Sulla origine delle specie per elezione naturale, ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l'esistenza/Capo VI/Speciali difficoltà che incontra la teoria dell'elezione naturale

Capo VI

Speciali difficoltà che incontra la teoria dell'elezione naturale

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Capo VI - Mezzi di transizione Capo VI - Organi di poca importanza apparente

Quantunque noi dobbiamo essere molto guardinghi prima di sostenere che un organo qualsiasi non potrebbe in modo alcuno essere stato prodotto da successive gradazioni transitorie, si presentano tuttavia alcuni casi gravi e molto difficili.

Uno dei più gravi è quello degli insetti neutri che spesso sono conformati molto diversamente dai maschi o dalle femmine feconde; di ciò tratteremo nel capo ottavo. Gli organi elettrici dei pesci offrono un’altra obiezione di una speciale importanza, giacchè non è possibile concepire per quali gradi siansi formati questi organi portentosi. Ma ciò non deve recarci sorpresa, giacchè non conosciamo nemmeno la loro utilità. Nel Gymnotus e nella Torpedo essi servono senza dubbio come potenti armi di difesa, e forse come mezzi per procurarsi il nutrimento; però un organo analogo nella coda delle razze, secondo le osservazioni del Matteucci, non sviluppa che poca elettricità, anche quando l’animale sia irritato, anzi tanto poca che non può servire agli scopi predetti. Oltreciò il dottor R. Donnell ha dimostrato che un altro organo trovasi in prossimità del capo, il quale, per quanto si sappia, non è elettrico, e tuttavia apparisce come il vero omologo della batteria elettrica della torpedine. Generalmente si ammette che fra questi organi e i muscoli ordinari vi sia stretta analogia, per l’intima struttura, per la ramificazione dei nervi, e pel modo con cui i diversi reagenti agiscono su di essi. Devesi anche ricordare che la contrazione dei muscoli è accompagnata da una scarica elettrica. Il dottor Radcliffe osserva: "nell’apparato elettrico della torpedine sembra, durante il riposo, avvenire una carica, la quale per ogni rapporto corrisponde a quella che si trova nel muscolo e nel nervo in riposo; e la scarica nella torpedine, anzichè essere un fenomeno isolato, sembra corrispondere alla scarica che accompagna l’azione dei muscoli e dei nervi motori". Una ulteriore spiegazione non possiamo dare per ora; ma siccome poco sappiamo dell’uso di questi organi, e nulla intorno alle abitudini e alla struttura dei progenitori dei pesci elettrici ora esistenti, sarebbe avventato il sostenere che siano stati impossibili gli utili passaggi, pei quali gli organi elettrici avrebbero potuto svilupparsi gradatamente.

Gli organi elettrici offrono un’altra difficoltà assai più seria; perchè si trovano solamente in una dozzina circa di pesci, alcuni dei quali sono all’intutto lontani nelle loro affinità. Generalmente allorchè uno stesso organo apparisce in parecchi individui della medesima classe, specialmente se dotati di abitudini di vita molto diverse, noi possiamo attribuire la sua presenza all’eredità da un comune antenato; e la sua mancanza in alcuni altri individui, alla perdita che provenne dal non-uso e dall’elezione naturale. Ma se gli organi elettrici furono trasmessi da un antico progenitore che ne era dotato, noi possiamo credere che tutti i pesci elettrici siano stati in modo speciale collegati fra loro. La1 geologia non ci induce a pensare che anticamente molti pesci furono forniti di organi elettrici, che la maggior parte dei loro discendenti perdettero. Ma se esaminiamo la cosa più da vicino, noi troviamo che nei diversi pesci, forniti di organi elettrici, questi organi si trovano in parti diverse del corpo, e variano nella struttura, nella disposizione degli elementi, e, secondo il Pacini, nei processi o modi coi quali viene eccitata l’elettricità, ed infine (e questa differenza mi sembra della massima importanza) anche in ciò che la forza nervosa deriva da nervi di origine molto diversa. Nei diversi pesci quindi, gli organi elettrici non possono considerarsi come tra loro omologhi, ma solamente come analoghi nella funzione. Epperò non possiamo ammettere che siano ereditati da un comune progenitore; giacchè, se così fosse, si somiglierebbero per ogni riguardo. Scomparisce così la maggior difficoltà, di spiegare cioè come siasi formato un organo apparentemente uguale in parecchie specie molto diverse, ma perdura la minore, e sempre grande, di spiegare per quali forme intermediarie questi organi siano passati nei diversi gruppi di pesci.

La presenza di organi luminosi in alcuni insetti, appartenenti a famiglie ed ordini diversi, ci offre un caso parallelo e difficile. Potrebbero citarsi altri casi; per esempio, nelle piante il curioso artificio di una massa di polline, collocato sopra uno stelo, fornito di una glandola vischiosa all’estremità, come nei generi Orchis ed Asclepias, generi fra i più discosti nelle piante fanerogame. In tutti questi casi di due specie distintissime, dotate apparentemente degli stessi organi anomali, sarebbe da osservarsi che quand’anche l’apparenza generale e la funzione dell’organo possano essere le medesime, pure può scoprirsi in generale qualche differenza fondamentale. Così, ad esempio, gli occhi dei cefalopodi e dei vertebrati si somigliano tra loro assai; e in gruppi sì distanti l’uno dall’altro nemmeno una parte della somiglianza può considerarsi come eredità di un comune progenitore. Il Mivart ha citato questo esempio come uno dei più difficili; ma io non so vedervi la forza dell’argomentazione. Un organo destinato alla visione deve esser formato di tessuto trasparente, e contenere una specie di lente per produrre una immagine sul fondo della camera oscura. All’infuori di questa superficiale somiglianza ben difficilmente si troverà una reale identità fra gli occhi dei cefalopodi e dei vertebrati, come si può persuadersi consultando l’eccellente lavoro dell’Hensen su questi organi. Non posso qui entrare in dettagli; addurrò tuttavia alcuni pochi caratteri differenziali. La lente cristallina nei cefalopodi superiori consta di due parti, di cui l’una è posta dietro l’altra, come se fossero due lenti, le quali ambedue hanno una struttura e disposizione assai diversa da quella che troviamo nei vertebrati. La retina è affatto diversa, colle parti elementari invertite e con un grosso ganglio nervoso racchiuso tra le membrane dell’occhio. I rapporti dei muscoli sono sì diversi che maggiormente nol potrebbero essere, e così di seguito. Non vi ha quindi piccola difficoltà nel decidere fino a qual punto le espressioni che noi impieghiamo nella descrizione dell’occhio dei vertebrati, si possono adoperare in quella dei cefalopodi. Ognuno, naturalmente, può negare che in ambedue i casi l’occhio siasi sviluppato a mezzo dell’elezione naturale, per variazioni graduate e successive, ma se ciò si ammetta per l’uno dei due casi, non è possibile non farlo per l’altro; le differenze fondamentali poi nella struttura dell’organo visivo nei due gruppi di animali potevano prevedersi in seguito a quest’opinione sul modo di formazione. Come due uomini, l’uno indipendentemente dall’altro, hanno fatto spesso la medesima invenzione, così nei casi su citati l’elezione naturale, la quale agisce pel bene di ogni organismo e si giova di tutte le utili variazioni, sembra aver prodotto delle parti simili per ciò che riguarda la funzione, in organismi diversi, i quali non devono punto le somiglianze nella struttura alla discendenza da un comune progenitore.

Fritz Müller, per mettere alla prova le idee da me esposte in questo libro, ha seguito con molta cura un modo affatto simile di argomentazione. Parecchie famiglie di Crostacei abbracciano alcune poche specie che possiedono un apparato con cui respirano l’aria e son capaci di vivere fuori dell’acqua. In due di queste famiglie, che il Müller studiò particolarmente e che sono molto affini l’una all’altra, le specie concordano assai fra loro in tutti i caratteri importanti, e cioè nella struttura degli organi dei sensi, nel sistema circolatorio, nella posizione dei ciuffi di peli dei quali è rivestito il loro stomaco egualmente complicato, e finalmente nell’intera struttura delle branchie respiranti acqua, fino agli uncini microscopici co’ quali vengono pulite. Poteva quindi aspettarsi che nelle poche specie di ambedue le famiglie, le quali vivono in terraferma, l’apparato per la respirazione dell’aria, che ha non minore importanza, fosse uguale; in fatto, mentre tutti gli organi importanti sono affatto simili o quasi identici, per quale ragione dovrebbero mostrarsi delle differenze in quel solo apparato, destinato ad un solo scopo speciale?

Fritz Müller argomenta che questa grande somiglianza nella struttura debba spiegarsi colle idee da me avanzate della eredità da un comune progenitore. Ma siccome tanto il maggior numero delle specie appartenenti alle suddette due famiglie, come anche la massima parte degli altri crostacei sono acquatici nelle loro abitudini, è sommamente improbabile che il loro comune progenitore fosse adattato alla respirazione dell’aria. Müller fu quindi indotto a studiare accuratamente l’apparato nelle specie respiranti aria, e trovò che in ciascuna diversifica in parecchi caratteri importanti, come nella posizione degli orifizi, nel modo con cui questi si aprono e si chiudono e in molti dettagli accessorii. Se si ammette che specie di famiglie diverse siano divenute atte lentamente ed a gradi alla vita fuori dell’acqua ed alla respirazione aerea, tali differenze diventano intelligibili. Imperocchè queste specie, appartenendo a famiglie diverse, differiranno tra loro in certo grado; e in accordo col principio, che la natura di ogni variazione dipende da due fattori, e cioè dalla natura dell’organismo e da quella delle condizioni di vita, la loro variabilità non sarà al certo esattamente la medesima. Conseguentemente l’elezione naturale avrà agito sopra materiale diverso, e sopra differenti variazioni per raggiungere un medesimo risultato funzionale; e le strutture così acquistate saranno state necessariamente diverse. Questo caso è incomprensibile dal punto di vista delle creazioni separate e i suddetti ragionamenti hanno indotto Fritt2 Müller ad accettare le idee da me esposte in questo volume.

Un altro distinto zoologo, il defunto prof. Claparède, ha fatto delle analoghe conclusioni ed ottenuto il medesimo risultato. Egli ha dimostrato che esistono degli acari (Acaridœ), parassiti appartenenti a diverse sottofamiglie e famiglie forniti di peli uncinati. Questi organi devono essersi sviluppati indipendentemente tra loro, giacchè non possono essere stati ereditati da un comune progenitore. Nei diversi gruppi essi vengono formati dalla modificazione dei piedi anteriori, dei piedi posteriori, delle mascelle o labbra, e delle appendici che trovansi alla faccia inferiore delle porzioni posteriori del corpo. Nei diversi casi finora studiati noi abbiamo visto che in organismi non affini o di parentela molto remota, organi in apparenza molto simili, ma non concordanti nello sviluppo, possono raggiungere il medesimo scopo ed eseguire la stessa funzione. Ma nell’intera natura domina questa regola generale, che perfino tra i singoli esseri strettamente affini uno stesso scopo è raggiunto con mezzi assai diversi. Quanto diversa nella struttura non è l’ala pennuta di un uccello dall’organo fornito di membrana che nei pipistrelli serve al volo, e quanto diverse non sono le quattro ali della farfalla, le due ali della mosca e le due ali del coleottero colle sue elitre.

Le conchiglie bivalvi s’aprono e si chiudono; ma quanti gradi non si hanno tra la cerniera della Nucula fornita di denti adatti che si ingranano fino al semplice legamento di un Mytilus. La dispersione dei semi è determinata dalla loro minutezza, oppure dalla forma della capsula trasformata in un guscio leggero a guisa di pallone, o dalla massa più o meno consistente e carnosa in cui sono riposti, e che per essere nutriente e vivacemente colorata si offre di pasto agli uccelli; oppure dagli uncini della più diversa forma o delle asprezze con cui s’attaccano alla pelle dei mammiferi; oppure finalmente dalle ali o piumette di forma diversa e di leggiadra struttura che rendon possibile il trasporto a mezzo del più leggero venticello. Voglio addurre ancor un esempio, giacchè il fatto che un medesimo scopo è raggiunto con mezzi diversi mi sembra soggetto degno di attenzione. Alcuni autori sostengono che gli organismi siano costruiti in diversi modi per la sola varietà, come circa i balocchi in una bottega; ma questo modo di vedere la natura è insostenibile. Le piante a sessi separati e quelle, nelle quali, sebbene siano ermafrodite, il polline non può cadere sullo stimma, hanno bisogno per la fecondazione di un qualche aiuto. In parecchie specie ciò è ottenuto col polline leggero e incoerente, il quale è facilmente dal vento portato a caso sullo stimma; questo certamente è il piano più semplice. Un piano quasi ugualmente semplice e tuttavia diverso si manifesta allora quando un fiore simmetrico secerne alcune goccie di nèttare ed è quindi frequentato dagli insetti, i quali portano il polline dalle antere sullo stimma.

A partire da questa forma semplice osservasi un numero grandissimo delle più diverse disposizioni, le quali servono al medesimo scopo ed essenzialmente sono compiute nello stesso modo, e portano tuttavia dei cambiamenti in ogni singola parte del fiore. Così il nèttare è accumulato in ricettacoli di forma svariata, gli stami ed i pistilli sono diversamente modificati, formanti spesso degli apparati con valvole; talvolta essi eseguono dei movimenti adattati determinati da irritabilità o elasticità. Da queste forme noi arriviamo a quella perfettissima che recentemente il Crüger ha descritto nella Coryanthes. In questa orchidea il labello o labbro inferiore è scavato a modo di barile, in cui da due cornetti soprastanti che secernono acqua cadono di continuo delle goccie d’acqua purissima; quando il barile è pieno, l’acqua trabocca per un beccuccio da uno dei lati. La parte basilare del labello si piega sopra il barile ed è incavata a guisa di camere con due accessi laterali; entro queste camere trovansi delle singolari lamine carnose. L’uomo più intelligente, se non fosse stato testimone di ciò che qui avviene, non avrebbe potuto immaginarsi lo scopo cui servono tutte queste parti. Il Crüger ha visto come di buon mattino molti pecchioni frequentano i fiori giganteschi di queste orchidee, non già per succhiare il nèttare, ma per rodere le creste carnose nella camera al disopra del barile. In tale incontro, urtandosi, cadevano spesso alcuni nel barile, ed essendo bagnate le ali, non potevano volare, per cui si arrampicavano a traverso il canale formato dal beccuccio. Il Crüger ha visto una vera processione di pecchioni uscire dal bagno involontario. Il canale è stretto e fiancheggiato da colonnette, cosicchè i pecchioni, passandolo a stento, fregavano il loro dorso sullo stigma vischioso e poi alle ghiandole glutinose delle masse polliniche. Queste masse di polline s’attaccano per conseguenza sul dorso del primo pecchione che a caso attraversa il canale di un fiore recentemente sbocciato, e vengono portate via. Il Crüger mi ha mandato un fiore entro l’alcool insieme con un pecchione, il quale era stato ucciso prima che avesse per intero attraversato il canale, e portava sul dorso un ammasso di polline. Se un pecchione così fornito si reca ad un altro fiore od una seconda volta al medesimo, e se viene dai suoi compagni spinto entro il barile, allora necessariamente, quando esso attraversa il canale, la massa pollinica giunge a contatto collo stigma vischioso e il fiore viene fecondato. Solo adesso noi comprendiamo l’utilità di tutte le parti del fiore, dei cornetti che secernono acqua, del barile fino a mezzo coperto di acqua, la quale impedisce ai pecchioni di mettersi al volo e li costringe di rampicare pel canale e di fregare contro le masse polliniche vischiose poste in luogo adattato, e contro lo stigma glutinoso.

La struttura del fiore di un’altra orchidea affine, Catasetum, è molto diversa, ma serve allo stesso scopo ed è ugualmente interessante. Le api frequentano questi fiori, come quelli della Coryanthes, per corrodere il labello. Ciò facendo esse toccano necessariamente un’appendice puntuta e sensitiva che io chiamai antenna. Se l’antenna viene toccata, essa trasferisce la sensazione o vibrazione sopra una certa membrana, la quale si rompe immediatamente e mette in libertà una molla, che getta come un dardo la massa pollinica nella vera direzione e la appiccica per l’estremità vischiosa sul dorso delle api. La massa pollinica della pianta maschile (giacchè i sessi in queste orchidee sono separati) è trasportata sul fiore di una pianta femminile, dove viene a contatto collo stigma. Questo è poi sufficientemente vischioso per rompere certi fili elastici e trattenere la massa di polline che indi compie l’uffizio della fecondazione.

Si può ben domandare, come nei casi su citati ed in moltissimi altri si possa intravvedere la serie graduata che condusse a forme sì complesse e i mezzi che furono necessari a raggiungere lo scopo? La risposta, come fu già detto, non può essere che questa, che cioè quando variano due forme tra loro già diverse in grado leggero, la variabilità non può essere esattamente di uguale natura, nè per conseguenza saranno identici i risultati ottenuti ad uno stesso scopo generale dalla elezione naturale. Noi dobbiamo anche ricordarci che ogni organismo altamente sviluppato ha già percorso una lunga serie di cambiamenti, e che ogni forma modificata tende ad essere trasmessa per eredità; per conseguenza non andrà facilmente perduta, ma sarà sempre più modificata. La struttura di ciascuna parte in ciascuna specie, a qualsiasi scopo essa serva, è la somma dei molti cambiamenti ereditati che la specie ha subìto durante i successivi adattamenti alle abitudini ed alle condizioni di vita.

In molti casi è al certo assai difficile anche solamente supporre per quali gradini molti organi siano arrivati al loro stato attuale; tuttavia, considerando che le forme viventi e conosciute sono pochissime al confronto delle estinte ed ignote, sono sorpreso nel vedere, come siano rari gli organi, dei quali non si sappiano indicare i gradini che ad essi conducono. È certamente vero che raramente o mai in un organismo compariscono di repente nuovi organi, come se fossero creati per uno scopo speciale, ciò che è anche riconosciuto dalla regola vecchia, sebbene un po’ esagerata, che dice: Natura non facit saltum. Tale idea è ammessa negli scritti di tutti i naturalisti esperti; così Milne Edwards l’ha espressa colle parole: "la natura è prodiga nelle varietà, ma avara nelle novità". Secondo la teoria delle creazioni, per quale ragione dovrebbero manifestarsi tante variazioni, e sì poche reali novità? Perchè mai tutte le parti e gli organi di sì numerosi esseri indipendenti sono concatenati da graduati passaggi, se ogni essere è creato pel suo proprio posto nella natura? Perchè la natura non ha mai fatto un salto da una struttura all’altra? La teoria dell’elezione naturale c’insegna chiaramente perchè ciò non fece; imperocchè essa agisce col trarre profitto delle leggere successive variazioni; essa non può mai fare un salto grande e repentino, ma deve procedere con passi brevi, e sicuri, sebbene lenti.


Note

  1. Nell’originale "Le geologia".
  2. Nell’originale "Frizt".