, ma ella sarà buona, se in tale difinizione s’aggiugnerà il poco numero alla ricchezza, e l’assai alla povertà, e se così tali stati per tale verso si dichino, cioè che stato di pochi sia dove li ricchi, ma pochi di numero, abbino li magistrati; e stato popolare dove li

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poveri, ma più di numero, abbino in mano il governo. Ma qui, dico, sorgerà un altro dubbio, cioè in che sorti di stato s’abbino a collocare i due modi detti di governo; cioè quello, dove i più, ma ricchi, e quello dove i poveri, ma pochi, sieno amendue padroni dello stato: s’egli è vero, che e’ non si dia altro modo di governo fuori delli conti.

Pare adunche, che tale ragione mostri, che il fare li pochi l’un modo, e l’altro li più governatori dello stato, sia uno accidente all’uno, e all’altro modo di governo, per esser in ogni luogo li ricchi pochi a novero, e li poveri assai. E per ciò non interviene, che le cagioni dette vi faccino nello stato la differenza, anzi che la differenza, che è in fra lo stato dei pochi, e in fra il popolare sia la ricchezza, e la povertà; e per necessità avvenga, che dovunche si governa con rispetto della ricchezza (o più o meno di numero, che vi siano i ricchi) che quivi sia lo stato de’ pochi potenti: e dove li poveri (ancorchè meno di numero regghino) che quivi sia lo stato popolare. Ma egli interviene, siccome io ho detto, che li primi sieno pochi, e che li secondi sieno assai; che pochi invero sono li ricchi; e della libertà partecipa ogni uomo. E per queste cagioni amendue questi stati contendono insieme.