Pagina:L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu/69: differenze tra le versioni
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Che se è malagevole il fissare con certezza il tempo in cui i latini perdettero il diritto della moneta nazionale e propria, non cosi forse sarà difficile l’intendere quale sia stato il tempo e quali i diritti in che e con che i latini poterono riaprire le proprie officine L’orgoglio e l’amor proprio de’ romani si ostinò per secoli interi a non dividere con alcuno, tranne una parte de’ prossimi e benemeriti sabini, la potenza ed il comando ch’erasi con le armi conquistato. Avrebbe voluto di per se solo e allargare l’impero sopra le lontane provincie, e mantenere in soggezione le vicine genti già debellate. I latini in compenso degli ajuti ch’erano pronti a prestar loro in qualsiasi più difficile impresa, chiedevano d’essere messi a parte degl’invidiati diritti della cittadinanza. Ma meno grave sembrava a’ romani il vederseli di tempo in tempo levar contro col furor dell’armi, che accondiscendere a sì equa ed onesta dimanda. Venne finalmente il tempo in cui un impeto più gagliardo d’ambizione vinse questa meschina invidia. Per assicurarsi il trionfo sopra le più poderose genti d’Italia e fuori, ciò che far non potevasi senza una forza molto maggiore di quella che somministrava l’interno della città, discese finalmente Roma ad un nuovo patto, chiamando i latini a godere di que’ privilegi che sono famosi nella storia sotto il titolo di ''jus Latii''. I rutuli, i volsci, gli equi, gli ernici, gli aurunci a poco a poco entrarono anch’essi a parte del ''jus Latii'': perciò lasciata la varietà degli antichi nomi, si disser latini anch’essi, e ''Latium novum'' chiamossi tutto il paese. {{AutoreCitato|Gaio Plinio Secondo|Plinio}} tace il tempo e ricorda il dilatamento di questi confini (H. N. Lib. III. 9.). La prima volta dal Tevere per ben cinquanta miglia s’allargò sino alla città e al monte di Circe ''a Tiberi Circeios'': la seconda giunse alle rive del Garigliano ''nomen Latii procurrit ad Lirim amnem''. Se i molti studj posti su la provenienza, su le impronte e su l’epigrafi di queste monete ne valessero a qualche buon effetto, l’effetto sarebbe quello d’averci palesato, che queste monete appartengono al tempo e al paese di cui stiamo favellando. |
Che se è malagevole il fissare con certezza il tempo in cui i latini perdettero il diritto della moneta nazionale e propria, non cosi forse sarà difficile l’intendere quale sia stato il tempo e quali i diritti in che e con che i latini poterono riaprire le proprie officine L’orgoglio e l’amor proprio de’ romani si ostinò per secoli interi a non dividere con alcuno, tranne una parte de’ prossimi e benemeriti sabini, la potenza ed il comando ch’erasi con le armi conquistato. Avrebbe voluto di per se solo e allargare l’impero sopra le lontane provincie, e mantenere in soggezione le vicine genti già debellate. I latini in compenso degli ajuti ch’erano pronti a prestar loro in qualsiasi più difficile impresa, chiedevano d’essere messi a parte degl’invidiati diritti della cittadinanza. Ma meno grave sembrava a’ romani il vederseli di tempo in tempo levar contro col furor dell’armi, che accondiscendere a sì equa ed onesta dimanda. Venne finalmente il tempo in cui un impeto più gagliardo d’ambizione vinse questa meschina invidia. Per assicurarsi il trionfo sopra le più poderose genti d’Italia e fuori, ciò che far non potevasi senza una forza molto maggiore di quella che somministrava l’interno della città, discese finalmente Roma ad un nuovo patto, chiamando i latini a godere di que’ privilegi che sono famosi nella storia sotto il titolo di ''jus Latii''. I rutuli, i volsci, gli equi, gli ernici, gli aurunci a poco a poco entrarono anch’essi a parte del ''jus Latii'': perciò lasciata la varietà degli antichi nomi, si disser latini anch’essi, e ''Latium novum'' chiamossi tutto il paese. {{AutoreCitato|Gaio Plinio Secondo|Plinio}} tace il tempo e ricorda il dilatamento di questi confini (H. N. Lib. III. 9.). La prima volta dal Tevere per ben cinquanta miglia s’allargò sino alla città e al monte di Circe ''a Tiberi Circeios'': la seconda giunse alle rive del Garigliano ''nomen Latii procurrit ad Lirim amnem''. Se i molti studj posti su la provenienza, su le impronte e su l’epigrafi di queste monete ne valessero a qualche buon effetto, l’effetto sarebbe quello d’averci palesato, che queste monete appartengono al tempo e al paese di cui stiamo favellando. |
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L’intramischiamento delle impronte e l’epigrafe ROMA e ROMANO verrebbono a confermare la nostra opinione. Finché durò l’indipendenza di queste genti, ciascuna ebbe le particolari sue impronte, le quali, come può ravvisarsi ad una sola occhiata che diasi alle monete primitive e fuse, non si confondono mai tra loro cosi, che una serie paja quasi innestata |
L’intramischiamento delle impronte e l’epigrafe ROMA e ROMANO verrebbono a confermare la nostra opinione. Finché durò l’indipendenza di queste genti, ciascuna ebbe le particolari sue impronte, le quali, come può ravvisarsi ad una sola occhiata che diasi alle monete primitive e fuse, non si confondono mai tra loro cosi, che una serie paja quasi innestata nell’altra. Ma nel Lazio nuovo il rutulo, il volsco, l’ernico, il latino non ha più |
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tra. Ma nel Lazio nuovo il rutulo, il volsco, l’ernico, il latino non ha più |
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