Pagina:L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu/129: differenze tra le versioni

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<noinclude>to</noinclude> dopo le cistiberine, e altresì distrutta alquanto dopo di queste. Della prima opinione ci sono pruova le impronte ricopiate dall’originale cistiberino, il segno dell’aspirazione '''H''', l’andamento dell’epigrafe che è quasi sempre da sinistra a destra: della seconda il tempo alquanto tardo delle invasioni romane al di là dell’apennino. Ma che la chiusura dell’officina atriana seguisse da vicino quella delle officine cistiberine ce lo dimostra l’unità del peso delle sue monete. Ma ancorché la diminuzione del peso primitivo e l’uso del conio non ci mostrino qui, come in Roma, Todi e Lucera, una non breve successione di tempi, contuttociò la quantità della moneta atriana, che è molto più abbondante della riminese e di quella degli umbri, degli etruschi e di parecchi popoli cistiberini, vuole che crediamo, o che quella durata non fu si breve, o che la grandezza e le ricchezze di quella città avessero un’ ampiezza molto considerevole. Fu Atri in quella età la prima città e il primo emporio de’ piceni, non solo perchè essa sola in quella provincia ebbe il proprio ''aes grave'', ma eziandio perchè i romani colà, come a capo d’un grandissimo popolo, vollero che mettessero termine le due vie consolari Salaria e Valeria, con le quali verso oriente pure, come verso settentrione, atterrarono in certa guisa l’inaccessibilità e le asprezze dell’ apennino.
<noinclude>to</noinclude> dopo le cistiberine, e altresì distrutta alquanto dopo di queste. Della prima opinione ci sono pruova le impronte ricopiate dall’originale cistiberino, il segno dell’aspirazione '''H''', l’andamento dell’epigrafe che è quasi sempre da sinistra a destra: della seconda il tempo alquanto tardo delle invasioni romane al di là dell’apennino. Ma che la chiusura dell’officina atriana seguisse da vicino quella delle officine cistiberine ce lo dimostra l’unità del peso delle sue monete. Ma ancorché la diminuzione del peso primitivo e l’uso del conio non ci mostrino qui, come in Roma, Todi e Lucera, una non breve successione di tempi, contuttociò la quantità della moneta atriana, che è molto più abbondante della riminese e di quella degli umbri, degli etruschi e di parecchi popoli cistiberini, vuole che crediamo, o che quella durata non fu si breve, o che la grandezza e le ricchezze di quella città avessero un’ ampiezza molto considerevole. Fu Atri in quella età la prima città e il primo emporio de’ piceni, non solo perchè essa sola in quella provincia ebbe il proprio ''aes grave'', ma eziandio perchè i romani colà, come a capo d’un grandissimo popolo, vollero che mettessero termine le due vie consolari Salaria e Valeria, con le quali verso oriente pure, come verso settentrione, atterrarono in certa guisa l’inaccessibilità e le asprezze dell’ apennino.


L’arte presso gli atriani, rispetto alle monete, non la cede né agli etruschi, né agli umbri, né a’ riminesi, né ad alcune delle città cistiberine. I dotti di quella provincia converrebbe si studiassero a rintracciare e raccogliere monumenti primitivi d’altro genere, co’ quali dimostrare che anche in quella loro provincia l’ ingegno italico sapea effigiarsi le imagini del bello. Sotto il numero 3. della Tavola III. A. abbiam ricopiato con esattezza il disegno di quella ''vaga donzella'' nella quale il {{Ac|Melchiorre Delfico|Delfico}}, correndo dietro alle sentenze altrui, volle riconoscere la vera dea della bellezza. Non crediamo necessario un sottile ragionamento a confermare la sentenza con che noi l’abbiamo dichiarata una Medusa.
L’arte presso gli atriani, rispetto alle monete, non la cede né agli etruschi, né agli umbri, né a’ riminesi, né ad alcune delle città cistiberine. I dotti di quella provincia converrebbe si studiassero a rintracciare e raccogliere monumenti primitivi d’altro genere, co’ quali dimostrare che anche in quella loro provincia l’ ingegno italico sapea effigiarsi le imagini del bello. Sotto il numero 3. della Tavola III. A. abbiam ricopiato con esattezza il disegno di quella ''vaga donzella'' nella quale il {{AutoreCitato|Melchiorre Delfico|Delfico}}, correndo dietro alle sentenze altrui, volle riconoscere la vera dea della bellezza. Non crediamo necessario un sottile ragionamento a confermare la sentenza con che noi l’abbiamo dichiarata una Medusa.


{{Centrato|TAVOLA III. B.}}
{{Centrato|TAVOLA III. B.}}