Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/53: differenze tra le versioni

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{{Anno di|CRISTO LIII. Indizione XI.|PIETRO APOSTOLO papa 25.|TIBERIO CLAUDIO, figliuolo di Druso imperadore 13.}}
Consoli
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Decimo Giunio Silano e Quinto Haterio Antonino.
 
Era giunto Nerone Cesare a quindici in sedici anni; anche Ottavia figliuola di Claudio Augusto all’età capace di matrimonio; e però in quest’anno si celebrarono le loro nozze. Così Tacito<ref>354 Tacitus, Annal., lib. 12, cap. 58.</ref>. Ma Svetonio<ref>355 Sueton. in Nerone, cap. 7.</ref> mette questo fatto due anni prima, allorchè Claudio era console, cioè nell’anno 54 dell’Era nostra, con avere allora Nerone celebrati i giuochi circensi, e la caccia delle fiere nell’anfiteatro per la salute del suocero imperadore. Anche Dione mette il di lui matrimonio prima del combattimento navale sul lago Fucino. Però non è qui sicura la cronologia di Tacito. Affinchè questo giovine bestia facesse per tempo una bella comparsa nell’eloquenza, Agrippina sua madre, e Seneca il maestro, vollero ch’egli servisse da avvocato al popolo d’Ilio o sia di Troja, i cui ambasciadori chiedeano allora in senato l’esenzion dai tributi. Una bella orazione in greco, dettatagli senza fallo dal precettore<ref>356 Sueton. in Nerone, cap. 8.</ref>, recitò Nerone, in cui ebbero luogo tutte le favole inventate dai Romani, cioè la loro origine da Troja e da Enea, spacciato dagli adulatori per propagatore della famiglia Giulia. Nulla si potè negare ad un sì facondo oratore, e a sì forti ragioni; però Tiberio, dopo avere anch’egli tirata fuori una lettera scritta in greco dal senato e popolo romano, in cui esibivano lega al re Seleuco, purchè egli concedesse ogni esenzione al popolo di Troja, parente de’ Romani, conchiuse che non si dovea negar tal grazia ai Trojani; nè vi fu chi non concorresse nella medesima sentenza. Perchè i Romani, che componeano la colonia nella città di Bologna in Italia, erano ricorsi all’imperadore e al senato per aiuto a cagion di un incendio che avea devastato le lor case: parimente per loro fece da avvocato con una orazione latina il giovinetto Nerone, ed ottenne in lor soccorso la somma di dugento cinquanta mila scudi romani. Anche il popolo di Rodi supplicava per ricuperare la libertà, che dianzi dicemmo tolta loro dal medesimo Claudio. Per loro perorò Nerone in greco, ed impetrò tutto quanto desideravano. Concedè similmente Claudio per cinque anni l’esenzion dalle imposte a quei d’Apamea, rovinati da un tremuoto, e al popolo di Bisanzio, che si trovò troppo aggravato; e per tutti i tempi avvenire l’accordò dipoi al popolo di Coo. Statilio Tauro (non sappiamo se Marco o Tito) possedeva de’ bei giardini. Agrippina gli amoreggiava<ref>357 Tacitus, Annal., lib. 12, cap. 64.</ref> anch’essa;
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però dacchè fu ritornato dall’Africa, dove era stato proconsole, il fece accusare in senato da Tarquinio Prisco, con apporgli falsamente d’essersi mischiato in superstizioni di magia forse contro la vita di Claudio. S’impazientò egli cotanto per questa trappola, che datasi la morte colle proprie mani, prevenne la sentenza del senato.