Storia d'Italia/Libro X/Capitolo XI
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XI
Recuperata Brescia e l’altre terre perdute, delle quali Bergamo, ribellatasi per opera di pochi, aveva, innanzi che Fois entrasse in Brescia, richiamati popolarmente i franzesi, Fois, poiché ebbe dato forma alle cose e riposato e riordinato l’esercito, stracco per sí lunghi e gravi travagli e disordinato parte nel conservare parte nel dispensare la preda fatta, deliberò, per comandamento ricevuto dal re, di andare contro all’esercito de’ collegati; il quale partendosi dalle mura di Bologna si era fermato nel bolognese: astringendo il re a questo molti urgentissimi accidenti, i quali lo necessitavano a prendere nuovi consigli per la salute delle cose sue.
Cominciava giá manifestamente ad apparire la guerra del re di Inghilterra: perché se bene quel re l’aveva prima con aperte parole negato e poi con dubbie dissimulato, nondimeno non si potevano piú coprire i fatti molto diversi. Perché da Roma si intendeva essere venuto, con lungo circuito marittimo, essere finalmente arrivato lo instrumento della ratificazione alla lega fatta; sapevasi che in Inghilterra si preparavano genti e navili e in Ispagna navi per passare in Inghilterra, ed essere gli animi di tutti i popoli accesi a muovere la guerra in Francia; e opportunamente era sopravenuta la galeazza del pontefice carica di vini grechi, di formaggi e di sommate, i quali, donati in suo nome al re e a molti signori e prelati, erano ricevuti da tutti con festa maravigliosa; e concorreva tutta la plebe (la quale spesso non meno muovono le cose vane che le gravi) con somma dilettazione a vederla, gloriandosi che mai piú si fusse veduto in quella isola legno alcuno con le bandiere pontificali. Finalmente avendo il vescovo di Moravia, che aveva tanto trattato tra il pontefice e il re di Francia, mosso o dalla coscienza o dal desiderio che aveva del cardinalato, riferito, in uno parlamento convocato di tutta l’isola, molto favorevolmente e con ampia testimonianza della giustizia del pontefice, fu nel parlamento deliberato che si mandassino i prelati in nome del regno al concilio lateranense; e il re, facendone instanza gli imbasciadori del papa, comandò all’oratore del re di Francia che si partisse, perché non era conveniente che appresso a un re e in un reame divotissimo della Chiesa fusse veduto chi rappresentava uno re che tanto apertamente la sedia apostolica perseguitava: e giá penetrava il secreto essere occultamente convenuto che il re di Inghilterra molestasse con l’armata marittima la costa di Normandia e di Brettagna, e che mandasse in Spagna ottomila fanti, per muovere, unitamente coll’armi del re d’Aragona, la guerra nel ducato di Ghienna. Il quale sospetto affliggeva maravigliosamente il re di Francia: perché essendo, per la memoria delle antiche guerre, spaventoso a’ popoli suoi il nome degli inghilesi, conosceva il pericolo maggiore essendo congiunte con loro l’armi spagnuole; e tanto piú avendo, da dugento lancie in fuora, mandate tutte le genti d’arme in Italia, le quali richiamando, o tutte o parte, rimaneva in manifesto pericolo il ducato tanto amato da lui di Milano. E se bene, per non rimanere tanto sproveduto, accrescesse all’ordinanza vecchia ottocento lancie, nondimeno, che confidenza poteva avere, in tanti pericoli, negli uomini inesperti che di nuovo venivano alla milizia?
Aggiugnevasi il sospetto, che ogni dí piú cresceva, della alienazione di Cesare; perché era ritornato Andrea di Burgus, stato espedito con tanta espettazione, il quale con tutto che riferisse Cesare essere disposto a perseverare nella confederazione, nondimeno proponeva molto dure condizioni mescolandovi varie querele. Perché dimandava di essere assicurato che gli fusse ricuperato quello che gli apparteneva per i capitoli di Cambrai, affermando non potersi piú fidare delle semplici promesse, per avere, e da principio e poi sempre, conosciuto essere molesto al re che egli acquistasse Padova; e che per consumarlo e tenerlo in continui travagli aveva speso volentieri ogni anno dugentomila ducati, sapendo che a lui premeva piú lo spenderne cinquantamila: avere recusato l’anno passato concedergli la persona del Triulzio, perché era capitano, e per volontá e per scienza militare, da terminare presto la guerra: dimandava che la figliuola seconda del re, minore di due anni, si sposasse al nipote, assegnandogli in dote la Borgogna, e che la figlia gli fusse consegnata di presente; e che nella determinazione sua rimettessino le cause di Ferrara di Bologna e del concilio; contradicendo che l’esercito franzese andasse verso Roma, e protestando non essere per comportare che il re accrescesse in parte alcuna in Italia lo stato suo. Le quali condizioni gravissime, e quasi intollerabili per se stesse, faceva molto piú gravi il conoscere non potere stare sicuro che, concedutegli tante cose, non variasse poi, o secondo l’occasioni o secondo la sua consuetudine. Anzi, la iniquitá delle condizioni proposte faceva quasi manifesto argomento che, giá deliberato di alienarsi dal re di Francia, cercasse occasione di metterlo a effetto con qualche colore, massime che non solo nelle parole ma eziandio nelle opere si scorgevano molti segni di cattivo animo; perché né col Burgus erano venuti i procuratori tante volte promessi per andare al concilio pisano, anzi la congregazione de’ prelati fatta in Augusta avea finalmente risposto, con publico decreto, il concilio pisano essere scismatico e detestabile: benché con questa moderazione essere apparecchiati a mutare sentenza se in contrario fussino dimostrate piú efficaci ragioni. E nondimeno il re, nel tempo che piú gli sarebbe bisognato unire le forze sue, era necessitato tenere a requisizione di Cesare [dugento] lancie e tremila fanti in Verona e mille alla custodia di Lignago.
Tormentava oltre a questo molto l’animo del re il timore de’ svizzeri; perché, con tutto che avesse ottenuto di mandare alle diete loro il baglí d’Amiens al quale aveva dato amplissime commissioni, risoluto con prudente consiglio (se prudenti si possono chiamare quelle deliberazioni che si fanno passata giá l’opportunitá del giovare) di spendere qualunque quantitá di danari per ridurgli alla sua amicizia, nondimeno, prevalendo l’odio ardentissimo della plebe e le persuasioni efficaci del cardinale sedunense alla autoritá di quegli che avevano, di dieta in dieta, impedito che non si facesse deliberazione contraria a lui, si sentiva erano inclinati a concedere semila fanti agli stipendi de’ confederati, i quali gli dimandavano per potergli opporre agli squadroni ordinati e stabili de’ fanti tedeschi.
Trovavasi inoltre il re privato interamente delle speranze della corcordia; la quale, benché nel fervore dell’armi, non avevano mai omesso di trattare il cardinale di Nantes e il cardinale di Strigonia, prelato potentissimo del reame dell’Ungheria: perché il pontefice aveva ultimatamente risposto, procurassino, se volevano gli udisse piú, che prima fusse annullato il conciliabolo pisano, e che alla Chiesa fussino rendute le cittá sue, Bologna e Ferrara; né mostrando ne’ fatti minore asprezza, aveva di nuovo privato molti de’ prelati franzesi intervenuti a quello concilio, e Filippo Decio uno de’ piú eccellenti giurisconsulti di quella etá, perché aveva scritto e disputato per la giustizia di quella causa, e seguitava i cardinali per indirizzare le cose che s’avevano a spedire giuridicamente.
Né aveva il re, nelle difficoltá e pericoli che se gli mostravano da tanti luoghi, piede alcuno fermo o certo in parte alcuna di Italia: perché gli stati di Ferrara e di Bologna gli erano stati ed erano di molestia e di spesa, e da’ fiorentini, co’ quali faceva nuova instanza che in compagnia sua rompessino la guerra in Romagna, non poteva trarre altro che risposte generali; anzi aveva dell’animo loro qualche sospetto, perché in Firenze risedeva continuamente uno oratore del viceré di Napoli, e molto piú per avere mandato l’oratore al re cattolico, e perché non comunicavano piú seco le cose loro come solevano, e molto piú perché avendogli ricercati che prorogassino la lega che finiva fra pochi mesi, senza dimandare danari o altre gravi obligazioni, andavano differendo, per essere liberi a pigliare i partiti che a quel tempo fussino giudicati migliori. La quale disposizione volendo augumentare il pontefice, né dare causa che la troppa asprezza sua gli inducesse a seguitare coll’armi la fortuna del re di Francia, concedette loro, senza che in nome publico la dimandassino, l’assoluzione dalle censure; e mandò nunzio a Firenze con umane commissioni Giovanni Gozzadini bolognese uno de’ cherici della camera apostolica, sforzandosi d’alleggerire il sospetto che aveano conceputo di lui.
Vedendosi adunque il re solo contro a tanti, o dichiaratisegli inimici o che erano per dichiararsi, né conoscendo potere se non molto difficilmente resistere se in uno tempo medesimo concorressino tante molestie, comandò a Fois che con quanta piú celeritá potesse andasse contro all’esercito degli inimici, de’ quali per essere riputati manco potenti dell’esercito suo si prometteva la vittoria; e che vincendo, assaltasse senza rispetto Roma e il pontefice, il che quando succedesse gli pareva rimanere liberato da tanti pericoli; e che questa impresa, acciò che si diminuisse l’invidia e augumentassinsi le giustificazioni, si facesse in nome del concilio pisano, il quale deputasse un legato che andasse nell’esercito, [e] ricevesse in suo nome le terre che si acquistassino.