Divina Commedia/Inferno/Canto XV: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=100%|data=18 maggio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Inferno|Inferno]]<br />Canto quindicesimo|prec=../Canto XIV|succ=../Canto XVI}}
 
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''Canto XV, ove tratta di quello medesimo girone e di quello medesimo cerchio; e qui sono puniti coloro che fanno forza ne la deitade, spregiando natura e sua bontade, sì come sono li soddomiti.''
<poem>
Ora cen porta l'unl’un de'de’ duri margini;
e 'l’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
sì che dal foco salva l'acqual’acqua e li argini. {{r|3}}
 
Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
temendo 'l’l fiotto che 'nver'’nver’ lor s'avventas’avventa,
fanno lo schermo perché 'l’l mar si fuggia; {{r|6}}
 
e quali Padoan lungo la Brenta,
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Già eravam da la selva rimossi
tanto, ch'i'ch’i’ non avrei visto dov'eradov’era,
perch'ioperch’io in dietro rivolto mi fossi, {{r|15}}
 
quando incontrammo d'animed’anime una schiera
che venian lungo l'arginel’argine, e ciascuna
ci riguardava come suol da sera {{r|18}}
 
guardare uno altro sotto nuova luna;
e sì ver'ver’ noi aguzzavan le ciglia
come 'l’l vecchio sartor fa ne la cruna. {{r|21}}
 
Così adocchiato da cotal famiglia,
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per lo lembo e gridò: "Qual maraviglia!". {{r|24}}
 
E io, quando 'l’l suo braccio a me distese,
ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,
sì che 'l’l viso abbrusciato non difese {{r|27}}
 
la conoscenza süa al mio 'ntelletto’ntelletto;
e chinando la mano a la sua faccia,
rispuosi: "Siete voi qui, ser Brunetto?". {{r|30}}
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E quelli: "O figliuol mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
ritorna 'n’n dietro e lascia andar la traccia". {{r|33}}
 
I'I’ dissi lui: "Quanto posso, ven preco;
e se volete che con voi m'asseggiam’asseggia,
faròl, se piace a costui che vo seco". {{r|36}}
 
"O figliuol", disse, "qual di questa greggia
s'arrestas’arresta punto, giace poi cent'annicent’anni
sanz'arrostarsisanz’arrostarsi quando 'l’l foco il feggia. {{r|39}}
 
Però va oltre: i'i’ ti verrò a'a’ panni;
e poi rigiugnerò la mia masnada,
che va piangendo i suoi etterni danni". {{r|42}}
 
Io non osava scender de la strada
per andar par di lui; ma 'l’l capo chino
tenea com'uomcom’uom che reverente vada. {{r|45}}
 
El cominciò: "Qual fortuna o destino
anzi l'ultimol’ultimo dì qua giù ti mena?
e chi è questi che mostra 'l’l cammino?". {{r|48}}
 
"Là sù di sopra, in la vita serena",
rispuos'iorispuos’io lui, "mi smarri'smarri’ in una valle,
avanti che l'etàl’età mia fosse piena. {{r|51}}
 
Pur ier mattina le volsi le spalle:
questi m'apparvem’apparve, tornand'ïotornand’ïo in quella,
e reducemi a ca per questo calle". {{r|54}}
 
Ed elli a me: "Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorïoso porto,
se ben m'accorsim’accorsi ne la vita bella; {{r|57}}
 
e s'ios’io non fossi sì per tempo morto,
veggendo il cielo a te così benigno,
dato t'avreit’avrei a l'operal’opera conforto. {{r|60}}
 
Ma quello ingrato popolo maligno
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Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
gent'ègent’è avara, invidiosa e superba:
dai lor costumi fa che tu ti forbi. {{r|69}}
 
La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l'unal’una parte e l'altral’altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l'erbal’erba. {{r|72}}
 
Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
s'alcunas’alcuna surge ancora in lor letame, {{r|75}}
 
in cui riviva la sementa santa
di que'que’ Roman che vi rimaser quando
fu fatto il nido di malizia tanta". {{r|78}}
 
"Se fosse tutto pieno il mio dimando",
rispuos'iorispuos’io lui, "voi non sareste ancora
de l'umanal’umana natura posto in bando; {{r|81}}
 
ché 'n’n la mente m'èm’è fitta, e or m'accoram’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora {{r|84}}
 
m’insegnavate come l’uom s’etterna:
m'insegnavate come l'uom s'etterna:
e quant'ioquant’io l'abbial’abbia in grado, mentr'iomentr’io vivo
convien che ne la mia lingua si scerna. {{r|87}}
 
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
e serbolo a chiosar con altro testo
a donna che saprà, s'as’a lei arrivo. {{r|90}}
 
Tanto vogl'iovogl’io che vi sia manifesto,
pur che mia coscïenza non mi garra,
ch'ach’a la Fortuna, come vuol, son presto. {{r|93}}
 
Non è nuova a li orecchi miei tal arra:
però giri Fortuna la sua rota
come le piace, e 'l’l villan la sua marra". {{r|96}}
 
Lo mio maestro allora in su la gota
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li suoi compagni più noti e più sommi. {{r|102}}
 
Ed elli a me: "Saper d'alcunod’alcuno è buono;
de li altri fia laudabile tacerci,
ché 'l’l tempo saria corto a tanto suono. {{r|105}}
 
In somma sappi che tutti fur cherci
e litterati grandi e di gran fama,
d'und’un peccato medesmo al mondo lerci. {{r|108}}
 
Priscian sen va con quella turba grama,
e Francesco d'Accorsod’Accorso anche; e vedervi,
s'avessis’avessi avuto di tal tigna brama, {{r|111}}
 
colui potei che dal servo de'de’ servi
fu trasmutato d'Arnod’Arno in Bacchiglione,
dove lasciò li mal protesi nervi. {{r|114}}
 
Di più direi; ma 'l’l venire e 'l’l sermone
più lungo esser non può, però ch'i'ch’i’ veggio
là surger nuovo fummo del sabbione. {{r|117}}
 
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===== Altri progetti =====
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[[en:The Divine Comedy/Inferno/Canto XV]]