Canti (Leopardi - Donati)/VII. Alla primavera: differenze tra le versioni

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<small><<[[Autore:|NomeCognome=Giacomo Leopardi]]</small>
|TitoloOpera=Alla primavera (o delle favole antiche)
|NomePaginaOpera=Alla primavera (o delle favole antiche)
|AnnoPubblicazione=
|TitoloSezione=
}}
 
----
 
Perchè i celesti danni<br>
Ristori il sole, e perchè l'aure inferme<br>
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta<br>
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;<br>
Credano il petto inerme<br>
Gli augelli al vento, e la diurna luce<br>
Novo d'amor desio, nova speranza<br>
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte<br>
Pruine induca alle commosse belve;<br>
Forse alle stanche e nel dolor sepolte<br>
Umane menti riede<br>
La bella età, cui la sciagura e l'atra<br>
Face del ver consunse<br>
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti<br>
Di febo i raggi al misero non sono<br>
In sempiterno? ed anco,<br>
Primavera odorata, inspiri e tenti<br>
Questo gelido cor, questo ch'amara<br>
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?<br>
<br>
Vivi tu, vivi, o santa<br>
Natura? vivi e il dissueto orecchio<br>
Della materna voce il suono accoglie?<br>
Già di candide ninfe i rivi albergo,<br>
Placido albergo e specchio<br>
Furo i liquidi fonti. Arcane danze<br>
D'immortal piede i ruinosi gioghi<br>
Scossero e l'ardue selve (oggi romito<br>
Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre<br>
Meridiane incerte ed al fiorito<br>
Margo adducea de' fiumi<br>
Le sitibonde agnelle, arguto carme<br>
Sonar d'agresti Pani<br>
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda<br>
Vide, e stupì, che non palese al guardo<br>
La faretrata Diva ,<br>
Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda<br>
Polve tergea della sanguigna caccia<br>
Il niveo lato e le verginee braccia.<br>
<br>
Vissero i fiori e l'erbe,<br>
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli<br>
Aure, le nubi e la titania lampa<br>
Fur dell'umana gente, allor che ignuda<br>
Te per le piagge e i colli,<br>
Ciprigna luce, alla deserta notte<br>
Con gli occhi intenti il viator seguendo,<br>
Te compagna alla via, te de' mortali<br>
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri<br>
Cittadini consorzi e le fatali<br>
Ire fuggendo e l'onte,<br>
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime<br>
Selve remoto accolse,<br>
Viva fiamma agitar l'esangui vene,<br>
Spirar le foglie, e palpitar segreta<br>
Nel doloroso amplesso<br>
Dafne o la mesta Filli, o di Climene<br>
Pianger credè la sconsolata prole<br>
Quel che sommerse in Eridano il sole.<br>
<br>
Nè dell'umano affanno,<br>
Rigide balze, i luttuosi accenti<br>
Voi negletti ferìr mentre le vostre<br>
Paurose latebre Eco solinga,<br>
Non vano error de' venti,<br>
Ma di ninfa abitò misero spirto,<br>
Cui grave amor, cui duro fato escluse<br>
Delle tenere membra. Ella per grotte,<br>
Per nudi scogli e desolati alberghi,<br>
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte<br>
Nostre querele al curvo<br>
Etra insegnava. E te d'umani eventi<br>
Disse la fama esperto,<br>
Musico augel che tra chiomato bosco<br>
Or vieni il rinascente anno cantando,<br>
E lamentar nell'alto<br>
Ozio de' campi, all'aer muto e fosco,<br>
Antichi danni e scellerato scorno,<br>
E d'ira e di pietà pallido il giorno.<br>
<br>
Ma non cognato al nostro<br>
Il gener tuo; quelle tue varie note<br>
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,<br>
Men caro assai la bruna valle asconde<br>
Ahi ahi, poscia che vote<br>
Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono<br>
Per l'atre nubi e le montagne errando,<br>
Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro<br>
In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano<br>
Il suol nativo, e di sua prole ignaro<br>
Le meste anime educa;<br>
Tu le cure infelici e i fati indegni<br>
Tu de' mortali ascolta,<br>
Vaga natura, e la favilla antica<br>
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,<br>
E se de' nostri affanni<br>
Cosa veruna in ciel, se nell'aprica<br>
Terra s'alberga o nell'equoreo seno,<br>
Pietosa no, ma spettatrice almeno.
 
Ristori il sole, e perchè l'aure inferme
 
== Voci correlate ==
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
{{wikipediaopera|Giacomo_Leopardi#Alla_primavera_e_Al_conte_Carlo_Pepoli}}
 
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
 
Credano il petto inerme
 
Gli augelli al vento, e la diurna luce
 
Novo d'amor desio, nova speranza
 
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte
 
Pruine induca alle commosse belve;
 
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
 
Umane menti riede
 
La bella età, cui la sciagura e l'atra
 
Face del ver consunse
 
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
 
Di febo i raggi al misero non sono
 
In sempiterno? ed anco,
 
Primavera odorata, inspiri e tenti
 
Questo gelido cor, questo ch'amara
 
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
 
 
Vivi tu, vivi, o santa
 
Natura? vivi e il dissueto orecchio
 
Della materna voce il suono accoglie?
 
Già di candide ninfe i rivi albergo,
 
Placido albergo e specchio
 
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
 
D'immortal piede i ruinosi gioghi
 
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
 
Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre
 
Meridiane incerte ed al fiorito
 
Margo adducea de' fiumi
 
Le sitibonde agnelle, arguto carme
 
Sonar d'agresti Pani
 
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
 
Vide, e stupì, che non palese al guardo
 
La faretrata Diva ,
 
Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda
 
Polve tergea della sanguigna caccia
 
Il niveo lato e le verginee braccia.
 
 
Vissero i fiori e l'erbe,
 
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
 
Aure, le nubi e la titania lampa
 
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
 
Te per le piagge e i colli,
 
Ciprigna luce, alla deserta notte
 
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
 
Te compagna alla via, te de' mortali
 
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
 
Cittadini consorzi e le fatali
 
Ire fuggendo e l'onte,
 
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
 
Selve remoto accolse,
 
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
 
Spirar le foglie, e palpitar segreta
 
Nel doloroso amplesso
 
Dafne o la mesta Filli, o di Climene
 
Pianger credè la sconsolata prole
 
Quel che sommerse in Eridano il sole.
 
 
Nè dell'umano affanno,
 
Rigide balze, i luttuosi accenti
 
Voi negletti ferìr mentre le vostre
 
Paurose latebre Eco solinga,
 
Non vano error de' venti,
 
Ma di ninfa abitò misero spirto,
 
Cui grave amor, cui duro fato escluse
 
Delle tenere membra. Ella per grotte,
 
Per nudi scogli e desolati alberghi,
 
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
 
Nostre querele al curvo
 
Etra insegnava. E te d'umani eventi
 
Disse la fama esperto,
 
Musico augel che tra chiomato bosco
 
Or vieni il rinascente anno cantando,
 
E lamentar nell'alto
 
Ozio de' campi, all'aer muto e fosco,
 
Antichi danni e scellerato scorno,
 
E d'ira e di pietà pallido il giorno.
 
 
Ma non cognato al nostro
 
Il gener tuo; quelle tue varie note
 
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
 
Men caro assai la bruna valle asconde
 
Ahi ahi, poscia che vote
 
Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono
 
Per l'atre nubi e le montagne errando,
 
Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro
 
In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano
 
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
 
Le meste anime educa;
 
Tu le cure infelici e i fati indegni
 
Tu de' mortali ascolta,
 
Vaga natura, e la favilla antica
 
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
 
E se de' nostri affanni
 
Cosa veruna in ciel, se nell'aprica
 
Terra s'alberga o nell'equoreo seno,
 
Pietosa no, ma spettatrice almeno.
 
[[Categoria:Testi|Alla primavera (o delle favole antiche)Poesie]]