I Viceré/Parte terza/9: differenze tra le versioni

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Dinanzi a quella devastazione, Consalvo pensava adesso con un senso di rammarico alla morte del mondo monastico, che egli aveva vista con vivo tripudio. Ma allora - rammentava! - aveva quindici anni, era impaziente di prendere il posto che lo aspettava in società. Se gli avessero detto, allora, che egli sarebbe tornato un giorno a San Nicola per discorrervi dell’eguaglianza sociale e del pensiero laico!... No, egli non poteva assuefarsi a quest’ideale democratico contro il quale protestavano la sua educazione e il suo stesso sangue. Lì, a San Nicola, forse più che a casa propria, egli era stato imbevuto di superbia signorile, era stato avvezzo a considerarsi d’una pasta diversa dalla comune... Dove era la sua camera? Egli la cercava, al Noviziato, e non la trovava. Forse dove stava scritto GABINETTO DI FISICA. Un custode, facendogli da guida, narrava le magnificenze del convento, le feste sontuose, l’abbondanza dei conviti, la nobiltà dei Padri, e rammaricavasi mostrando le rovine presenti. "Qui stavano i novizi, tutti figli dei primi baroni: bei tempi! Adesso ci vengono i figli dei ciabattini!" Il prestigio della nobiltà e della ricchezza era dunque veramente imperituro, se quel povero diavolo parlava così d’una riforma che giovava ai suoi pari... Consalvo voleva rispondere: "Avete ragione..." ma il rumore di martellate che veniva dalla palestra gli rammentava la necessità di nascondere i propri sentimenti, di rappresentare la parte che s’era assunta. Lì, fra quelle mura, egli s’era messo col partito dei sorci, ai quali fra’ Cola voleva tagliar la coda; qualcuno non gli avrebbe fatto una colpa di quel remotissimo passato?... Bah! Chi si rammentava delle monellate d’un ragazzo! Giovannino era morto, non poteva tornar dall’altro mondo a contraddirlo! E quand’anche?...
 
Frattanto i preparativi si venivano compiendo; la domenica del comizio tutto fu pronto. L’aspetto della palestra era grandioso. Duemila seggiole erano disposte in bell’ordine nell’arena, e restava tuttavia spazio libero per gli spettatori in piedi. Il lato meridionale del portico, riservato alla presidenza ed alle associazioni, conteneva una gran tavola circondata di poltrone e fiancheggiata da tavolini per la stampa e gli stenografi. Gli altri tre lati erano per gl’invitati: autorità, signore, rappresentanze varie. Tutta la terrazza, come l’arena, restava agli spettatori minuti: per difendere le teste dal sole erano state distese grandi tende di mussolina tricolore. Trofei di bandiere abbracciavano le colonne, ed in mezzo a ciascun trofeo spiccava un ritratto: a destra e a sinistra della balaustrata da cui avrebbe parlato il candidato, Umberto e {{AutoreCitato|Giuseppe Garibaldi|Garibaldi}}; poi {{AutoreCitato|Giuseppe Mazzini|Mazzini}} e {{AutoreCitato|Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele}}; poi Margherita e Cairoli; e così tutto in giro Amedeo, Bixio, {{AutoreCitato|Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour}}, Crispi, Lamarmora, Rattazzi, Bertani, {{AutoreCitato|Enrico Cialdini|Cialdini}}, la famiglia sabauda e la garibaldina, la monarchia e la repubblica, la destra e la sinistra.
 
Fin dalle dieci, la folla cominciò a far ressa, ma le porte erano custodite da buon nerbo di membri del comitato, riconoscibili a una gran coccarda tricolore appuntata al petto. Giù, nel cortile esterno, si riunivano le società attorno alle bandiere e ai labari, per ricevere il candidato e accompagnarlo alla palestra. Tre bande arrivarono una dopo l’altra, coi sodalizi più numerosi, tirandosi dietro una folla di curiosi; e il brusìo saliva al cielo; torrenti di gente s’ingolfavano dallo spalancato portone della scala reale. Gli strumenti dei sonatori specchiavano al gaio sole autunnale; pennacchi e bandiere ondeggiavano al vento; i cartelloni multicolori vestivano a festa i muri del monastero.
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"Fisicamente, sì; il nostro sangue è impoverito; eppure ciò non impedisce a molti dei nostri di arrivare sani e vegeti all’invidiabile età di Vostra Eccellenza!... Al morale, essi sono spesso cocciuti, stravaganti, bislacchi, talvolta..." voleva aggiungere "pazzi" ma passò oltre. "Non stanno in pace tra loro, si dilaniano continuamente. Ma Vostra Eccellenza pensi al passato! Si rammenti quel Blasco Uzeda, "cognominato nella lingua siciliana Sciarra, che nel tosco idioma Rissa diremmo"; si rammenti di quell’altro Artale Uzeda, cognominato Sconza, cioè Guasta!... Io e mio padre non siamo andati d’accordo, ed egli mi diseredò; ma il Viceré Ximenes imprigionò suo figlio, lo fece condannare a morte... Vostra Eccellenza vede che sotto qualche aspetto è bene che i tempi siano mutati!... E rammenti la fellonia dei figli di Artale ; rammenti tutte le liti tra parenti, pei beni confiscati, per le doti delle femmine... Con questo, non intendo giustificare ciò che accade ora. Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piuttosto che di sposare il marchese, poi un’anima in due corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzie per sposare Giulente, poi lo disprezzò come un servo, e adesso è tutta una cosa con lui, fino al punto di far la guerra a me e di spingerlo al ridicolo del fiasco elettorale! Guardiamo, in un altro senso, la stessa Teresa. Per obbedienza filiale, per farsi dar della santa, sposò chi non amava, affrettò la pazzia ed il suicidio del povero Giovannino; e adesso va ad inginocchiarsi tutti i giorni nella cappella della Beata Ximena, dove arde la lampada accesa per la salute del povero cugino! E la Beata Ximena che cosa fu se non una divina cocciuta? Io stesso, il giorno che mi proposi di mutar vita, non vissi se non per prepararmi alla nuova. Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male... Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa."
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