Storia d'Italia/Libro XVI/Capitolo IV

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IV

Il vescovo di Pistoia inviato dal pontefice a visitare e consolare il re di Francia. Cesare riceve in protezione i lucchesi; nuovo mutamento di govemo in Siena. Accordi di altri principi italiani con Cesare; rinvio di soldati tedeschi in Germania.

Fatta la capitolazione, il pontefice, per non mancare degli offici convenienti verso tanto principe, mandò, con permissione del viceré, il vescovo di Pistoia a visitare e consolare in nome suo il re di Francia. Il quale, dopo le parole generali avute insieme presente il capitano Alarcone, e l’avere il re supplicato il pontefice che per lui facesse buono officio con Cesare, gli domandò con voce sommessa quel che fusse del duca di Albania; udendo con grandissima molestia la risposta, che risoluta una parte dell’esercito era con l’altra passato in Francia.

Convennono in questo tempo medesimo i lucchesi col viceré, il quale gli ricevé nella protezione di Cesare, di pagare [p. 282 modifica]diecimila ducati. Convennono e i sanesi di pagarne quindicimila, senza obligarlo a mantenere piú una forma che un’altra di governo: perché da uno canto quegli del Monte de’ nove, a instanza del pontefice, per mezzo del duca d’Albania, avevano riassunta, benché non ancora consolidata, l’autoritá; da altro, quegli che per fare professione di desiderare la libertá si chiamavano volgarmente i libertini, preso, per la giornata di Pavia, animo contro al governo introdotto per le forze del re di Francia, avevano mandato diversamente uomini al viceré per renderlo propizio a’ disegni loro; né auta da lui certa risoluzione circa la forma del governo, avevano tutti sollecitata prontissimamente la composizione. La quale essendo fatta, e venuti a ricevere i danari gli uomini mandati dal viceré, nel tempo medesimo che i danari si annoveravano, e in presenza loro, Girolamo Severini cittadino sanese, che era stato appresso al viceré, ammazzò Alessandro Bichi, principale del nuovo reggimento e a chi il pontefice aveva disegnato che per allora si volgesse tutta la riputazione; donde preso l’armi da altri cittadini che erano congiurati seco, e levato in arme il popolo che era male contento che il governo ritornasse alla tirannide, cacciati i principali del Monte de’ nove, riformorono la cittá a governo del popolo, inimico del pontefice e aderente di Cesare: essendo procedute queste cose non senza saputa, come si credette, del viceré, o almeno con somma approbazione di quello che era stato fatto, per considerare quanto fusse opportuno alle cose di Cesare avere a sua divozione quella cittá potente, che ha opportunitá di porti di mare, fertile di paese, vicina al reame di Napoli e situata tra Roma e Firenze; non ostante che il viceré e il duca di Sessa avessino dato speranza al pontefice di non alterare il governo introdotto col favore suo.

Seguitorono molti altri di Italia la inclinazione de’ sopradetti e la fortuna de’ vincitori: co’ quali il marchese di Monferrato compose in quindicimila ducati; e il duca di Ferrara, non si potendo sí presto stabilire le cose sue per i rispetti che avevano alla capitolazione fatta col pontefice, e perché era [p. 283 modifica]necessario intenderne prima la volontá di Cesare, fu contento di prestare al viceré cinquantamila ducati, con promessa di riavergli se non capitolassino insieme. Co’ quali danari, e con centomila ducati promessi loro dallo stato di Milano e quegli che promessono i genovesi e i lucchesi, e con quegli ancora rimessi da Cesare a Genova per sostentazione della guerra ma arrivati dopo la vittoria, attendevano i capitani, secondo che i danari venivano, a pagare i soldi corsi dello esercito; rimandando di mano in mano, secondo che erano pagati, i tedeschi in Germania. In modo che, non si vedendo segni che avessino in animo di seguitare contro ad alcuno per allora il corso della vittoria, anzi avendo il viceré ratificato la capitolazione fatta con suo mandato col pontefice, e trattando nel tempo medesimo di fare appuntamento nuovo co’ viniziani il quale molto desiderava, si voltorono gli occhi di tutti a risguardare in che modo Cesare ricevesse sí liete novelle e a che fini si indirizzassino i suoi pensieri.