Satire (Orazio)/Libro I/Satira IV: differenze tra le versioni

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Ed ubbriaco va con grave scorno
A torchi accesi innanzi sera in giro.
Forse minor rabbuffi udrìa Pomponio,
Se gli vivesse il padre? Or via non basta
Versi formar con pure voci e schiette,
I quai non puoi scompor, che tu non senta
Qualunque altro sbuffare in tuon simìle
A quel che faccia in palco un finto padre.
Tal è se togli aquesti versi miei
E a quegli ancora di Lucilio i tempi
E le misure fisse, e se turbando
L'ordine metti i primi accenti in fine,
Ed al principio fai passar gli estremi.
Ma se prendi a disfar questi altri versi:
= Poichè discordia tetra ebbe le sbarre
= Di Giano infrante, e le ferrate porte,
Tu sempre ravvisar puoi brani e pezzi
Di poetico stile; e fin quì basti.
Se la Commedia tra i poemi ha loco,
Vedremo in altro tempo. Or io sol cerco,
Se di buona ragion questa mia foggia
Di scriver sia da te presa in sospetto.
Bruschi e affiocati van con que'lor fogli
Girando Sulcio e Caprio, ambo spavento
Degli assassin; ma chi le mani ha nette
Può sprezzar l'uno e l'altro allegramente.
Se a'ladron Celio e Birrio hai somiglianza
Io non son Caprio o Sulcio. E perc'hai dunque
Timor di me? Nè banco nè bottega
Tiene in vendita esposti i libri miei,
Cui si stanchi a sfogliar Tigellio e il volgo.
Io non gli leggo salvo che agli amici,
Se non forzato, e non in tutti i luoghi,
E non in faccia di qualunque e'sia.
Gente non manca che i suoi scritti legga
Nel bel mezzo del foro e sin ne'bagni,
U'la stanza alla voce ben risponde,
Vezzo di teste vote, a cui non cale
Oprare a caso e fuor di tempo e loco.
Tu ferir godi e scaltramente il fai.
Or chi ti diè lo stral che tu m'avventi?
Forse alcuno di lor, co'quai converso?
Chi l'amico lontan morde, e non anzi
Dagli altrui morsi lo difende, e gode
Di far rider la gente, e al vanto aspira
Di schernitor, chi false cose inventa,
Nè tacer sa i segreti a lui commessi,
Egli è un cor negro, e tu, Romano, il fuggi.
Spesso a un convito vedrai quattro insieme,
Un de'quai copre d'insolenze tutti
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