Divina Commedia/Paradiso/Canto VI: differenze tra le versioni

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{{opera
{{paradiso}}
|NomeCognome=Dante Alighieri
'''Paradiso - CANTO VI'''
|TitoloOpera=Divina Commedia
----
|NomePaginaOpera=Divina Commedia
|AnnoPubblicazione=
|TitoloSezione=[[Divina Commedia/Paradiso|Paradiso]]<br /><br />Canto sesto
}}
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Canto quinto
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Divina Commedia/Paradiso/Canto V
|CapitoloSuccessivo=Canto settimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Divina Commedia/Paradiso/Canto VII
}}
''Canto VI, dove, nel cielo di Mercurio, Iustiniano imperadore sotto brevità narra tutti li grandi fatti operati per li Romani sotto la 'nsegna de l'aquila, da l'avvenimento di Enea in Italia infino al tempo di Longobardi; e alcune cose si dicono qui in laude di Romeo visconte del conte Ramondo Berlinghieri di Proenza.''
 
<poem>
«Poscia che Costantin l'aquila volse <br>
«Poscia che Costantin l'aquila volse
contr' al corso del ciel, ch'ella seguio <br>
contr' al corso del ciel, ch'ella seguio
dietro a l'antico che Lavina tolse, <br>
dietro a l'antico che Lavina tolse, {{r|3}}
cento e cent' anni e più l'uccel di Dio <br>
 
ne lo stremo d'Europa si ritenne, <br>
cento e cent' anni e più l'uccel di Dio
vicino a' monti de' quai prima uscìo; <br>
ne lo stremo d'Europa si ritenne,
e sotto l'ombra de le sacre penne <br>
vicino a' monti de' quai prima uscìo; {{r|6}}
governò 'l mondo lì di mano in mano, <br>
 
e, sì cangiando, in su la mia pervenne. <br>
e sotto l'ombra de le sacre penne
Cesare fui e son Iustinïano, <br>
governò 'l mondo lì di mano in mano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento, <br>
e, sì cangiando, in su la mia pervenne. {{r|9}}
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano. <br>
 
E prima ch'io a l'ovra fossi attento, <br>
Cesare fui e son Iustinïano,
una natura in Cristo esser, non piùe, <br>
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
credea, e di tal fede era contento; <br>
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano. {{r|12}}
ma 'l benedetto Agapito, che fue <br>
 
sommo pastore, a la fede sincera <br>
E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
mi dirizzò con le parole sue. <br>
una natura in Cristo esser, non piùe,
Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era, <br>
credea, e di tal fede era contento; {{r|15}}
vegg' io or chiaro sì, come tu vedi <br>
 
ogni contradizione e falsa e vera. <br>
ma 'l benedetto Agapito, che fue
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, <br>
sommo pastore, a la fede sincera
a Dio per grazia piacque di spirarmi <br>
mi dirizzò con le parole sue. {{r|18}}
l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi; <br>
 
e al mio Belisar commendai l'armi, <br>
Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era,
cui la destra del ciel fu sì congiunta, <br>
vegg' io or chiaro sì, come tu vedi
che segno fu ch'i' dovessi posarmi. <br>
ogni contradizione e falsa e vera. {{r|21}}
Or qui a la question prima s'appunta <br>
 
la mia risposta; ma sua condizione <br>
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
mi stringe a seguitare alcuna giunta, <br>
a Dio per grazia piacque di spirarmi
perché tu veggi con quanta ragione <br>
l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi; {{r|24}}
si move contr' al sacrosanto segno <br>
 
e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone. <br>
e al mio Belisar commendai l'armi,
Vedi quanta virtù l'ha fatto degno <br>
cui la destra del ciel fu sì congiunta,
di reverenza; e cominciò da l'ora <br>
che segno fu ch'i' dovessi posarmi. {{r|27}}
che Pallante morì per darli regno. <br>
 
Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora <br>
Or qui a la question prima s'appunta
per trecento anni e oltre, infino al fine <br>
la mia risposta; ma sua condizione
che i tre a' tre pugnar per lui ancora. <br>
mi stringe a seguitare alcuna giunta, {{r|30}}
E sai ch'el fé dal mal de le Sabine <br>
 
al dolor di Lucrezia in sette regi, <br>
perché tu veggi con quanta ragione
vincendo intorno le genti vicine. <br>
si move contr' al sacrosanto segno
Sai quel ch'el fé portato da li egregi <br>
e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone. {{r|33}}
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, <br>
 
incontro a li altri principi e collegi; <br>
Vedi quanta virtù l'ha fatto degno
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro <br>
di reverenza; e cominciò da l'ora
negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi <br>
che Pallante morì per darli regno. {{r|36}}
ebber la fama che volontier mirro. <br>
 
Esso atterrò l'orgoglio de li Aràbi <br>
Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
che di retro ad Anibale passaro <br>
per trecento anni e oltre, infino al fine
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi. <br>
che i tre a' tre pugnar per lui ancora. {{r|39}}
Sott' esso giovanetti trïunfaro <br>
 
Scipïone e Pompeo; e a quel colle <br>
E sai ch'el fé dal mal de le Sabine
sotto 'l qual tu nascesti parve amaro. <br>
al dolor di Lucrezia in sette regi,
Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle <br>
vincendo intorno le genti vicine. {{r|42}}
redur lo mondo a suo modo sereno, <br>
 
Cesare per voler di Roma il tolle. <br>
ESai quel chech'el portato da Varo infino a Reno,li <br>egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
Isara vide ed Era e vide Senna <br>
incontro a li altri principi e collegi; {{r|45}}
e ogne valle onde Rodano è pieno. <br>
 
Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna <br>
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
e saltò Rubicon, fu di tal volo, <br>
negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
che nol seguiteria lingua né penna. <br>
ebber la fama che volontier mirro. {{r|48}}
Inver' la Spagna rivolse lo stuolo, <br>
 
poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse <br>
Esso atterrò l'orgoglio de li Aràbi
sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo. <br>
che di retro ad Anibale passaro
Antandro e Simeonta, onde si mosse, <br>
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi. {{r|51}}
rivide e là dov' Ettore si cuba; <br>
 
e mal per Tolomeo poscia si scosse. <br>
Sott' esso giovanetti trïunfaro
Da indi scese folgorando a Iuba; <br>
Scipïone e Pompeo; e a quel colle
onde si volse nel vostro occidente, <br>
sotto 'l qual tu nascesti parve amaro. {{r|54}}
ove sentia la pompeana tuba. <br>
 
Di quel che fé col baiulo seguente, <br>
Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle
Bruto con Cassio ne l'inferno latra, <br>
redur lo mondo a suo modo sereno,
e Modena e Perugia fu dolente. <br>
Cesare per voler di Roma il tolle. {{r|57}}
Piangene ancor la trista Cleopatra, <br>
 
che, fuggendoli innanzi, dal colubro <br>
E quel che fé da Varo infino a Reno,
la morte prese subitana e atra. <br>
Isara vide ed Era e vide Senna
Con costui corse infino al lito rubro; <br>
e ogne valle onde Rodano è pieno. {{r|60}}
con costui puose il mondo in tanta pace, <br>
 
che fu serrato a Giano il suo delubro. <br>
Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna
Ma ciò che 'l segno che parlar mi face <br>
e saltò Rubicon, fu di tal volo,
fatto avea prima e poi era fatturo <br>
che nol seguiteria lingua né penna. {{r|63}}
per lo regno mortal ch'a lui soggiace, <br>
 
diventa in apparenza poco e scuro, <br>
Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,
se in mano al terzo Cesare si mira <br>
poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
con occhio chiaro e con affetto puro; <br>
sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo. {{r|66}}
ché la viva giustizia che mi spira, <br>
 
li concedette, in mano a quel ch'i' dico, <br>
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
gloria di far vendetta a la sua ira. <br>
rivide e là dov' Ettore si cuba;
Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco: <br>
e mal per Tolomeo poscia si scosse. {{r|69}}
poscia con Tito a far vendetta corse <br>
 
de la vendetta del peccato antico. <br>
Da indi scese folgorando a Iuba;
E quando il dente longobardo morse <br>
onde si volse nel vostro occidente,
la Santa Chiesa, sotto le sue ali <br>
ove sentia la pompeana tuba. {{r|72}}
Carlo Magno, vincendo, la soccorse. <br>
 
Omai puoi giudicar di quei cotali <br>
Di quel che fé col baiulo seguente,
ch'io accusai di sopra e di lor falli, <br>
Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
che son cagion di tutti vostri mali. <br>
e Modena e Perugia fu dolente. {{r|75}}
L'uno al pubblico segno i gigli gialli <br>
 
oppone, e l'altro appropria quello a parte, <br>
Piangene ancor la trista Cleopatra,
sì ch'è forte a veder chi più si falli. <br>
che, fuggendoli innanzi, dal colubro
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte <br>
la morte prese subitana e atra. {{r|78}}
sott' altro segno, ché mal segue quello <br>
 
sempre chi la giustizia e lui diparte; <br>
Con costui corse infino al lito rubro;
e non l'abbatta esto Carlo novello <br>
con costui puose il mondo in tanta pace,
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli <br>
che fu serrato a Giano il suo delubro. {{r|81}}
ch'a più alto leon trasser lo vello. <br>
 
Molte fïate già pianser li figli <br>
Ma ciò che 'l segno che parlar mi face
per la colpa del padre, e non si creda <br>
fatto avea prima e poi era fatturo
che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli! <br>
per lo regno mortal ch'a lui soggiace, {{r|84}}
Questa picciola stella si correda <br>
 
d'i buoni spirti che son stati attivi <br>
diventa in apparenza poco e scuro,
perché onore e fama li succeda: <br>
se in mano al terzo Cesare si mira
e quando li disiri poggian quivi, <br>
con occhio chiaro e con affetto puro; {{r|87}}
sì disvïando, pur convien che i raggi <br>
 
del vero amore in sù poggin men vivi. <br>
ché la viva giustizia che mi spira,
Ma nel commensurar d'i nostri gaggi <br>
li concedette, in mano a quel ch'i' dico,
col merto è parte di nostra letizia, <br>
gloria di far vendetta a la sua ira. {{r|90}}
perché non li vedem minor né maggi. <br>
 
Quindi addolcisce la viva giustizia <br>
Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco:
in noi l'affetto sì, che non si puote <br>
poscia con Tito a far vendetta corse
torcer già mai ad alcuna nequizia. <br>
de la vendetta del peccato antico. {{r|93}}
Diverse voci fanno dolci note; <br>
 
così diversi scanni in nostra vita <br>
E quando il dente longobardo morse
rendon dolce armonia tra queste rote. <br>
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
E dentro a la presente margarita <br>
Carlo Magno, vincendo, la soccorse. {{r|96}}
luce la luce di Romeo, di cui <br>
 
fu l'ovra grande e bella mal gradita. <br>
Omai puoi giudicar di quei cotali
Ma i Provenzai che fecer contra lui <br>
ch'io accusai di sopra e di lor falli,
non hanno riso; e però mal cammina <br>
che son cagion di tutti vostri mali. {{r|99}}
qual si fa danno del ben fare altrui. <br>
 
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, <br>
L'uno al pubblico segno i gigli gialli
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece <br>
oppone, e l'altro appropria quello a parte,
Romeo, persona umìle e peregrina. <br>
sì ch'è forte a veder chi più si falli. {{r|102}}
E poi il mosser le parole biece <br>
 
a dimandar ragione a questo giusto, <br>
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
che li assegnò sette e cinque per diece, <br>
sott' altro segno, ché mal segue quello
indi partissi povero e vetusto; <br>
sempre chi la giustizia e lui diparte; {{r|105}}
e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe <br>
 
mendicando sua vita a frusto a frusto, <br>
e non l'abbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
ch'a più alto leon trasser lo vello. {{r|108}}
 
Molte fïate già pianser li figli
per la colpa del padre, e non si creda
che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli! {{r|111}}
 
Questa picciola stella si correda
d'i buoni spirti che son stati attivi
perché onore e fama li succeda: {{r|114}}
 
e quando li disiri poggian quivi,
sì disvïando, pur convien che i raggi
del vero amore in sù poggin men vivi. {{r|117}}
 
Ma nel commensurar d'i nostri gaggi
col merto è parte di nostra letizia,
perché non li vedem minor né maggi. {{r|120}}
 
Quindi addolcisce la viva giustizia
in noi l'affetto sì, che non si puote
torcer già mai ad alcuna nequizia. {{r|123}}
 
Diverse voci fanno dolci note;
così diversi scanni in nostra vita
rendon dolce armonia tra queste rote. {{r|126}}
 
E dentro a la presente margarita
luce la luce di Romeo, di cui
fu l'ovra grande e bella mal gradita. {{r|129}}
 
Ma i Provenzai che fecer contra lui
non hanno riso; e però mal cammina
qual si fa danno del ben fare altrui. {{r|132}}
 
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
Romeo, persona umìle e peregrina. {{r|135}}
 
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto,
che li assegnò sette e cinque per diece, {{r|138}}
 
indi partissi povero e vetusto;
e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto, {{r|141}}
 
assai lo loda, e più lo loderebbe».
</poem>
 
 
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