Teoria della relatività/Introduzione/Il problema
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I
a) Il problema
Se le controversie, di qualsiasi natura esse siano, politica, filosofica od altro, riescono raramente a risultati positivi, bene spesso lo si deve al fatto che non se ne è nettamente determinato l’oggetto. Ciascuno dei contradittori potrebbe ammettere le idee del suo avversario pensando forse ch’esse non costituiscono il nocciolo della questione, e quando le due tesi non si urtano in nulla, la loro reciproca confutazione è impossibile e la lotta senza scopo continua senza fine. È dunque molto importante in ogni seria ricerca precisare nettamente e senza ambiguità il punto controverso, la questione centrale attorno alla quale tutto il resto gravita. Formulare e porre con chiarezza un problema è spesso, sia per lo scienzato che per lo studioso, la metà o forse anche la parte più grande del suo lavoro, poiché alle volte la risposta è più facile della questione.
D’altra parte la storia ci mostra molti casi in cui il significato, la portata e la fecondità di una conclusione negativa, cioè constatante chiaramente l’impossibilità assoluta di una soluzione della questione come si era posta nel senso originario, sono state superiori a ciò che una risposta positiva avrebbe potuto dare. Il problema della quadratura del circolo — costruzione di un quadrato della medesima superficie, — o, ciò che è lo stesso, della rettificazione della circonferenza, — costruzione di una retta della stessa lunghezza — ne è un esempio ben noto. Se la soluzione con la riga e col compasso ne è impossibile, la constatazione di questa impossibilità e la sua dimostrazione hanno contribuito al progresso della scienza di piú di quello che avrebbe potuto fare la costruzione ricercata. La storia delle matematiche ci mostra un numero molto considerevole di casi simili, ma nella fisica troviamo l’esempio piú significativo: la constatazione dell’impossibilità del moto perpetuo, cioè dell’esistenza di una macchina che tragga l’energia per il lavoro da se stessa in modo continuo, ha condotto al teorema piú importante di tutte le scienze naturali, quello della conservazione dell’energia. Constatazione e teorema sono logicamente identici, poiché ciascuno di essi si può rigorosamente dedurre dall’altro.
Le condizioni sono le stesse per i problemi dei quali ci stiamo per occupare, quello della legittimità della nozione del movimento assoluto e quello della sua messa in evidenza. Si può definire il movimento di un corpo solamente in modo “relativo,” cioè in rapporto ad altri corpi, oppure lo si può fare in modo assoluto, cioè in rapporto allo spazio puro? Un po’ di riflessione mostra che un movimento è sempre “relativo,” che si rappresenta e si descrive in rapporto ad un corpo di confronto, considerato come in stato di quiete. Se io passeggio in un treno in moto, oppure se io tolgo dal porta-bagagli le mie valige, il corpo di confronto è naturalmente il vagone, il movimento del treno si effetua in rapporto alla terra considerata come immobile, quello della terra in rapporto al sole, quello del sole in rapporto alle stelle fisse, e lo stato attuale dell’astronomia non ci impedisce affatto di credere ad un movimento d’insieme dello stelle fisse, il quale per poter avere un senso intelligibile dovrebbe veramente supporre altri mondi stellari in quiete per confronto. Non c’è dunque altro che movimento “relativo” in ogni dove e noi diremo: “Si chiama principio della relatività ogni teoria secondo la quale solo la nozione di movimento relativo ha un significato, poiché quella del movimento assoluto non ha alcun senso e ne è impossibile la messa in evidenza.” Vedremo che vi sono molti principi di relatività.