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Teatro ladino Teatro ladino

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Femene de cuore


commedia in due quadri in dialetto auronzano


di


Bruno Ferroni



Anche Gusta si è accasata. Dalla felice unione con Nardo, sono nati quattro figli: Libero, di venticinque anni, ed il fratello Innocente lavorano come manovali in diversi cantieri.

Felice studia da qualche anno in seminario, coltivando una vocazione che avrebbe riempito di orgoglio quella che in famiglia continuano a chiamare la “zia Adele”.

Adelina, che suggella con il nome il grande affetto per la zia, è il capolavoro di Gusta e Nardo!

Lavora al servizio della contessa Pàviza, una nobile decaduta, trapiantatasi da anni in paese. Adelina è fidanzata e regolarmente promessa a Ettore, un bravo ragazzo di Reane. Gusta è indaffarata a preparare il pane. Con lei c'è Pierin, suo cognato e santolo di battesimo di Adelina.

L'inverno è piuttosto nevoso e freddo... e, oltre all'imminente Natale, porterà parecchie...novità...

Personaggi:

GUSTA, 46 anni
NARDO, 53 anni (suo marito)
ADELINA, 19 anni (figlia più giovane)
FELICE, 20 anni (figlio che studia in seminario)
LIBERO, 22 anni (figlio)
GUANIN (padre di Gusta)
PIERIN, 64 anni (fratello di Nardo e santolo di battesimo di Gusta)
GERARDO, 50 anni ( antico amore di Gusta,medico a Padova)
SECONDO, 11 anni (figlio di Alma,amica di Gusta)
CONTESSA PAVIZA, 70 anni (anziana nobile decaduta trapiantata in Auronzo)

L'azione si svolge in casa di Gusta e Nardo l'antivigilia di Natale del 1933...

Siamo in cucina. A sinistra c'è la porta d'entrata e a destra quella che conduce alle camere. Vicino alla vecchia stufa, è seduto Pierin.

Sul lato sinistro, la credenza, sovrastata da un'enorme vetrina con le ante tappezzate da foto di parenti e santini vari; al centro la tavola, sulla quale l'energica Gusta sta impastando il pane.

Varie seggiole riempiono la scena e dietro la porta che conduce alle camere, sono appoggiati i badili per spalare la neve. Sull'attaccapanni,vari indumenti pesanti.

Vicino alla porta c'è una finestra attraverso la quale, ogni tanto Gusta va a dare una sbirciatina per tenere sotto controllo la situazione della contrada.

Fuori nevica... alla grande, Gusta lavora e Pierin attizza il fuoco nella stufa.

GUSTA: (con aria stanca, passandosi sulla fronte l'avambraccio scoperto

per tergere il sudore) “... Ioso Pierin, me par fin de vegnì storna, ca co sta pasta...”

PIERIN: (ironico) “… E pensà che tociarà anche magnàla...”
GUSTA: (quasi risentita) “... Saveu che sforzo... su mo, contàme algo;

senpro ca, serada de inze! Calche ota me par fin da stranio se poi scanbià na ciacola apede calchedun... (pensierosa) Nardo, la pi parte l é davoi legne... de chi autre... Adelina la và a fei doi sarvise via da la siora contessa... Nocente e Libero i é por cantiere, n tin ca e n tin là... Felice (subito si corregge, con aria compunta)… Don Felice, pore l me fiol, l dovarae ruà da Belun doman. E ió me tocia tegnì verte le ciase; (spazientita)... và ben che na femena tien su tre ciantoi, ma cuan che é massa... e massa!” (si asciuga il sudore con il dorso dei polsi)

PIERIN: “Ce voleu che ve conte... me tocia dì ogni dì col verson a

deliberià le strade... e cuanche i ciavai é strache, i ciama me a dì a proede n autra cubia, porcè che i sà che neautre avon senpro stou davoi dei ciavai...”

Auronzo e la neve... anzi, “l neve”, perchè la gente della Val d'Ansiei ha sempre assegnato alla candida coltre, il genere maschile. Stranezze della montagna! Ai bambini dei giorni nostri pare strano, addirittura incredibile che anni fa cadessero metri di neve e che le persone, per spostarsi di casa in casa, fossero costrette, nelle contrade, a scavare delle trincee, quando non addirittura delle gallerie. Almeno io, trasecolavo quando mia nonna lo raccontava. Ma tant'è.

E mentre la gente si dava da fare per sgravare le “sandole” dei tetti dal peso considerevole della neve, in strada passava lo spazzaneve trascinato da una pariglia (cubia) di cavalli, seguito spesso da un'orda di ragazzini vocianti. Diversamente dai nostri giorni, dove la neve è anche fonte di divertimento e guadagno, in anni non lontani, era sinonimo solo di freddo, fatica e malanni.

I bambini sapevano trarre da questi disagi, motivo di gran divertimento, andando “a lìs” con piccole slitte, le “audete” e i “coce” o cercando di costruire dei rudimentali pattini con due pezzi di legno e un po' di lamiera.

GUSTA: (riprendendo il lavoro) “Me penso... me penso, cuanche ero

tosata... deo a lis col cocio apena che era neveou... svelta, svelta, gnante che ruasse vos pare coi ciavai, por stà a vardà lui e chi omen che fasea strada. Ioso che nevere, alora...”

PIERIN: “Che vita... alora! E... che vita ades... lo stesso! “
GUSTA: “Rengrazion la Madona che cuindese ane fa... à fato fenì sta

guera... calche ota me fermo a pensà, co son sola… (si ferma e parla guardando nel vuoto, rievocando tempi andati)... aveo vintenove ane, e me tociaa bete a boe i vestite da soldà de Nardo, piene de pidioe, co l tornaa do da Monte Piana... poreto... Saveu ce che ei da dive... calche ota me par de avé zento ane!“ Non è inopportuno fare un accenno alle tristi condizioni dei militari al fronte. Almeno quelli che combattevano per “tenere” o conquistare cime, passi, forcelle, in mezzo a quelle Dolomiti che oggi noi percorriamo, immortalandole con cineprese o macchine digitali.

Mi raccontava la “vera” nene Nina (classe 1884), di quando questi poveri militari, scendevano a valle, ”mangiati” dai pidocchi che saltavano loro addosso. I più venivano temporaneamente accolti per la disinfestazione nei piccoli ospedali da campo, come quello di Val Marzon; altri, Auronzani o cadorini, erano soccorsi in casa di parenti o amici.

Mentre “nude nade”... magari con il solo lenzuolo addosso, sedevano vicino al fuoco, le divise venivano immense in enormi pentoloni di acqua bollente dove il “100 gradi” di allora, le liberava dagli sgraditi ospiti. E neanche le lenzuola non abbondavano, destinate com'erano a diventare fasce per le orrende ferite che una guerra tanto cruenta, provocava.

PIERIN: (ridacchiando) “Dutofato... li portà anche ben...”
GUSTA: (agitandosi) “No stasé tanto menàme po l zesto, saveu... che

basta fei doi conte por nacordese che avé almanco doi ane pi de me...” (riprende ad impastare)

PIERIN: “Contàme n tin, stàla meo Adelina? Me par che la era poco

dal vres l autra dì...”

GUSTA: (sulla voce) “... l autra dì... e i dis gnante? La magna poco, e

gnere la à anche biciou su... ió no sei, sta fia... ce che la ebe! Fin a nos-cè mes fa la stasea n toco meo. Ogni bonora gnante de scordela i deso doi rosse de vuovo, sbatude co n tin de vin e zucro… pensave che i ei betù porfin l scapolar de la Madona del Carmen che me à proedù don Felice... (si ferma preoccupata)... ma me par che l fèse poco...”

PIERIN: (si alza con fatica) “Eh... doventù! N ota magneone anche

chel che la mare dasea al porzèl doboto... ades i é pi delicate...“ Benedetto maiale (l cucio)... quanti meriti gli si dovrebbero riconoscere, ora che la sua carne da qualcuno è rigorosamente evitata e da altri scrupolosamente privata di ogni traccia di grasso. Quante generazioni ha contribuito a far crescere, con tutte le parti del suo enorme corpo! Anche ai bambini (quelli che vediamo immortalati in certe foto d'epoca, con la testa quasi rapata ed un'espressione seria, corrucciata, quasi da adulto), veniva instillato il rispetto per tanta mole.

Anche chi non allevava il maiale, sapeva come riciclare gli avanzi della tavola ”investendoli” a dovere. Bastava raccoglierli nel “vaso de le lavadure” che qualcuno provvedeva regolarmente a svuotare e somministrare alla bestia; sotto Natale tornavano, trasformate in salcicce, “scorzete”o costicine. Come si vede, il concetto di “riciclaggio”era ben noto e praticato molto prima che i moderni “soloni” dell'ecologia inventassero campane e raccoglitori vari.

Pare ancora di sentire i disperati grugniti che facevano presagire l'imminente “sacrificio” e i richiami degli uomini che trascinavano tutti quei quintali di “vita”. Le forti e nodose dita di donne spicce ( mani che rievocano certi soggetti di Murer) tagliare, disossare, macinare... mescolare, legare le “lugàneghe” e i salami. E c'era sempre il pacco per la famiglia indigente, per l'anziana sola, per la vedova.

Povero maiale... ora accostato a colesterolo, trigliceridi e cellulite... assurto a simbolo di sporcizia e immondezza. Sarà stata una favola?

GUSTA: (scherzando) “Ca, avarae volù chela marveosa de

Giacomina... co la sentìa na novità, ve pensau? (facendo il verso)... ”... oh… ca, ce elo ste stranbarie...”, la avarae tiriada fin doman bonora. (cambia tono) Poreta... ciò mo... ades la à feniu de feise de marvea...”

PIERIN: “Lassà che vade a fei algo de bon... me par che no l ebe

chela de molàla... sto neve! Ei nprometù anche a la siora contessa che sarae dù via da ela a fei n tin de strada. E doman bonora me tociarà levà su ntorno a le zinche… (sconsolato)... bela vea de Nadal che farei!

GUSTA: “Dé mo, de là... cuanche avaré finiu savé che la me porta e

senpro verta e n bicer de vin lo ciatarè senpro.“ (Pierin esce, dopo essersi coperto con l'ampio mantello nero che prende dall'attaccapanni. Gusta mette la pasta in un recipiente, la copre con un panno e si lava le mani in un catino. Entra di corsa Adelina, sbattendosi la neve dalle spalle e mettendo il cappotto sull'attaccapanni)

GUSTA: (premurosa) “Sosto ruada, fia mea... come stasto ncuoi?”
ADELINA: (un po' seria) “Eh... me par n tin meo, ma ei come na

stracheza ntorneme. Me tocia fei duto ió... sta contessa no la moarae n dedo gnanche...”

GUSTA: (porgendole una sedia e andandole vicino) “Deboleza! Ce vosto

che see... doman to pare tira l col a na pita, e te farei n bon brodo che te tiriarà su... co la carne farei n tin de umido... Te feso bee n dedo de chel bon vin che ei betù a sconde! Fra to pare, to nono e i to fradiei, cuanche i é ca... se no beto a strento na boza agnó che sei ió, la pi parte cognaressione bee aga...”

ADELINA: “Saveu, ei visto la contessa che armeaa davoi a n paco, e

me son dita...”ca, la se sarà veduda inze, e la me darà algo por che fese Nadal anche ió” (cambia tono)... éro belo la por tolelo de man, doboto... cuanche la me dis de portàlo do da Maria, la sarta! Saveu ce che la avea betù inze? N capoto vecio come l cuco, che no lo volarae gnanche a fei straze... e sta “renga” lo mandaa a revoltàlo... pensave!”

GUSTA: “Autro che contessa... ei paura che la see pi poreta de

neautre... mia cuanche la é ruada...”

ADELINA: (curiosa) “Mare, saveu che no ei mai podù capì chi che la

é sta “contessa”. No la à da esse de le nostre... dal far...” Con la dissoluzione dell'Impero Austroungarico, venne sconvolta anche quel po' di stabilità sociale nei Balcani. La nostra “contessa” Paviza, scampata al disastro grazie a circostanze fortuite, era approdata, come molti del suo rango, in un'Italia appena uscita dalla guerra. Godeva, la donna, del rispetto della povera gente, che ne ammirava la nobiltà dei modi e la ricercatezza del linguaggio. Non di rado, questi nobili riuscivano a portarsi appresso, nascondendolo bene, un tesoretto, sotto forma di monete d'oro o pietre preziose, in previsione di momenti peggiori. Ma, sia i “si dice” della gente, sia le sbirciatine che qualcuno si è preso la briga di dare, avevano fatto sì che il mistero del gruzzoletto... non fosse più tale. E, come non c'è segreto “più noto” di quello sussurrato in via esclusiva solo a qualcuno, (dopo giuramenti vari ed allusioni a “silenzio di tomba“, o al proverbiale “mutismo del pesce”)... così quello della nostra contessa, sembra non aver fatto eccezione.

La nobildonna, bisogna però riconoscere, non dava adito a certe chiacchiere: modesta nell'abbigliamento e parca nelle spese, mai si era lasciata coinvolgere in discorsi imbarazzanti, campando di una magra pensioncina e qualche rendita che... non era ben chiaro da dove arrivasse.

GUSTA: (facendosi più vicina) “... Ió te digo, ma te às da prométeme

che no te i manciaras mai de respeto...”

ADELINA: (anche lei si avvicina, curiosa) “Prometo, prometo...” (e si

porta, baciandole, le dita a croce sulle labbra)

GUSTA: “Ben, la é ruada ca apena daspò de la guera, che la era belo

vedova... e i dìs che la avesse avù na peza de ciasa via por la Bulgaria... lontan. La à maridiou n bar de omen, dute nobili, dente che avea tère! I la ciamaa la “contessa Pàviza”... se vede che da chele bande i usa nome de sta sorte. Ma nessun che savesse come che la fosse duda... fatostà che la tociou scanpà (assume un'aria misteriosa)... gnante che i la tire do da le spese. (si ricompone) Ca la é ruada solo con chel che la avea ntornese... e ades, vardela... come che la và conzada! “

ADELINA: (prendendo in mano il corredo che sta ricamando) “Eh...

beson nparà da chi siore, come che se fei a bete via n franco...”

GUSTA: (con aria di mistero) “pi de calchedun dìs... che la ebe portou

davòisse n fagotuto de òre... e che la lo tiene sconto agnó che sà solo ela... saràlo vero?... Mah!“ (Entra, dopo un veloce ed energico bussare, Ettore, il fidanzato di Adelina. Non si toglie il cappotto...)

ETTORE: (rispettoso) “Bondì nene Gusta, son passòu a dive che à dito

nene Alma che la avarae algo da dive... se podé dì do ciasa soa doi menute...”

GUSTA: (leggermente turbata) “Alma? Ma se la ei saludiada gnante…

(più risoluta)... ben, alora é meo che vade a sentì ce che mancia... Alma non me avarae mandou a ciamà se no era n bon motivo. “ (Gusta guarda severa Adelina e Ettore, quest'ultimo fattosi più vicino alla ragazza...)

GUSTA: (con tono di velata minaccia) “Ió vado, ma veautre doi stasé

atente, che no starei tanto! Adelina, bete su na camomilia, e tien de ocio l pan. (guarda intensamente Ettore) Etore... se son capuide, éro?“ (prende lo scialle e se ne va) (Ettore va alla finestra e sbircia attraverso le tendine, seguendo per un po' Gusta che si allontana. Torna vicino a Adelina, si siede e le prende la mano. La ragazza abbassa lo sguardo e trascorrono molti secondi in silenzio – MUSICA)

ETTORE: (premuroso) “Adelina, come sosto ncuoi? Son stou duta la

gnote a pensà a chel che te me avee dito gnere... no ei serou ocio!“

ADELINA: (sempre con lo sguardo basso) “Ce vosto che te dighe?

Volarae morì, pitiosto... ma oramai... (alza lo sguardo)... anche ió pensao deversamente, ma ei propro paura de avé visto giusto, sta ota...”

ETTORE: (preoccupato) “... disto davero? E ce faron se é belo ora? Chi

te ida?“

ADELINA: “Ebe n tin de pazienza... ades co torna la mare i digarei,

anche se no sarà fazile parlà de ste arte...”

ETTORE: “N dute i case, te sas che ió sarei senpro apede te... no te

lassarei mai, gnanche se calchedun volarà inpedìmelo!“

ADELINA: (cuasi commossa) “... Te preo, stame ndavesin! Calche ota

me par fin che dute i sepe... e volarae sconparì!“

ETTORE: “É ane che se cognosson e doboto tre che se fermon!

Crédeme che no savarae nmaginià la me vita zenza de te. Adelina, te sos pi de me mare... pi de duto chel che pó esse de bel al mondo (alzando il tono di voce)… por te sarae bon de scomenzià n autra guera!“ (Adelina si discosta con paura e lo guarda fissa)

ADELINA: (in tono di timprovero) “Manciarae anche n autra guera!

(più calma) Anche se no te sos proprio lontan da la veritià... ca se no parlon ai miei...”

ETTORE: (supplichevole) “Ma tu, Adelina, me vosto n tin de ben ? “
ADELINA: (alza il viso e lo guarda negli occhi. Le scappa un mezzo

sorriso e gli fa una lieve carezza) “E tu, ce pensesto, che sarae restada apede te dute sti ane, se no te avesse volù ben? Te me sos piasù fin da le prime ote che te vignee sote le fenestre de cosina a fis-cià, pede i tuoi coleghe... e me son dita dereto che te ere l pi bel de dute… (con tono più serio) anche se te às po la testa le to idee stranpalade! No te sas che l pare, cuanche l parla de te, te ciama l “comunista “! Ió no ei studiou tanto, ma anche l pioan à dito che dute i comuniste i diarà drete a l inferno! No stà mia nbastì ste descorse, sasto, cuanche é ca me pare... senò no l te fei pi bete pè de sta ciasa!“

Anche nel '33 divulgare le idee della Rivoluzione di ottobre, era piuttosto singolare, ed essere tacciato di “comunista”, specialmente nei piccoli paesi, non era il massimo degli elogi. Il popolino ne aveva inventate di tutti i colori, e nell'immaginario collettivo, i comunisti mangiavano anche i bambini.

In Germania, il signor Hitler nel gennaio del '33, diventa Cancelliere iniziando la lunga, ma non tanto, gestazione della seconda guerra mondiale.

La Chiesa, da par suo, osteggiava comprensibilmente l'ideologia comunista decretando, nel '49, la scomunica verso coloro che praticavano e divulgavano simili idee.

Non desta meraviglia dunque, se Ettore, al di là della comprovata onestà e laboriosità, viene guardato con un po' di sospetto dal padre di Adelina.

ETTORE: (bonario) “Eh... Adelina... Adelina… no magnon mia la

dente, come che vo feite crede l pree... chel à senpro da parlà cuanche no ocore. Anche nsiera l à ciatou me mare e i à domandou se avesse finalmente betù la testa a posto... (fa un gesto con le mani, per dire che non conviene continuare il discorso) Ma no voi parlà de le me idee: ades me ntaressa stà pi che poi apede te, gnante che torne to mare. (con ironia) Speron che Alma ebe na dornada bona co la lenga... de solito no la se fei desiderià!“

ADELINA: “Etore, suziede chel che suziede, no stà lassame, te

preo... se no avesse te, restarae sola come n cian!“ (Ettore le accarezza la testa con delicatezza e la stringe a sé… ma per poco, perché da fuori arrivano, eloquenti, i rumori di qualcuno sta per entrare. I due velocemente si allontanano ricomponendosi. Entra Gusta trafelata, sbattendo via la neve dallo scialle che appende sull'attaccapanni.)

GUSTA: (agitata) “... Mare mea, che nevere...”
ADELINA: “Ce aveu, mare, che sé duta messedada su?“
GUSTA: (guardando Ettore) “Etore, varda che to pare dea n zerca de

te, cassù de stradon... e meo che te vade…”

(Ettore si avvia verso la porta)

GUSTA: “Te spition a disgnà, a Nadal (guarda Adelina) ero Adelina?

(Adelina annuisce in silenzio)

ETTORE: “Grazie nene Gusta, avé senpro n cuor de oro... farei de

duto por esse. “

GUSTA: (come parlando fra sé) “No lo avarei mia ofendù... de solito

no l se fei tanto preà, cuanche e da magnà...”

(Ettore esce e Adelina muore dalla curiosità, vedendo la madre così cambiata, di sapere qualcosa del colloquio con Alma...) ADELINA: “Alora mare, elo algo de gnoo... che sé cossì agitada?“ GUSTA: “Alma la me à tignuda n parleta duto l tenpo sote l cuerto, de fora... roba che se toma do l neve, ne scuerde dute doe!”

ADELINA: (curiosa) “Alora?“
GUSTA: “Vien ca, fia mea, che te digo algo che gnanche to pare l sà

!”

(Adelina si fa più vicina con la sedia)

GUSTA: “Te às da savé che cuanche aveo la to età, massa ane fa... ca

ndavesin de neautre stasea l dotor... n brao òn, anche so femena, era na siora tanto de sesto… ben, ca de cosina aveone betù n lieto por me nono, barba Bepo, che la pi parte era malou... e ogni tanto... visto che l stasea ndavesin, sto dotor pien de creanza, l fasea n sauto a ciatàlo.

Na dì, no l mena anche so fiol Gerardo, e cossì se son fate coleghe, anche se da le ote no ero bona de capì ce che l parlaa… (con sussiego)… era n studiou de un... na testa mata...”

(Gusta prende una bottiglia dalla credenza, si versa un po' di grappa e continua)

GUSTA: ”... Alora, te disieo… na roba tira n autra, e cossì, sasto ce

che ei da dite? Che no l me despiasea... e calche ota me ferao cuanche tornao da messa... (guarda in alto, come per ricordare meglio)... eh... aveo fato tante pensiere... ma ce vosto, neautre ereone porete... anche la mare disiea sempro recordete Gusta che son porete... porete ma oneste …“

ADELINA: (facendo il verso alla madre) “…Sì, sì... oneste, ma senpro

porete...”

GUSTA: ”Nsoma, gnanche a lui no i despiasea fermasse apede me,

ma por deventà dotor, l studiaa do por Padova e... ce che see stou, no lo ei mai savù... n tin a l ota no l se à pi fato vede e calchedun à dito che l avea ciatou una, da chele bande... e l se fosse maridiou. Alora i voleo proprio ben... aveo fato na malatia... magnao poco e dormio ncora manco... Doi ane daspò ei maridiou to pare, ma no ei mai podù desmenteà del duto sto dotor... che me a portou via l cuore...”

ADELINA: “Và ben, ma ce centra chesto con nene Alma?“
GUSTA: “Ades vien l bel! (si avvicina ancora di più alla figlia)... à dito

Alma, che i à dito l so òn, che laora do por Padova davoi i trene... che l à ciatou, sasto chi? (si fa radiosa in viso e si raddrizza) Gerardo! Proprio l fiol del dotor. E l à mandou a dì por Amedeo, l òn de Alma, che na dì o doi gnante de Nadal, l passarà ca a saludià!“

ADELINA: (abbracciando la madre) “... Ei proprio acaro... ei proprio

acaro che siave contenta anche voi...”

GUSTA: “No stà mia a dì a to pare chel che te ei contou, sasto! L

sarae bon de dà fogo a la ciasa... te sas che n senestro che l é... (si fa pensierosa)... eh... cuanche lo ei tolesto, me à cognù tole duto... l bon e l tristo!“

ADELINA: (titubante) “... Ioso, mare, avarae da dive algo anche ió...

se no avé pressa...” (Adelina non riesce a finire la frase che si sente bussare alla porta; Gusta va ad aprire ed entra trafelato e pieno di neve, il figlio di Alma, Secondo) GUSTA: “Alora Secondo, ce éla duta sta furia?” SECONDO: (quasi urlando) “À dito la mare che deve do pi n pressa che podé, che la se era desmenteada de dive ncora algo!” (Secondo sparisce con la stessa velocità con cui era apparso)

GUSTA: (disorientata) “... ioso, no la podarae fei n sauto anche ela na

ota... se por camignà ocoresse dorà la lenga, no la avarae tante probleme… (si avvia verso la porta prendendo lo scialle dall'attaccapanni) (Adelina chiude la porta alle spalle della madre e riprende il lavoro di ago e filo. Non passano quattro secondi che entra Libero, il fratello di Adelina, sporco di neve. Si pulisce,ripone cappello e mantello e va a sedersi accanto al fuoco)

LIBERO: “Sasto Adelina... ncuoi l paron me à dito che la vea de

Nadal poi stà a ciasa... ei n acaro che no te digo anche se (si fa cupo)… me tociarà dì a dà na man a to santol a portà apede fien su por Col... chissà che nevere su adauto! (più rincuorato)... Ma podarei anche tegnì de ocio chela bela tosa che ei ciatou l autra dì...”

Dove un tempo si stendevano vasti prati, ora il bosco ha ripreso il suo spazio, e fra un intrico rovi si possono ancora scorgere i ruderi di antichi fienili. Durante i lunghi e freddi inverni, fornivano riparo a quintali di fieno che veniva via, via prelevato e portato a valle con le “liode”. Lavori faticosi, che richiedevano forza, salute e un paio di robuste “ciaspe”, per non affondare nella neve. Ora invece, la camminata con le ciaspe, è diventata una gradevole variante per turisti. Quando l'inverno era piuttosto insistente, anche la provvista di legna accatastata vicino a casa non bastava, si doveva attingere alle riserve,”ntassade su adauto”... raccolte al riparo del fienile o coperte con le “dasse”.

Raccontava Ceta “Furiera” di quando dalla finestra di casa sua, vedendo la gente uscire dalla Val de Socosta o scendere da Malon spingendo carretti e liode, partisse, lei ed altri, a ”di ncontra”. Oggi diremo, a dare una mano, “a sprentà”.

Quanti sarebbero così così solerti anche oggi?

ADELINA: (senza alzare gli occhi dal lavoro) “Ei proprio acaro che la te

vade ben anche a ti...”

LIBERO: “Ei visto la mare nviada come na schiriata gnante... ei

anche prou a ciamàla da lontan, ma la dea cossì n pressa che no ei fato adara gnanche a verde bocia.”

ADELINA: “La é duda do da nene Alma... pore mare, anche por ela

sto Nadal l se betarà ben...”

LIBERO: “Ma tu ce asto, che te me par come avelida... mancia algo o

elo Etore che te fei danà? “

ADELINA: “na dì, no pó esse compagna de chelautra... anche ió ei

algo po l ciou... scolta, Libero (fa l'atto di avvicinarsi al fratello, ma da fuori si sentono rumori di gente che arriva... Entra trafelata Gusta e non sta più nella pelle per l'agitazione. Depone lo scialle, si avvicina alla credenza, prende la solita bottiglia, si versa da bere e se lo scola tutto. Saluta Libero e si siede.)

GUSTA: (euforica) “Ca mo... Libero, vien ndavesin che te buse anche

te... ncuoi to mare e proprio contenta (si avvicina e bacia Libero sulla fronte. Adelina guarda il fratello e tutti e due guardano la madre che si sfrega le mani...)

LIBERO: (riavutosi dalla sorpresa) “Ben, mare... por fortuna che no

capita de spes sti momente, senò cognarae ciatà n autro bus agnò bete a sconde la boza...”

(Gusta inizia a rassettare la cucina canticchiando a bocca chiusa, ogni tanto si guarda come è vestita... si tira la gonna, si mette a posto i capelli, sotto gli sguardi attoniti dei figli)

GUSTA: (mentre pulisce la tavola) “Te te pense, Adelina, chel che te

aveo dito gnante? Ben, à dito Alma che, pi sì che no, chela persona che te disieo... la podarae ruà ncuoi!“

ADELINA: (stupita) “Ncuoi? E ió son ca co ste straze ntorneme...

spitià almanco che vade a canbiame la carpeta!”

LIBERO: “Mare mea... aveu vinto al loto?“
GUSTA: “Tu Libero, no stà date tante pensiere... e varda de dì a

confessate... no te pensaras mia de fei Nadal zenza dì a la comunion?

Senò, cuanche ruarà to fra (con sussiego) don Felice, te farei confessà da lui!“

LIBERO: “Ma se no l é gnanche pree... Felice, l me confessaa cuanche

ereone picui e duieone a fei la messa do de cianeva. Poreta... me nene Adele, por feilo contento, vecia come che la era, la fasea a finta de confessasse... pò, na dì sì e chelautra anche, la dea via de cesa a confessasse por devero!“

GUSTA: (severa) “Porta respeto por to fra... e no stasé feime danà...

ncuoi no é dornada...” (Entra con passo pesante, Nardo, marito di Gusta. Si pulisce dalla neve, appende il mantello e si avvicina al fuoco)

NARDO: “Bondì a dute! Gusta, bicia fora n tin de agadevita, che son

duto ngiazou... mare mea, che tenpo... aveone da fenì de portà apede chele doe legne do n Navare... ma no é afare ades: (risoluto) pitiosto bruso i pès de la taula... ma no vado a verde strade por cuatro rame...” (Gusta premurosa gli versa la grappa, e si versa un bicchierino anche per sé. Adelina gli sfila gli stivali e gli porge le ciabatte.)

LIBERO: (entusiasta) “Saveu pare, che son de libertà fin daspò

Nadal... speron che anche me barba ebe l stesso fastide por l fien, come l vos por le legne... no à da esse n scherzo dì a folà neve su por Col, co sti tenpe...”

NARDO: “Me fra à n fastide ntornese, che l sarae bon de fei fien

anche de gnote... e le legne? No te às visto che l à ntassou tante de chele legne che podarae fei fogo duto Auronzo, por tre inverne... l é n cragnos de un! Te te pense cuanche l dea a parcurià stèle sun proazei... l avea fin l coragio de passà co la scoa grossa a tirià su la dema...”(tutti ridono)

GUSTA: (come di chi sentenzia) “... pi de vecie, no se vien mo...”
ADELINA: (con titubanza) “Pare, seu de luna bona ncuoi?“
NARDO: “Ió son senpro de luna bona... tu, pitiosto (osservando con

attenzione la figlia), te me par n tin sbatuda... par fin che to mare no te dese damagnà...”

GUSTA: (risentita) “No stasé scomenziàla, saveu. Adelina sà da so

posta chel che la à da magnà... no tignon mia la cardenza serada col ciavenazo!“

ADELINA: “Ben, se nprometè de no sautà su, avarae da dive algo...”

(Bussano alla porta. Gusta si ricompone, non sta più nella pelle; si toglie il grembiule, passa una mano per stirare una piega della tovaglia e.. va ad aprire. Si affaccia Gerardo)

GERARDO: “Buongiorno e Buon Natale!“
GUSTA: (simulando stupore e meraviglia) “... Ioso, mare de cuore, chi

che me tocia vede... ce feilo da ste bande? (si allontana un po' per ammirarlo meglio)... chi avarae dito che proprio ncuoi se saressione ciatade! (con rispetto) L viene inze mo, l viene inze, no l stese su la porta... (gli prende il cappotto e il cappello) (Tutti si sono alzati e si fanno incontro all'ospite, dandogli la mano)

GUSTA: (indicando marito e figli) “Chesto é l me òn, Nardo (appena

imbarazzata) me par che no ve sé mai cognossude; (indica Adelina) chesta é me fia Adelina, de disnove ane (alludendo) supodò i ane che aveo ió cuanche ne aveà portou n ciasa chel gramofono che sonaa, l se penselo? Chesto é me fiol Libero, de vinte ane.“

GERARDO: (compiaciuto) “... che bella famiglia, Gusta...”
GUSTA: “L spiete, no é mia fenida ca... daspò ruarà n autro me fiol,

chel che studia da pree, don Felice! N autro é partiu por cantiere do por la bassa... Nozente... almanco l ciatasse una, do da chele bande...”

(Gusta e gli altri si siedono, versa da bere e inizia la conversazione...)

NARDO: “Ades me rivieno chi che l é lui... (con fare assorto, di chi

ricorda…) l é l fiol del dotor che era ca, gnante de la guera... ió me penso de so pare! N galantòn come che se ciata poche n giro... la mare lo ciamaa de spes; neautre staseone a Vilapizola e, che fosse de dì o de gnote, cuanche era besuoi, come che l corea!”

GERARDO: “Eh... povero papà, sono più di quindici anni che è

mancato, ma fino all'ultimo ha sempre dato una mano a chi ne aveva bisogno. (alza lo sgardo e si guarda attorno, ricordando...) Che ricordi... questa cucina... vi ricordate, Gusta, cuando facevamo dannare vostra mamma Nina... e le battute argute di barba Bepo... e Adele, vostra zia...”

GUSTA: “E so mare, siora Maria? Ca no avon pi savù nuia...”

GERARDO: “La mamma sta così, così... ormai ha novant'anni suonati... ma qualche volta ricorda meglio gli avvenimenti lontani piuttosto di quelli vicini...”

GUSTA: (con compassione) “Poreta, siora Maria, la me la salude tanto

salo, cuanche l torna do por Padova. Avarae tanto acaro de védela, ma... ce volo, l viado é longo... (rianimandosi)... son ruada... fin ndavesin de Padova, cuanche coreone por farina, ma ero pi ntrighiada a portà apede i scarpete che a pensà de autro…

(pensierosa)... avon senpro da dì, ió e Alma, do dal Santo... ma co sto andazo, sarà pi fazil che l viene lui fin cassù!“

GERARDO: “Volevo portare con me anche mia moglie che mi ha

accompagnato, ma Alma ha tanto insistito che resti a farle un po' di compagnia... così sono venuto da solo.“

NARDO: “Ben, sarae ora de bee algo a la salute del dotor, che à avù

tanta creanza...” (Tutti alzano il bicchiere che Gusta ha ben riempito)

GERARDO: (allegro) “Allora beviamo alla nostra ritrovata amicizia!

(tutti bevono; entra trafelato Secondo, il solito figlio di Alma)

SECONDO: (concitato) “Barba Nardo, à dito nene Lena che deve do

da la posta che é ruou n telegrama por voi...”(se ne va) (Nardo si allarma e si guarda attorno sgomento: si alza, vuota il bicchiere e si accinge ad uscire)

NARDO: “Ioso, dotor... no e por manciasi de respeto, ma é meo che

vade... se no se vedaron pi, l varde de fei n bon Nadal, e l salude tanto i suoi...” (gli stringe la mano a Gerardo e se ne va )

GERARDO: “Forse è meglio che vada anch'io... non vorrei essere

troppo di disturbo… (accenna ad alzarsi ma Gusta lo trattiene e con mossa gentile ma decisa, lo abbliga a risedersi…)

GUSTA: “ Nò…nò… l stese ncora n tin! Ca l à da esse come a ciasa

soa e no l desturba nessun!”

ADELINA: (intuisce la situazione) “Mare, me son pensada che la

contessa avea dito che desse via da ela a na zerta ora... e meo che me sbrighe...” (saluta Gerardo e se ne va)

LIBERO: “E ió ei besuoi de te, Adelina... sasto chela tosa che te

disieo? Avarae acaro che te vignesse anche tu apede me, almanco la prima ota... por so mare... senò... Sane dotor, l fese bone feste. (saluta Gerardo ed esce con la sorella)

GUSTA: (a voce alta) “No stasé fei tarde, che ca de n tin ruarà anche

don Felice!” (Momento di silenzio... un pò di imbarazzo. Gusta sposta la sua sedia vicino a quella dove è seduto Gerardo... gli versa ancora un pò di grappa... lo guarda negli occhi...)

GERARDO: “Quanto tempo... eh… Gusta?“
GUSTA: (abbassando per un attimo lo sguardo) “... me somea gnere, co

deone a mateà su ca por davoi...”

GERARDO: ”Eh… Gusta, quante scuse dovevo trovare per venire in

casa tua, quando tua mamma non ti faceva uscire... Cosa credi?... che veramente il grammofono lo avessi comperato? Quella volta me lo ero fatto imprestare da un mio compagno di università... ed era una delle tante trovate che mi permettevano di vederti più spesso...” (Gusta si asciuga una lacrima)

GERARDO: “Avevo anche pensato di lasciare gli studi... ma poi le

cose sono andate... come sono andate…”

GUSTA: ”Ben, visto che te te sos verto con tanta sinzierità, te digarei

che anche ió aveo perdù la testa: l stomego me se era serou del duto... no ero pi bona de parà do nuia... no te me dee pi via da la mente… Era chele ote che nvidiao me nene Adele, co le so sòle da scarpete e i so rosarie... a ela bastaa chel por esse contenta!”

GERARDO: “Che bella, la gioventù! La apprezziamo solo dopo,

quando ormai è passata!”

GUSTA: (ricomponendosi) “É vignù ora, daspò, de maridiame! Ei

sposou n bon òn, Nardo (con tono più rassegnato...) n tin senestro, ma n toco de pan. Eh... l destin proede come che l vo…e ntanto che son ca, ió e tu a contàsela, i ane i và avante...”

GERARDO: (con tono allegro) “Bando alle malinconie, Gusta! Farò in

modo di passare più spesso a trovare, te… tuo marito e i figli...”

GUSTA: (come riprendendo contatto con la realtà) “Ioso, Gerardo, ades

che te parle de fioi… no te me farae n piazer? Sarà doe stemane che me fia Adelina no la é nuia dal vres: la magna poco e pò la bicia su duto... da le ote la và via coi suoi... me par che la se ndebolisse senpro de pi, chela pore fia. No te i darae n ociada? A dì dal nos dotor, la dis che la se vargogna...”

GERARDO: ”Non chiedermelo due volte, Gusta. Adesso vado a

raggiungere mia moglie perché dobbiamo passare a salutare il parroco, ma domani, a qualche ora, capiterò di nuovo. (si fa più vicino a Gusta)... non è un'altra scusa per farmi tornare di nuovo a casa tua?“

GUSTA: (compiaciuta) “Camina mo... (gli dà una manata sulla spalla)...

son ncora na bela femena!” (Gusta aiuta Gerardo a mettersi il cappotto, lo accompagna alla porta. Uscito Gerardo, entrano Libero e Nardo)

GERARDO: “Allora, arrivederci a domani”
NARDO: ”Sane, dotor… (si gira verso la moglie che lo guarda con aria

stupita e interrogativa...) Ciò, Gusta, liede ca... (le mostra il telegramma aperto) e Nozente che ne à mandou n telegrama...” GUSTA: (prende gli occhiali da una tasca, avvicina e allontana il foglio, per metterlo a fuoco e... leggendo lentamente, quasi sillabando, a voce alta) “Impossibilitato venire per Natale vi auguro buone feste a tutti vostro figliolo Innocente e futura nuora e cognata Cecilia tanti bacioni a Adelina“ (Gusta ha un moto di stupore che subito si tramuta in contentezza)

GUSTA: (al marito) “Aveu visto se Dio no l proede ? Ereà belo seguro

che vos fiol l sarae restou n castron! Ce aveo dito ió... duto so mare!“

NARDO: (indispettito ma contento) “Coré là mo... cuanche l fosse

restou n castron, l sarae stou fiol mè... ades che l à ciatou na femena, l é fiol vos! (più calmo) Comunque, ei acaro! Nozente tole chela da le basse, Adelina tole Etore, Libero e n zerca e Felice và pree... ben, ben...”

GUSTA: “Tigneve n bon mo... nome duto chel che ei preou! Santa

Rita, Santa Ostina, Santantone... son stada su mede le gnote a domandà la grazia, che i tiene le man su la me famea!”

NARDO: (risoluto) “Anche la mea!”

(Nardo si siede vicino al fuoco e accende la pipa, prendendola dal taschino della camicia)

GUSTA: ”Nardo, aveu visto agnó che é dù l pare? Da le ote me

somea fin de sta davoi de n tosato... L à pi salute ades de cuanche l era doven...”

NARDO: “Lo ei vedù do de botega che l duiaa a le carte... me son

anche fermou n tin a duià, ma l vinziea senpro lui... fin che me son stufiou e son tornou a ciasa... (alzando il tono di voce)... por me, to pare nbroia!“

GUSTA: “Pore vecio...”
NARDO: “L sarà anche n pore vecio, ma é n pore vecio che nbroia!“
GUSTA: “Ca de n tin ruarà Pierin. Ncuoi bonora l à dito che l sarae

passou por dìve algo... (cambia tono)... ce voleu che fese, beto su chi fasuoi che é n biando da nsiera o nos-cè pestariei?“ 32

NARDO: “Beté ce che volè, ma n bon tin! Doman scomenziaré a dì

che beson tegnisse col damagnà, porcé che se magna de pi l dì de Nadal... e meo ciapasse n davante!”

GUSTA: “No stasé senpro lamentave...”

(Entrano assieme, Adelina e don Felice)

ADELINA: “Vardà chi che ei ciatou por strada! L era apena

desmontou da la coriera… (Felice appoggia a terra la valigia e abbraccia Gusta e Nardo)

GUSTA: “Alora, Felice... come vala? Te vedo n tin smagriu... no i te

dà assei da magnà do n seminario?“

Un figlio prete! Era certamente una delle massime aspirazioni che una mamma poteva avere. Esiste, testimone di ben altri tempi ed altri valori,una piccola letteratura fatta di canti e scenette in onore della “mamma del sacerdote”, dove viene rappresentato, a volte con enfasi, il merito e lo spirito di abnegazione di questa donna.

Specialmente in famiglie molto numerose, non dispiaceva l'idea di mandare un figlio in seminario: una bocca in meno é un sicuro avvenire, è vero, ma anche l'orgoglio di donare un figlio alla Chiesa e di vederlo annoverato fra le persone colte del paese.

Poteva accadere che la vocazione non fosse proprio... convinta, nel qual caso gli studi, ancorché dirottati verso altre branche del sapere, ma irrobustiti da una solida formazione umanistica, forgiavano notai, avvocati o gente di “lettere”. Più spesso però si trattava di autentiche vocazioni, scelte di vita ispirate dalla testimonianza esemplare di santi preti, di cui rimane il ricordo in austeri ritratti o in paludate epigrafi.

FELICE: “Son contento de védeve! Gnanche n seminario no é tanto

da ride, e se no fosse por calche anema bona che ogni tanto slonga na “bona man”, tociarae disgnà de magro de spes... ma avon senpro preou l Signor con tanta feduzia...”

NARDO: “Ben, ben... porcé che co la feduzia se se ngrassa poco...”
FELICE: “Pare, ei acaro de sentive de bonumor (si siede) e alora ve

digo dereto che la scola và ben e i miei superiore i é contente de me. (guarda Adelina) Tu pitiosto, Adelina, te vedo n tin patida de vis... no stà esagerà coi fiorete e le penitenze! L Signor se contenta anche de manco...”

(Adelina, borbottando qualcosa di incomprensibile, se ne va in camera)

GUSTA: “Te saras straco del viàdo, fiol mè. (preoccupata) Sosto belo

passou a saludià l pioan?“

FELICE: “Ades me lavo le man e vado.“

(Felice prende la valigia e si avvia verso la camera. Gusta continua a cucinare; poi apparecchia la tavola e Nardo ravviva il fuoco nella stufa. Bussano alla porta ed entra Pierin)

PIERIN: “ Bona siera a dute “ (appende il mantello dietro la porta)
NARDO: “Ve saludo Pierin...vegnì ca a saudave n tin...”
PIERIN: “Duto l dì che l nevea... pensave che inze por Reziò a

manciou poco che done do por sote, ió e i ciavai! Por fortuna che era Nin, pede me... par che l see nassù col verson de man... l à dou n pei de colpe, fin che l à tiriou dagnoo la cubia su de stradon! Me la son propio vista bruta...” (Gusta gli porge un bicchiere di vino. Felice torna dalla camera e… avendo sentito le ultime parole di Pierin)

FELICE: “...E senpro calchedun che varda do, da lassù... (si avvicina e

abbraccia Pierin)… Come seu, barba Pierin... ve ciato senpro pi doven...”

PIERIN: “Ciò, Felice, cuan disto messa? Varda de tegnime vertiu,

sasto... che ió e me femena te pariciaron n bel regalo!”

FELICE: “Dé ncora adora, barba Pierin! Saludià nene Milena, e

disiesi che passarei a ciatala. Ades ei da dì do de calonega, ve saludo...” (Gusta accomoda il mantello sulle spalle di Felice, lo tocca e lo accarezza, poi torna alle sue faccende)

NARDO: “Alora, Pierin, me disiea Gusta che aveà besuoi de dìme

algo...”

PIERIN: (come chi si ricorda improvvisamente il motivo per cui si trova in

quel posto) “Ah… che ciou! Ogni dì me desmenteo de algo... avé rason, Nardo.Ve pensau cuanche aveone fato nsieme domanda de pension, st aissuda passada?“

NARDO: “Orpo, se me penso...”
PIERIN: “E ve pensau che i ne avea dito de betessela via, se

credeone de tiriasi inze de l an... sti cuatro schei?“

NARDO: (risoluto) “Credo ben, che me penso... laurà na vita come na

bestia, pò dové anche slanguì chel che é belo mè!”

PIERIN: “Alora, Nardo, avé da esse contento! Saveu ce che ei fato?

Ei tanto brighiou pede Amedeo, l òn de Alma, che l laora po le ferovie, do por Padova...” (Gusta, sentendo nominare Padova, si gira di scatto,allarmata) “…l à giriou por ufìzie, l à ondù agnó che ocorea... e gnere la me pension la é ruada... co i aretrate!” NARDO: (si toglie la pipa di bocca e, sorpreso) “E la mea?“

PIERIN: “Voi credè che ebe pensou solo por me? Anche la vostra era

apede la mea, ma ocorea na firma, e l postin à dito che l repassarà cuanche l ve ciata, cossì de chela strada, podarè anche tiriala!“

GUSTA: (che ha seguito tutto il discorso,con le braccia appoggiate ai

fianchi, annuendo con il capo, soddisfatta) “Santa Madalena e Santa Ostina! Aveu capiu, Nardo? E voi, Pierin, porcè ncuoi bonora no me avé dito nuia?“

PIERIN: “Porcè che aveo ncora da vede anche la mea... pension!“

(Si apre la porta e, arrancando, entra Guanin, padre di Gusta, un po' alticcio e malfermo sulle gambe. Mette il cappello e il mantello sulla sedia, perchè è talmente curvo da non arrivare all'attaccapanni)

GUANIN: (con la voce di chi ha alzato un po' il gomito) “Saludo dute…

(tutti lo squadrano,in silenzio)… Gusta por prima, Nardo por secondo, Adelina por terza! (alza il capo e guarda i presenti che lo osservano in silenzio...) Me tocia parlà e responde da me posta...”

GUSTA: “Pare, anche sta siera sé ruou a vede l cu de la boza! Da sto

vres, tirià davoi del nono...”

Grappa, sgnapa... è il nome più significativo,”agadevita”, pronunciato distrattamente, senza ovviamente pensare all'impegnativo significato che portava con sé. In tempi magri, oltre ad un “salutare” momento di conforto, procurato da leggere euforie o ubriacature più o meno forti, si usava la “sgnàpa” anche per il mal di denti, sfruttando il blando effetto anestetico che procurava, a contatto con denti cavernosi o infezioni gengivali. Qualcuno usava l'alcolico elisir per sfregare i polsi e la fronte, in presenza di febbre persistente.

Se ne faceva largo uso, dice la storia “minore”, da parte dei militari nel primo conflitto mondiale, prima di proiettarsi dalla trincea per sferrare l'ennesimo assalto al nemico. Lo usa(va) il timido diciottenne in cerca di sicurezza, per darsi un tono e vincere paure e imbarazzi. Ad una persona in visita, si offriva il “bicerin” e al primo mancamento, dovuto in tempi passati più ad una scarsa ed errata alimentazione, che a seri problemi di salute, si ricorreva a questa, panacea di tutti i mali. Che sia per questo che la chiamavano “agadevìta”? (entrano assieme Libero e Felice) 38

GUANIN: (guardando Felice) “Sosto ruou, Felice! L me tosato... come

sosto? Ió ades son felice... anche tu te sos Felice! No me penso pi se son felice de esse Guanin o... Guanin de esse… felice! Mah... tocia contentasse de esse chel che se pó...”

GUSTA: (perdendo la pazienza) “Finìla mo... co ste descorse che no à

né capo né coda, e vigné a magnà.“ (Tutti si avvicinano alla tavola. Pierin si accomiata)

PIERIN: “Beson che vade ades, senò Milena bete via duto...”

(Nardo accompagna Pierin fin sulla porta, poi si mette a tavola. Felice è al centro; recita, in piedi a mezza voce, la preghiera. Tutti si siedono e cominciano a cenare)

GUANIN: “Agnó éla chela tosata?“
NARDO: “Agnó éla Adelina... se son desmenteade de la tosata...”

(Entra dalla porta che conduce alle camere, Adelina, tenendosi una mano sul ventre)

ADELINA: “No voi mancià de creanza, ma no ei voia de magnà

nuia, sta siera. Veautre scomenzà pura... ió me sento ca vesin a la fornea.“

GUSTA: “Te saudo n tin de brodo...”
ADELINA: “Nò, nò... lassàme stà...”
GUANIN: (ancora un po' allegrotto per le ultime libagioni, guardando il

nipote Libero) “Ciò, Libero... saveesto de esse n òn fortuniou?“

LIBERO: (sta alla battuta del nonno e…) “Co n nono de sta sorte...”
GUANIN: “Porcè che te sos libero ades, e te saras libero anche daspò

maridiou! Asto conpreso, che na fortuna che te é tociada...” (Tutti continuano a cenare, discorrendo del più e del meno. Adelina è seduta vicino alla stufa e si sforza di sorseggiare un po' di brodo. (Musica) Terminata la breve cena, Gusta inizia a sparecchiare, Felice si pulisce la bocca, bisbiglia una preghiera e…)

FELICE: “Ben, vado su de canbra a fenì de dì le me orazion...”
LIBERO: “Ió vado a fei n tin de strada... me par che no nevee pi...”

(esce) (Mentre Gusta sparecchia, Adelina finisce la sua scodella di brodo, Guanin si siede su una sedia nell'angolo e accende la pipa... Nardo attizza il fuoco. Libero rientra solo dopo pochi secondi…)

LIBERO: “Pare, ei besuoi che me daseve na man... con duto sto neve,

no sei da ce parte scomenzià! Ve la sentiu?“

NARDO: (prende il cappello e il mantello) “Ce credesto! Sasto cuanto

neve che ei spalou... da cuanche te camignae a cuatro gianbe!” (Gusta, che non sta più nella pelle... dopo le emozioni del pomeriggio, dice al padre)

GUSTA: “Pare (ad alta voce) ió feso n sauto do da Alma... no steso

tanto, aveu capiu?“

GUANIN: (rispondendo ad alta voce) “ Ce ocore sbegarà... no son mia

sordo! Ei capiu... te vas su adàuto por stà pi calma…”

GUSTA: (scuote la testa delusa... guarda Adelina e…) “... Vado e

torno...”

(Silenzio. Adelina ha preso in mano il corredo e si sforza di dare qualche punto. Ogni tanto singhiozza... è tutto il giorno che cerca un'occasione per parlare... al nonno la cosa non passa inosservata.)

GUANIN: “Adelina... ce asto che te piande?“
ADELINA: “Nuia... nuia, nono... ogni tanto me vien n tin de

malinconia…”

GUANIN: “Asto calche pensier... elo l to moros che te fei danà?“
ADELINA: “… Nò, nò... ei n tin de mal de testa, ma passarà...”

(Guanin porta la sua sedia vicino a quella di Adelina e le si siede accanto)

GUANIN: (le parla con tenerezza) “Vien ca, vien ca pede to nono! Ió ei

n remedio che no fala! Cuanche ero tosato... zento ane fa, me pare me tolea n brazo, e pian pian, scomenzaa a contame na storia... (appoggia una mano sulla spalla della nipote)... scolta mo... scolta...” (inizia un racconto in dialetto... mentre le luci si abbassano e il sipario si chiude lentamente. Musica)

QUADRO SECONDO

E' il pomeriggio della vigilia di Natale.

Sulla scena c'è Gusta che sferruzza e accanto a lei Adelina che continua a lavorare all'interminabile corredo. Ogni tanto Gusta guarda, sospirando, verso la figlia... preoccupata perché Gerardo, il medico, non si è ancora fatto vivo, come aveva promesso.

GUSTA: “Iòso... sto dotor a da essesse perdù via! Cossì n preciso

che l era... é da ncuoi bonora che lo spition...”

ADELINA: (con tono malizioso, alludendo...) “Mare, smaneau porcè

che l à da vegnì a visitiame o...”

GUSTA: (burbera, trattenendo un sorriso) “Ciò... pizoliata... te às da

proà ncora tante de chele tu...”

(Bussano. Adelina va ad aprire e sulla porta appare la figura esile della contessa Pàviza. Vestita di nero, il collo di pelliccia mette in risalto il volto pallido, coronato da una veletta scura che le scende fin davanti agli occhi. Guanti neri, bastone con pomello d'argento... quel che rimane dell'antica nobiltà balcanica... Gusta le si fa incontro premurosa)

GUSTA: “Bona siera, siora contessa... la se acamode!”
CONTESSA: (tono altero,soppesa le parole) “Buondì, Gusta. Passavo da

queste parti e sono venuta a vedere come sta Adelina, dato che stamattina non l'ho vista...”

ADELINA: (con tono rispettoso e deferente) “No ero tanto dal vres,

beson che la me compatisse... ma ades me somea de esse n tin meo.”

GUSTA: “Bicio fora n bicerin, éro che lo gradisse?“
CONTESSA: “Come se fei… (correggendosi)... come si fa a rifiutare?“

(Gusta prende dalla credenza un bicchierino, lo pulisce con una “canevaza” pulita, lo guarda in controluce.. .versa da bere e lo porge alla contessa.)

GUSTA: (alla contessa) “Son ca preocupada che no vedo pi ruà sto

dotor... (si avvicina alla contessa)… l avea da vegnì a visitiala. “

CONTESSA: “Ah... mali di gioventù“… (continua a parlare,

incoraggiata dalla grappetta... in sottofondo, lievissime si odono le note di un antico valzer, che accompagnano i ricordi della nobildonna...)… se mi soffermo a pensare alla mia gioventù... le feste... in Bulgaria... (ogni tanto sorseggia dal bicchierino che Gusta, premurosa, rabbocca) Sapessi Gusta... mi commuovo ancora a pensarci! Io e le mie due sorelle, Fàniza e Bàriza... attorniate da bellissimi giovani... baldi ufficiali che si sarebbero sfidati a duello pur di ottenere un ballo con me...” (Gusta è immobile, con la bocca semiaperta... Adelina ha fatto cadere l'ago e lavora di fantasia... osservando l'anziana donna che continua a ipnotizzare l'uditorio...)

CONTESSA: (continua) “... più che il Natale, noi festeggiavamo il

capodanno, nel mio grande palazzo… (guarda in alto... sognando ad occhi aperti)… ampi saloni, servitori... camini accesi… champagne a fiumi… gente meravigliosa che cantava e sorrideva...”

GUSTA: (rapita dal racconto) “... ce che la dìs!“
ADELINA: “ Iòso, mare mea, me par fin de esse stada anche ió...

là...”

(Gusta versa l'ennesimo bicchierino alla contessa)

GUSTA: “La conte mo... e... e… (curiosa)… e i so “mariti”? Me par

che la era maridiada, éro? (guarda Adelina e ammicca...)

CONTESSA: “Ho sposato uomini ricchi... affascinanti (più sconsolata)

ma attempati e... infedeli! Tutti, chi in un modo, chi in un altro, miravano alle mie sostanze... (Gusta e Adelina si guardano perplesse e stupite)... ma li ho seppelliti tutti! Anche se sono riusciti a rovinarmi: un po' loro... un po' le guerre... eccomi qua.“

GUSTA: (trascinando le parole) “... eh... anche ela à proou le soe!

(incalzante, volendo saperne di più)... e... siora contessa, la me scuse... ala avù anche fioi?“

CONTESSA: (addolorata) “…La vita non mi ha dato tutto! Quanto ho

atteso un figlio... e quando credevo di poter esaudire il desiderio... povera creatura, dovevo arrendermi ad un fosco destino... Dio solo sa, cosa non avaria fato... per avere un figlio mio...”

GUSTA: (compassionevole) “Ciò mo... ce che à da capitià, a na femena

de sta sorta...”

CONTESSA: “Sono vecchia, ormai!... ah... se lo avessi avuto… un

figlio, si sarebbe potuto godere quelle quattro cose che mi sono portata dietro dalla Bulgaria...”

ADELINA: (sottovoce, alla madre) “... la và n giro che la somea “de

npresto”, ma sei ió ce che la tien sconto a ciasa soa...”

GUSTA: “Ben, siora, cuan che la à besuoi de algo, la sà che ca le

porte é senpro verte, por ela...”

(Bussano. Gusta va ad aprire, mentre la contessa si alza accingendosi ad uscire. Entra il dottore)

GUSTA: (con la solita voce mielosa...) “Oh... ero belo ca che smaneao...”

agnó saralo mai du, sto òn...” me disieo...”

GERARDO: “Buona sera! (vede la contessa) Buona sera signora

contessa! (le bacia la mano) Ciao, Adelina... Gusta cara... (Gusta trasale)... so che mi aspettavate prima, ma siamo stati “catturati” dalla tua amica Alma che mi ha presentato a... tre generazioni di parenti, tutti, chi più chi meno, ammalati, intossicati, affaticati... chi con un foruncolo, chi con la gotta... se mi avessero pagato la consulenza, mi rifarei l'arredamento di casa!”

CONTESSA: “Ho il piacere di averla salutata, dottore...no, no... non

tema, non le “scroccherò” l'ennesima visita... (porge la mano) la saluto e... spero di rivederla ancora. (Gusta, borbottando frasi di circostanza, accompagna l'anziana donna alla porta) (Gerardo è seduto e Gusta, rientrata, le si siede vicina, premurosa )

GERARDO: ”Ah... bene, bene... allora, Adelina, siamo pronti per

questa visita?” (Adelina guarda, apprensiva, la madre)

GUSTA: “Su mo… dé su de canbra che starè pi chiete. E tu, Adelina,

ese na braa... e fei duto chel che dìs l dotor!“

(Gerardo e Adelina, preceduti da Gusta, si avviano alla camera. Non sono neanche usciti di scena, che entrano Guanin e Felice)

GUANIN: (sempre ironico) “Ciò, Felice... no te me digaras mia che te

ei portou a la perdizion... visto che te ei menou pede me do de botega... a tole algo da bee...”

FELICE: “Ió vieno volentiera apede voi, nono... savé che ve voi ben.

Ma se calche ota, nvenze de dì do de botega, sbaglià n tin strada... e dé n vres la cesa... no sarae tanto mal!”

GUANIN: “ Stà seguro... che cuan che é ora...”
FELICE: “Seu dù a confessave, almanco...”
GUANIN: “Diomesì che son dù... e l pioan… senpro n galantòn, l

me à spordù na presa de tabaco... avon fato na tiriada... (pensieroso)… me par che l see nveciòu sto pree... l ultima ota l avea n tin de pi estro!“

FELICE: “Beson vede cuante ane che é passade, da l ultima ota che

ve sé ciatàde...” (Rumori dalla porta delle camere... entrano Gusta e Gerardo)

GUANIN: “Bona siera, dotor.. .se se vede, ogni tanto...”
GUSTA: (presenta con orgoglio il figlio “prete” a Gerardo) “Chesto é

Felice... chel che studia da pree!“

FELICE: (porge la mano a Gerardo) “Buonasera, dottore”
GUSTA: (a Felice) “L dotor é ca por dà n ociada a to sió... (a Gerardo)...

e alora?“

GERARDO: “Posso lavarmi le mani, Gusta?“

(Premurosa all'inverosimile, mortificata per non averci pensato prima...)

GUSTA: “L viene ca mo... eco… (gli porge un asciugamano pulito)… l

se suie. (Gerardo si lava le mani in un catino, le asciuga, si tira giù le maniche e...)

GERARDO: “Tutto bene,Gusta... (i tratti del viso di Gusta si

rilassano)....”

TUTTI “ bene (sottolinea quel “tutti”)... tutti bene. “

(Gusta impallidisce e guarda il medico)

In una “buona” e rispettata famiglia, avere una figlia incinta prima del matrimonio, rappresentava una vera e propria disgrazia. La gente, crudele ed immediata quando c'è da commentare i fatti altrui, non ci pensava due volte a tacciare la ragazza come “na poco de bon”. L'espressione, allora come oggi, era oltremodo ingiuriosa... e in una società dominata da una semplice ma ferrea morale cattolica, comportamenti trasgressivi di tal fatta bollavano impietosamente per molto tempo l'interessata e... il figlio.

In condizioni “normali”, prevaleva il buon senso: i due si sposavano, aiutati con comprensione dalle rispettive famiglie e la creatura veniva comunque salutata come una benedizione del cielo. Diversamente, madri forti e coraggiose, mettendosi anche contro tutto il parentado, sceglievano di far nascere il figlio “della colpa” allevandolo con amore ed abnegazione non comuni.

GUSTA: “Come...”
TUTTI” bene?“
GERARDO: “Ma lo sai, Gusta... quante belle signore vorrebbero

avere la malattia di Adelina?“

GUSTA: (parla come una sonnambula...) “Come... malatia...”
GERARDO: “Succede (un po' allegro, per mitigare il colpo)... che la

famiglia, al più presto... aumenterà di numero! E... se l'esperienza non mi inganna... il numero è: maschile!“

(Mentre Gerardo parla, Gusta gli si avvicina a bocca semiaperta... ora stramazza sulla sedia: Gerardo, senza troppo scomporsi le porge un bicchiere d'acqua. Piano, piano,la donna torna alla triste realtà...)

GUSTA: “... come…”maschile”... no te volaras mia dì che ió… che

Adelina... che spition... spition n pupo?”

GERARDO: “Brava! E se non stiamo attenti... fra stasera e

domattina... eh... altro che il bambinello del presepio! Questo è vero !” (Nel frattempo Gusta si sta rimettendo dal... colpo...)

GUSTA: “Ma... ma… ce ala fato! Ce ala fato sta fia sfondrada! Ioso

che na vargogna! Sporcaciona de na sporcaciona! La me l à fàta... (guarda il padre)... aveu visto, pare... la me l à fata sote i oce. (Felice si fa un segno di croce) Autro che promete de dì a Rosario... a fei i so afare, la é duda... (adirata)... na poco de bon... aveone n ciasa... (agitata, non trovando pace)... e ió che credeo che la avesse algo sul stomego... (alzando la voce)... diomessì che la avea algo!“

GERARDO: “Su... su, calmati ora... non è la fine del mondo! Anzi, se

certe cose non succedessero... sarebbe la fine del mondo...”

GUANIN: “Ió ei nos-cè ane pi de te, Gusta... e sei come che và l

mondo... (cambia tono)... chela pore fia, é na stemana che la proa a dive algo, ma na ota po n vres, na ota por n autro, i avé senpro serou la bocia. Anche tu... no te la às vardada pi de cossì... de ce aveesto besuoi, por capì?“

GUSTA: “Ma se no avarae visto n tin de stomego, gnanche a dì

ndavesin! Diomessì che i fasea mal de panza... come che la se strendea inze! (decisa)... Ades vado su e...” (Gerardo la trattiene) GERARDO: “Gusta, pensandola in questo modo, non risolvi niente, anzi, rischi di aggravare la situazione...”

GUSTA: (a Felice) Ciò, Felice, fei n piazer a la mama... va via da nene

Fiorina... e dì se la pó fei n sauto...” (Felice esce)

GUSTA: (a Gerardo) “ Scolta, Gerardo... fin che se trata de mal, te pos

anche dime come che se à da fei... ma de ste robe, no é nuia de meo de na zapela, come che costumiaa la mare!” (Gerardo prende Gusta sottobraccio ed insieme avanzano sul palcoscenico, in faccia al pubblico) 52

GERARDO: “E... se fosse capitato a te... a noi? Non ti ricordi di

niente? Proprio niente?“

GUSTA: (più calma) “Ió... aveo la testa tacada al ciou... ma (dubbiosa) é

algo che no sei ncora... vosto vede che é stou chel brao fiol de Etore! Madona mea, no i podea spitià ncora n tin... (furiosa) fei che l me capite sote le zate!“ (Bussano: entra la contessa Pàviza, un po' imbarazzata, perché non ha potuto far a meno di ascoltare le ultime parole di Gusta)

CONTESSA: “Sono tornata a prendermi i guanti... con la testa che

mi ritrovo… (li vede sulla sedia)… ah… eccoli... ma, sicuramente ho disturbato...”

GUSTA: “No é ela che la disturba, siora contessa, chi che avea da

desturbà, a belo finiu... (guardando il quadro della Madonna appeso alla parete)… no aveone assei pensiere... anche chesta!”

CONTESSA: “Ti chiedo scusa, Gusta, se entro in cose che non mi

appartengono, ma aspettando fuori dalla porta, non ho potuto fare a meno di ascoltare i vostri discorsi...”(si siede vicino a Gusta e con affetto le prende una mano)

GERARDO: “Gusta, è meglio che io vada... ormai ci penserà Fiorina,

la levatrice. Se ci sono complicazioni, mandami pure a chiamare, ma come ho visto io, tutto si dovrebbe svolgere nel migliore dei modi. “ (si alza e se ne va)

GUSTA: (è vicina alla contessa che la consola) “Ades co rua Nardo, chi

lo siente? Chel é bon de spacasi na cariega su la schena... ioso, siora contessa... ce che ne avea da capitià...”

CONTESSA: “Forse le cose sono meno gravi di quello che pensi,

cara la mia Gusta! (non può finire la frase, perchè entra Nardo, brontolando per la troppa neve. Si toglie il mantello... ma si accorge subito che qualcosa non quadra... saluta in fretta la contessa...)

NARDO: “Ce aveu, che me paré dute romenade su?”
GUSTA: (attingendo a quel po' di energia rimasta...) “Ben, no stasé

tacàla saveu... solo porcè che no avon la ziera che ve comoda!”

NARDO: “Se fosse por chela... avessione senpro da radeà...”
GUSTA: (con l aria di chi sa che, prima o poi, dovrà rivelare l'arcano...

meglio prima...) “Ben… tanto val che lo saveve ades...”

NARDO: (allarmato) “Ce ei da savé ades?“
GUANIN: “... tosate, vardà che chela fia... à da esse pi capida che

passida...”

NARDO: “Ce disieu, pare?“
GUSTA: “É stou ca l dotor... l dotor Gerardo, e à dou n ociada a la

tosata...”

NARDO: (sulla spine...) “... Alora?“
GUSTA: “... Ve pensau cuanche avea da nase Nozente... che la

levatrice sconfìa che sarae nassude n doi... un e una?”

NARDO: (quasi quasi... intuisce dove la moglie vuole andare a parare... in

tono di sospetto) “... E… ce voleu dì?”

GUSTA: (continuando) “... Ereone belo betude su... e cuanche nvenze

de doi, é nassù un solo... ereone dute come perdude...”

NARDO: “... No stasé menàme po l nas... (risoluto) vignon al

duncue!“

GUSTA: (alzando appena la testa) “... Ades no avon pi da esse

perdude...”(interviene Guanin, fra il serio e...)

GUANIN: “... Ades ve se ciatade!”
NARDO: (come dopo una rivelazione... attonito, sbigottito... quasi

sperando che la cosa non sia come lui la immagina...) ”... La tosata...”

GUANIN: “… L tosato...”
NARDO: “... La me tosata...”
GUANIN: “... L nos tosato...”

(Nardo inizia a ribollire, sul viso passano velocemente i colori dell'arcobaleno... fermandosi sul violaceo...)

NARDO: “... Etore... fiol de n can de un..! No stasé dime che l à fato

chel che no ocorea!” (Gusta tace e Nardo ha la conferma.)

NARDO: “Agnó éla sta porzela de na pelanda... spieta che la curo ió

a modo mè... (si sfila la cintura dei pantaloni e fa per andare verso la camera. Gusta lo trattiene e lo fa sedere.)

GUSTA: “Bestia de n òn! Sé proprio n “roncio”... (adirata) no savé

che la pó conprà a momente... e avessià l coragio de batela!“

GUANIN: (minaccioso, a tutti e due) “No ve mancia l coragio de

ondela... e gnanche de piantàla su de canbra, sola come n cian... (alzando la voce)... gnanche la vacia no se la lassa sola cuanche la à da fei...” (Entra di corsa, senza bussare, un vagone a forma di donna... con le mani a mò di vanghe... Fiorina, la levatrice. Ha visto nascere più creature lei che... non è allarmata più di tanto, abituata com'è ad essere chiamata a tutte le ore. Non perde però tempo prezioso)

FIORINA: “Eco... son ca... son partida come che ero... ce elo stou?“
GUSTA: (minacciosa) “Vegnì ca… che avon besuoi de voi... ma vardà

che no ve scanpe de bocia na parola savé... senò i conte li farè con me!“

FIORINA: “Ben... ben… no stasé saudave tanto...”

(Gusta spinge, quasi... Fiorina verso la porta della camera)

GUSTA: “Vegnì apede me...” (vanno in camera)
NARDO: “Sta porca de na fia... ce i à manciou? Propio ncuoi… la

vea de Nadal! Me parea fin da stranio... che duto desse massa ben...” Te vedaras che sarà da pagàsi, sti biei momente“ me disieo. Eco... ai porete pioe sul cu anche cuanche i é sentade!“

GUANIN: “Stasé n bon... ce avessiau dito, se la tosata avesse avù na

malatia... de chele che te porta... agnó che savon...”

NARDO: “... Magare... sta porcaria… portà l disonor inze de ste

porte!“ (Gusta torna da sola dalla camera)

GUSTA: “Ades e Fiorina apede ela... ma da come che se bete... no

avaron da spietà tanto...”

NARDO: (ricerca una soluzione onorevole, che altri, nella medesima

situazione, avevano messo in atto...) “Ciò, Gusta…no te te pense de Selma... nos-cè ane fa... cuanche la avea fato i so afare... che n dutalfato la é sparida da la circolazion... e la avon veduda daspò tre mes, pi na bela e pi ben betuda... e soralduto, zenza pupe! (guardingo... per non essere sentito che dalla moglie, si avvicina al pubblico)... podessione vende chel tin de cianpo, ca do… con chi cuatro schei... Adelina la podarae dì n calche retiro... fei sto tosato... colealo agnó che é meo... e tornà... ce disto?“

Sembra che la prima preoccupazione di Nardo sia proprio quella di salvaguardare la rispettabilità della famiglia: allontanare il bambino. Anche in questo caso, è la saggezza e generosità della donna cadorina ,a mettere a posto le cose. Avezza a confrontarsi con situazioni difficili, in tempi di guerra e di pace, misurandosi continuamente con un'economia “border line”, come si direbbe oggi, impegnata a “fei deventà”... anche quando i mariti non avevano lavoro o la terra non rendeva, la forte donna riusciva a “ciatà la pedia”...tirarsi fuori. (non riesce a continuare... Gusta si alza e lo investe come una furia)

GUSTA: “Sentì, òn de peza... i tosate à sbagliou... e su chesto no é

dubie! Ma se credé che la fia de Gusta ebe da fei de ste mascrade, ve sbaglià de gros!” (É in piedi e minaccia, sovrastando il “marito” che, pur avvezzo alle peggiori avversità atmosferiche e di lavoro, arretra, intimorito da una situazione che richiede ben altro coraggio...)

GUSTA: (continua...) “Avon passou doe guere! On pagou dute i

debete... avon betù a posto sto tin de ciasa... fato cuatro fioi... e credé che me tire n drio davante a na bocia de pi? Se credè chesto, alora sé n macaco... e miertà de sta pede le strie... n medo ai barancie!”

(Nardo è allibito da tanta furia... La contessa Pàviza, che fino a questo momento ha seguito la discussione in silenzio annuendo alle parole, ora di uno, ora dell'altra, con mossa decisa, si alza in piedi e...)

CONTESSA: (risoluta) “Ió non faccio parte della famiglia! Sono solo

una vecchia donna che non è riuscita a mettere al mondo un figlio! Ebbene, questo è il figlio di Adelina, ma sarà anche il mio figlio! (Gusta e Nardo si guardano sbalorditi...dall'intervento inaspettato)... Sarà il figlio che io ho sempre cercato... sarà quel po' di affetto che la vita mi ha negato. (si rivolge a Gusta) Gusta: tutte le mie sostanze e i miei averi, tutto sarà della creatura che deve nascere. Non dovrete preoccuparvi più di niente! Io, la contessa Pàviza, sarò la madrina del piccolo, che erediterà tutte le mie sostanze! Dopo le feste andrò dal notaio e metterò nero su bianco!“ (Trascorrono cinque secondi di silenzio... Gusta, immobile, gira però lo sguardo verso il marito, anche lui statuario. I due sguardi si incrociano e si dirigono verso l'espressione severa e decisa ma soddisfatta di quella santa donna della contessa.)

NARDO: “... Ioso... ce avon da dì?“
GUSTA: “...Ela diarà dreta n paradis...”
GUANIN: (divertito) “Toche de gnoche! Aveu visto... l Signor vede e

proede!” (Si sentono le voci dall'esterno, che cantano... il gruppo della “bela stela “ va di casa in casa ad annunciare il Natale. Gusta va alla finestra... agita un po' la mano e saluta... il coro si va allontanando)

NARDO: (ricordando, comunque, la realtà dei fatti) “... Ioso... ce digarà

la dente...” GUSTA: (decisa) “... La dente à assei da pensà por sé... cuanche ognun à pensou a chel che à inze de le so porte... no vanza a pensà a chel de chi autre...” (Bussano alla porta. Gusta apre ed entra Bettina, l'amica di Adelina. Bettina sapeva ma...)

BETTINA: “Bona siera nene Gusta, son passada a vede come che stà

Adelina...”

GUSTA: (mettendosi le mani ai fianchi) “Ciò, Betina... tu no te savee

nuia... che Adelina stasea... poco ben?“

BETTINA: “Nuia... nuia… (tradendosi)... e che no saveone cuanto

tenpo che restaa... (sentendosi persa, abbassa lo sguardo...)

GUSTA: “Bestie de tosate! A pason sarae da mandave... apede de le

vace!”

BETTINA: “... Porcè... ce voleu dì... elo belo ora?“
GUSTA: “Ades va a ciasa... e te mandarei a ciamà cuanche Adelina

se sarà remetuda... sé solo bone a vegnì a piande... daspò!“ (Entra di corsa Ettore, informato dell'accaduto da Felice)

ETTORE: (allarmato, con il cappello in mano...) “Nene Gusta... elo belo

duto fato? Come stala Adelina?” (Bettina se ne va)

GUSTA: “La stasea meo gnante“
NARDO: (si alza con la cinghia che si era sfilata poco prima, in mano)

“… E la starà seguro meo de te, daspò che te avarei dou na bela repassada!“

GUANIN: (si alza nel tentativo di frapporsi fra Nardo e Ettore) “No stasé

fei comedie... no basta chele che é belo nbastide...”

GUSTA: (minacciosa) “Varda, Etore... te às conbiniou l afar! Ma se

duto à da dì ben... te cognaras dì a fei legne apede Nardo, te vignaras de cianpo pede me a giavà patate, fin che te saras cossì straco da no levà pi su... e te diaras a guarnà la vacia... a seà sun Col... e se no basta, te mandaron a parcurià doe stèle gnante dì...”

ETTORE: “Sì... sì... farei duto chel che avé destiniou... ma disieme,

come stala Adelina... ve preo...”

NARDO: “ Core mo... ades te pos dì su de canbra... tanto, la strada te

la cognosse... éro?“

ETTORE: “Vado, barba Nardo… vado... no stasé preocupave, farei

duto chel che volaré.” (passa correndo davanti a Nardo, schivando con destrezza un ceffone...) (Ormai è sera inoltrata... si sentono le campane suonare a distesa per la messa di mezzanotte. Tutti sono in pensiero per il parto imminente. Gusta va a cambiare il lumino davanti al quadro della Madonna... Nardo cammina misurando la stanza e borbottando. La contessa sta seduta, composta e ritta, le mani sul pomello del bastone, aspettando... anche Ettore, allontanato dalla camera, cammina nervosamente... i minuti non passano mai. Ad un tratto irrompe nella cucina, Fiorina...)

FIORINA: “Svelte... aga ciauda e suiamane... moeve...” (si avvicina

alla stufa, versa dell'acqua calda in un catino e sparisce... Gusta la segue, non prima di aver fatto risedere Nardo che intendeva seguirla.)

GUSTA: “Stasé là! No pensarè mia de vegnì su de canbra saveu...

cheste é robe de chele femene!“ (e sparisce) (Il tempo si è fermato... ogni tanto riappare Fiorina per prendere altra acqua ed altri asciugamani puliti... zittisce chi la vorrebbe far parlare, nel bel mezzo del suo compito che svolge con scrupolo e determinatezza. Si borbotta... si scuote la testa... ci si guarda gesticolando, ma non accade nulla. Dopo un po', dalla camera arrivano, nitidi, i vagiti di un neonato. Nardo scatta in piedi... Guanin si leva la pipa di bocca e guarda la contessa che si congratula, a cenni, con Nardo. Appare Gusta con un fagottino in braccio...)

GUSTA: “... eco... eco... vardà che n bel...” (tutti si accalcano) “… no é

schei... no é ciase... no é guere... no é nuia pi gran al mondo, de sta creatura!“

CONTESSA: “... Oh... che amore di bambino!“
ETTORE: ”... Oh... che bel... me fiol...”
GUANIN: (fra sé) “N po te sos vecio... eco, Guanin, te sos bisnono...”

(Nardo è imbarazzato ed è titubante ad avvicinarsi, ma Gusta lo scuote)

GUSTA: “E voi... no vigné a vardà vos nevodo...”

(Nardo, un po' vergognandosi dei propositi bellicosi di prima, si avvicina, guarda il piccolo e...)

NARDO: “Me par che l ebe i me oce... ce disieu, Gusta?“
GUSTA: “Te parea... i aveu vardou la bocia?... duto la mea!“
NARDO: “Cuanche la é serada!“
CONTESSA: “Che meraviglia... la notte di Natale!“

(Musica di zampogne in lontananza... tutti si stringono attorno a Gusta che stringe a sé il piccolo)

NARDO: “Alora vorà di che lo ciamaron...”
CONTESSA: (non lo lascia proseguire e,sulla voce...) “Natalino!“
NARDO: “Natalino... Adeodato... Benvenuto!“
GUSTA: (che non gliene risparmia una... sporgendosi verso il pubblico)

“Ben… ben… ma se era por voi... toceone tornalo al mitente!“

ETTORE: (rimane un po' in disparte... poi cerca di rioccupare il suo posto,

finalmente si fa avanti rivolgendosi a Nardo) “Éro, pare che é n bel tosato... aveone pensou de ciamalo...”(non finisce la frase perchè all'unisono gli rispondono con tono gioioso che non ammette repliche, in quattro)

NARDO, GUSTA, CONTESSA, GUANIN: “Natalino, Adeodato,

Benvenuto!“

ETTORE: “… Và ben... và ben...“ (si ritira)

Cresce la musica e il gruppo si accalca attorno al bambino.

FIN

Auronzo di Cadore/Auronzo, febbraio 1997