Storie allegre/Chi non ha coraggio non vada alla guerra/VIII
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VIII.
Leoncino esitò un minuto.... due minuti.... poi, fatto un animo risoluto, si mosse per andare sulla terrazza: non era per altro entrato nell’uscio di casa, che si trovò davanti lo zio Giandomenico, il quale domandò a lui e a quell’altre birbe:
— Dove andate con tanta fretta?
— Si va su in terrazza.
— In terrazza? a far che cosa?
— A.... a.... a prendere una boccata d’aria.
— Non è vero, sai, babbo! — disse subito Arnolfo — non si va a prendere una boccata d’aria: ma si va in terrazza, perchè Leoncino, per far vedere che ha più coraggio di noi, ha scommesso di montare sul parapetto della terrazza e di saltare giù nell’orto.
— È proprio vero che hai fatto questa scommessa? — disse allora lo zio rivolgendosi al nipote. — Tu dunque credi che il coraggio, il vero coraggio, consista nell’affrontare senza alcun bisogno, i più grandi pericoli? nel saltare per semplice passatempo dai primi piani? nel montar ritti sulla soglia delle finestre? nel camminare in cima ai tetti? nel correre all’impazzata sulle spallette dei fiumi? nell’arrampicarsi in vetta agli alberi? nell’andare a bagnarsi dove l’acqua è più alta, senza saper nuotare?... No, carino mio, no: queste non son prove di coraggio; queste sono temerità imperdonabili, queste sono bravure da matti, che provano solamente la grande spensieratezza e il pochissimo giudizio di voialtri ragazzi!
A questa parlantina fatta co’ fiocchi, il povero Leoncino restò così confuso, che non trovava il verso nè di rispondere, nè di guardare in faccia lo zio.
Intanto, tutto afflitto e mortificato, andava pensando dentro di sè:
― E io che speravo di aver trovato il modo di riguadagnarmi il grado di comandante!... mentre è proprio un miracolo se oggi non ho perduto anche gli scevroni di caporale!... ―
Ma non si dette per vinto! Anzi, il giorno dopo, ricominciò a stillarsi il cervello per trovare qualche nuovo ammennicolo, che valesse a dare una prova di quel coraggio, che egli non aveva, ma che avrebbe voluto avere.
Ora bisogna sapere che, dall’oggi al domani, era capitata appunto nei dintorni di quella campagna una grossa volpe.
Questa famelica bestia, spavento e flagello di tutti i pollai, non solo mangiava i galli, le chiocce, le pollastre e le galline vecchie, ma occorrendo, divorava allegramente anche i pulcini e i galletti di primo canto, senza nessun riguardo alla loro tenera età.