Morgante/Cantare decimoterzo: differenze tra le versioni

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<poem>
<span style="font-size:80%">1</span>&nbsp;&nbsp; Virgine sacra, d'ognid’ogni bontà piena,
madre di Quel per cui si canta osanna,
Virgine pura, Virgine serena,
dammi la tua cotidïana manna;
colla tua mano insino al fin mi mena
di questa storia, ché 'l’l tempo c'ingannac’inganna
e la vita e la morte e 'l’l mondo cieco,
ch'ioch’io faccia ascoltar ciascun con meco.
 
<span style="font-size:80%">2</span>&nbsp;&nbsp; La damigella con dolce parole,
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e punir sempre i frodolenti e pravi:
però di questo caso non mi duole.
E vo'vo’ che lasci a me tener le chiavi
e governargli e serrare ed aprire,
acciò che non ci possa ignun tradire. -
 
<span style="font-size:80%">3</span>&nbsp;&nbsp; Di questo l'amostantel’amostante s'allegròes’allegròe,
che quello uficio pigliassi la dama,
e le chiavi a costei raccomandòe.
Or questo è quel che la donzella brama:
sùbito al conte Orlando se n'andòen’andòe
alla prigione, ed umilmente il chiama,
dicendo: - Cavalier, di te mi pesa,
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e disse: - Dimmi: sai tu la cagione
perché il tuo padre in tal modo mi strazia
e messo m'ham’ha di sùbito in prigione?
Di questo fa'fa’, per Dio, mia voglia sazia:
tra'mitra’mi di dubbio e di confusïone.
E s's’ tu non mi puoi trar di questa torre,
non mi lasciar almen la vita tòrre. -
 
<span style="font-size:80%">5</span>&nbsp;&nbsp; Rispose Chiarïella al paladino:
- La cagion che 'l’l mio padre t'hat’ha qui preso
è che 'l’l Soldano da un certo indovino
come tu sia cristian par ch'abbich’abbi inteso,
benché tu mostri d'esserd’esser saracino;
e perché del gigante tiensi offeso,
ha fatto pace col Soldano e saldo
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secondo nostre legge morir debbe;
tu uccidesti adunque quel gigante:
la vita al nostro modo te n'andrebben’andrebbe.
Ma perch'ioperch’io t'hot’ho già eletto per mio amante,
tolsi le chiavi, ché di te m'increbbem’increbbe;
e di morir non dubitare omai,
ché tu se'se’ salvo, e libero sarai.
 
<span style="font-size:80%">7</span>&nbsp;&nbsp; Io ho tanto sentito ricordare
quel cavalier ch'Orlandoch’Orlando è nominato,
che sue virtù m'hanm’han fatta innamorare,
e per suo amor non sarai abandonato.
Del nome tuo, di me ti puoi fidare:
dimmel, baron, ch'assaich’assai mi sarà grato. -
Orlando rispondea: - Gentil madama,
io son colui ch'Orlandoch’Orlando il mondo chiama.
 
<span style="font-size:80%">8</span>&nbsp;&nbsp; Guarda dove condotto m'ham’ha Fortuna,
ch'appenach’appena il crederrai ch'ioch’io sia quel desso.
Io mi parti'parti’, né di mia gente alcuna
volli, se non qui il mio scuediero, appresso;
ho cavalcato al sole ed alla luna:
ora il tuo padre a forza m'ham’ha qui messo.
Ma se pensato avessi il tradimento,
per lo mio Iddio non mi mettea qui drento.
 
<span style="font-size:80%">9</span>&nbsp;&nbsp; A te mi raccomando, poi ch'ioch’io sono
dove tu vedi; e fa'fa’ che 'l’l mio destriere
sia governato; e poi sempre ti dono
l'animal’anima e 'l’l cuore e ciò ch'èch’è in mio potere.
E vo'vo’ che 'ntenda’ntenda ancor quel ch'ioch’io ragiono:
se tu potessi questo mio scudiere
in qualche modo di qui liberarlo,
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<span style="font-size:80%">10</span> Non poté sofferir che più parlassi
la damigella, udendo ch'erach’era Orlando:
parve che 'l’l cor nel petto si schiantassi
per gran dolcezza, e disse lacrimando:
- Io credo che Macon qua ti mandassi
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Ma in altro modo qui vorrei tenerti.
 
<span style="font-size:80%">11</span> S'ioS’io dovessi il mio padre far morire
con le mie proprie man, tu non morrai:
Amor comanda, ed io voglio ubbidire,
che tu sia salvo, e salvo te n'andrain’andrai;
quando fia tempo, ti saprò aprire.
E 'l’l tuo caval, contento ne sarai;
e lo scudier fia franco a ogni modo,
e che tu il mandi in Francia affermo e lodo. -
 
<span style="font-size:80%">12</span> Poi ch'ebbech’ebbe Chiarïella così detto,
lasciava Orlando e vanne al padre tosto,
e dice: - Quel sergente, poveretto,
si morrà certo, ché mi par disposto
di non voler mangiar: come folletto
gittato ha via ciò ch'ioch’io gli ho innanzi posto;
e colpa inver non ci ha da gnuna banda,
ch'ubbidirch’ubbidir dèe quel che 'l’l signor comanda. -
 
<span style="font-size:80%">13</span> Rispose l'amostantel’amostante: - Mandal via:
se si morisse, e'e’ ci sare'sare’ vergogna;
fa'fa’ che quell'altroquell’altro ben guardato sia:
di questo non aremo altro che rogna. -
Disse la dama: - Per la fede mia,
ch'ioch’io non so se farnetica o se sogna:
quand'ioquand’io domando, e'e’ guata come un matto
e non risponde, anco sta stupefatto. -
 
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e che tu meni Vegliantin commendo,
e dica il caso come io son tradito
dall'amostantedall’amostante e truovomi in prigione,
e quel che stato ne sia la cagione.
 
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che giunse ove non era Carlo Mano:
 
<span style="font-size:80%">16</span> perché e'e’ pensava a Parigi trovarlo,
ma col suo Ganellone era a Pontieri;
sentì come Rinaldo è fatto Carlo;
a lui n'andavan’andava, e così a Ulivieri.
Rinaldo, come e'e’ giugneva, a guardarlo
sùbito pien fu di tristi pensieri,
perché e'e’ piangeva sì miseramente
che in modo alcuno non potea dir niente.
 
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Allor Terigi quanto può, meschino,
a gran fatica in tal modo favella:
- L'amostanteL’amostante di Persia saracino
l'hal’ha incarcerato, e guardal Chiarïella,
una sua figlia nobile e gradita,
quale ha promesso campargli la vita.
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onde il Soldano aveva un negromante,
e che cristian quel fusse intese saldo
che l'aveal’avea morto; e fe'fe’ con l'amostantel’amostante
la pace e'e’ patti, il traditor ribaldo,
che fussi preso il buon signor d'Angranted’Angrante.
La notte tutti a due fumo legati
e in un fondo di torre incarcerati.
 
<span style="font-size:80%">19</span> Orlando s'accomandas’accomanda a Carlo Magno,
a te, Rinaldo, ovver santa Corona,
al suo cognato, all'amicoall’amico, al compagno,
prima che così perda la persona.
Vedi che di sudor tutto mi bagno:
volato son non come fa chi sprona,
tanto ch'i'ch’i’ son come tu vedi giunto.
Or tu se'se’ savio e 'ntendi’ntendi il caso appunto. -
 
<span style="font-size:80%">20</span> Alla sua vita tanto afflitto e gramo
non fu Rinaldo quanto a questa volta,
e disse sospirando: - Di'Di’ tu, Namo,
ch'ioch’io ho già per dolor la mente stolta. -
Quel savio vecchio disse: - Noi intendiamo,
s'ios’io ho questa imbasciata ben raccolta,
ch'aiutarch’aiutar ci bisogna Orlando presto.
Or ti dirò com'iocom’io farei di questo.
 
<span style="font-size:80%">21</span> Ogn'altroOgn’altro aiuto che lo imperadore
ed Ulivieri, alfin sarebbe vano,
perché qui è la forza e 'l’l grande amore.
Direi che si mandassi a Carlo Mano
e che ritorni, all'usatoall’usato, signore
per la salute del popol cristiano;
e ciò che tu vorrai, contento fia;
e voi n'andiaten’andiate presto in Pagania.
 
<span style="font-size:80%">22</span> Astolfo sia gonfaloniere eletto,
ché so che Carlo fia contento a quello,
per quel c'hac’ha fatto a lui e a Ricciardetto.
Gan sia sbandito all'usatoall’usato e ribello. -
Rinaldo, appena aveva Namo detto,
che disse: - Così posto sia il suggello. -
Così da'da’ paladin fu posto in sodo;
e scrisse un brieve a Carlo in questo modo:
 
<span style="font-size:80%">23</span> «Perché se'se’ vecchio, io t'hot’ho pur reverenzia;
e 'ncrescemi’ncrescemi tu sia sì rimbambito
ch'ach’a Gan pur creda e la sua frodolenzia,
che mille volte o più t'hat’ha già tradito
sanza trovar l'errorl’error suo penitenzia;
e per suo amor di corte m'haim’hai sbandito:
Astolfo e Ricciardetto a mille torti
volesti uccider pe'pe’ suoi mal conforti.
 
<span style="font-size:80%">24</span> Degno saresti d'ognid’ogni contumace;
ma perché mio signor fusti già tanto,
io ti perdono, io fo con teco pace,
e 'l’l tuo pristino imperio giusto e santo
ti rendo e la corona, se ti piace,
e'e’ tuoi baroni e 'l’l tuo reale ammanto,
la sedia tua, l'anticol’antico e degno scetro,
sanza più ricercar del tempo addietro.
 
<span style="font-size:80%">25</span> Sappi ch'Orlandoch’Orlando è preso in Pagania;
vieni a Parigi tuo liberamente;
ed Ulivieri ed io di compagnia
soccorrer lo vogliàn subitamente.
Astolfo tuo gonfalonier qui fia.
Quel traditor non vo'vo’ qua per nïente.
Gallerana reina è riservata,
come fu sempre, e da tutti onorata».
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<span style="font-size:80%">26</span> La lettera suggella e manda il messo;
sùbito a Carlo Man si rappresenta.
Carlo fu lieto e in ordine s'ès’è messo:
Gan nel suo petto par che assai duol senta.
Tornò a Parigi, e 'ncontro’ncontro venne a esso
tutta la corte, assai di ciò contenta,
e tutti l'abbracciavanl’abbracciavan lacrimando;
e gran lamento si facea d'Orlandod’Orlando.
 
<span style="font-size:80%">27</span> Quivi piangeva il marchese Ulivieri,
né riveder credea più il suo cognato;
piangeva Astolfo e 'l’l valoroso Uggieri,
e Salamon pareva smemorato;
piangeva Baldovino e Berlinghieri;
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<span style="font-size:80%">28</span> Poi misse al suo cavallo il fornimento;
ed Ulivier con lui volle partire;
Terigi s'assettavas’assettava in un momento;
e Ricciardetto disse: - Io vo'vo’ venire. -
Rinaldo, poi ch'e'ch’e’ vuol, ne fu contento.
Ognun pur si voleva profferire,
ma 'l’l prenze non volle altri per compagno.
Così si dipartîr da Carlo Magno;
 
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come fur presso a lui, lo salutorno.
Disse Marsilio al prenze: - Il tuo cavallo
troppo mi piace, s'as’a me vuoi donallo.
 
<span style="font-size:80%">30</span> Questo mattino mi venne in visione
ch'ioch’io guadagnavo sì nobil destriere.
Se me lo doni, per lo iddio Macone,
tu mi trarrai fuor d'unod’uno stran pensiere,
cioè di non aver meco quistione:
però fa'fa’ gentilezza, cavaliere;
ché pur, s'altros’altro rimedio a ciò non veggio,
combatterollo, e tu n'andrain’andrai col peggio. -
 
<span style="font-size:80%">31</span> Disse Rinaldo: - E'E’ fu già temporale
che si fossi il destrier di chi il sognava:
chi possedeva quella cosa tale,
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onde un borgese, non ti dico quale,
un paio di buoi dormendo imaginava
d'und’un suo vicin, che gli teneva cari,
e volevagli pur sanza danari,
 
<span style="font-size:80%">32</span> anzi voleva pagarlo di sogni.
Colui dicea: «Del mio gli comperai,
e così credo ch'ach’a te far bisogni,
se non ch'alfinch’alfin sanz'essisanz’essi te n'andrain’andrai».
Mentre che par che in tal modo rampogni,
si ragunò dintorno gente assai;
e non sapendo solver la quistione,
n'andornon’andorno di concordia a Salamone.
 
<span style="font-size:80%">33</span> E Salamone, perch'eraperch’era sapiente,
con questi due se n'andòn’andò sopra un ponte
e fevvi i buoi passar subitamente;
e poi si volse con allegra fronte,
a quel che gli sognò disse: «Pon mente:
vedi tutte le lor fattezze pronte
laggiù nell'acquanell’acqua?»; e l'ombral’ombra si vedea
di que'que’ buoi che colui sognati avea.
 
<span style="font-size:80%">34</span> Disse colui: «E'E’ paion proprio i buoi
ch'ioch’io vidi». E Salamon rispose, il saggio:
«Tu che sognasti, tò'glitò’gli, ché son tuoi;
colui che gli pagò, dè'dè’ aver vantaggio:
non bisogna sognargli, ché son suoi.
Così sta la bilancia di paraggio».
Così dich'iodich’io a te, nota, pagano,
che 'l’l mio cavallo arai sognato invano.
 
<span style="font-size:80%">35</span> Se volessi altro dir, del campo piglia;
questo destrier si sia di chi il guadagna. -
Il re Marsilio si fe'fe’ maraviglia;
disse: «Questo è da bosco e da campagna;
non ho nessun qui tra la mia famiglia
ch'avessich’avessi tanto ardir, né in tutta Spagna,
quanto ha costui; e mostra esser uom forte»;
poi gli rispose: - Oltre, io ti sfido a morte. -
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<span style="font-size:80%">36</span> Rinaldo non istette a parlar troppo:
le redine girò del palafreno;
poi ritornava per dargli d'intoppod’intoppo:
facea tremare il ciel non che il terreno,
perché Baiardo non pareva zoppo.
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a mezzo il petto di Rinaldo pone;
e benché il colpo fussi ostico e crudo,
ruppesi in pezzi l'astel’aste nello scudo.
 
<span style="font-size:80%">38</span> Rinaldo alla visiera pose a quello,
e fece fuor balzar tante faville
che mai non ne fe'fe’ tante Mongibello:
are'are’ quel colpo gittati giù mille;
l'elmol’elmo rimbomba e 'ntronava’ntronava il cervello;
e sanza fare al testo altre postille,
Marsilio rovinò giù dell'arcionedell’arcione;
e fu pur sogno il suo, non visïone;
 
<span style="font-size:80%">39</span> e disse: - Dimmi, per la tua leanza,
chi tu se'se’, cavalier, per cortesia,
ché mai più vidi a uom tanta possanza. -
Disse Rinaldo: - Per la testa mia,
io tel dirò, perch'ioperch’io non ho dottanza:
non guarderò s'i's’i’ sono in Pagania.
Sarà quel ch'esserch’esser può: franco pagano,
sappi che 'l’l signor son da Monte Albano. -
 
<span style="font-size:80%">40</span> Ed alzò la visiera dello elmetto
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Dicea Rinaldo: - E questo è Ricciardetto;
andiàn cercando la nostra ventura;
questo è Terigi, d'Orlandod’Orlando scudieri,
e questo è il nostro famoso Ulivieri.-
 
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non vi conobbi, in modo siete armati.
Ben posson sicuri ir questi campioni;
e'e’ ci sarà degli altri arreticati
che rimarranno a questa rete, stimo.
Dimmi s'i's’i’ son, Rinaldo, stato il primo. -
 
<span style="font-size:80%">42</span> Disse Rinaldo: - Il primo, per mia fé,
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e stato è buon principio un tanto re;
ma qualcun altro ancor sarà il secondo.
Or se tu vuoi il caval ch'ioch’io non ti diè,
perché tanto il tuo nome suona al mondo,
io tel darò, magnanima Corona. -
E poi soggiunse: - E l'armel’arme e la persona. -
 
<span style="font-size:80%">43</span> Marsilio era uom generoso e discreto;
molto gentil rispose, come saggio:
- Io non son ragazzin d'andartid’andarti drieto.
S'ioS’io lo togliessi, io farei troppo oltraggio,
però che 'l’l tuo valor non m'èm’è segreto,
ch'ioch’io n'hon’ho veduto a questa volta il saggio;
e 'l’l sogno è ver, ch'acquistatoch’acquistato ho il destriere,
poi che mel dài; ma non sognai cadere.
 
<span style="font-size:80%">44</span> E vo'vo’, Rinaldo, una grazia mi faccia:
che meco venga a starti a Siragozza
co'co’ tuoi compagni; e ciò non ti dispiaccia,
benché a te nostra terra parrà sozza,
né creder ch'ach’a Parigi si confaccia,
dove ogni gentilezza si raccozza;
pur qualche giorno ti darò diletto
quant'ioquant’io potrò, per lo dio Macometto. -
 
<span style="font-size:80%">45</span> Rinaldo disse: - Tanta cortesia
per nessun modo, re, confonder voglio.
Ma s'ios’io t'hot’ho fatto al campo villania,
di questo quanto posso or me ne doglio
e dicone mia colpa o mia pazzia,
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usanza è dimostrar la sua prodezza,
e sempre non si può di pari offendere.
Bench'ioBench’io cadessi per la tua fierezza,
io ne volevo in ogni modo scendere. -
Rinaldo rise di tal gentilezza,
Line 422 ⟶ 417:
 
<span style="font-size:80%">47</span> Rimontò a caval Marsilio allora.
Così Rinaldo, perché e'e’ n'eran’era sceso
come colui che'che’ suoi maggiori onora.
Marsilio per la man poi l'ebbel’ebbe preso,
ed Ulivier volea pigliare ancora,
ma Ulivier s'ès’è scusato e difeso;
e poi che i convenevoli fatti hanno,
inverso Siragozza se ne vanno.
Line 434 ⟶ 429:
Rinaldo per le scale e per le sale.
La sua figliuola, detta Lucïana,
ch'ogn'altrach’ogn’altra di bellezza assai prevale,
fecesi incontra benigna ed umana,
e salutò Marsilio e'e’ suoi compagni
con atti onesti e grazïosi e magni.
 
Line 442 ⟶ 437:
che si sentì da uno stral nel core
esser ferito, e con seco dicea:
«Ben m'haim’hai condotto dove vuoi, Amore,
a Siragozza a veder questa iddea
che più che 'l’l sol m'abbagliam’abbaglia di splendore»;
e rispondeva al suo gentil saluto
quel che gli parve che fussi dovuto.
Line 452 ⟶ 447:
di qua, di là con suoi nuovi argomenti;
e la fanciulla serviva di coppa
Rinaldo sempre, e'e’ begli occhi lucenti
alcuna volta con esso rintoppa:
or questo è quel che come zolfo o esca
Line 462 ⟶ 457:
e dice come un gran caso intervenne:
che morti ha cinquecento e più persone
un gran caval co'co’ denti e colle penne,
ch'erach’era sfrenato, e fu già di Gisberto,
e pareva un demòn là in un deserto.
 
Line 470 ⟶ 465:
fumo assaliti da questo destrieri:
non si potea fuggir per la campagna;
missesi in mezzo fra'fra’ tuoi cavalieri.
Non fu mai lupo arrabbiato né cagna
che così morda e divori ed attosche;
Line 478 ⟶ 473:
ed accostarsi a un pagano appetto,
e poi menar delle zampe dinanzi:
che pensi tu ch'e'ch’e’ gli dessi, un buffetto
da far cadergli di capo due schianzi?
E'E’ gli schiacciò le cervella e l'elmettol’elmetto,
e balzò il capo più di dieci braccia.
Pensa co'co’ pie'pie’ di drieto s'eglis’egli schiaccia!
 
<span style="font-size:80%">54</span> Se dà in quel muro una coppia di calci,
e'e’ farà rovinar questo palagio.
Io feci presto mazzo de'de’ miei salci,
ché lo star quivi mi parve disagio,
però che contro a lui poco arme valci,
tanto superbo par, bravo e malvagio:
sanza pietà mi pareva Brïusse.
Io mi fuggi'fuggi’, ch'attornoch’attorno andavon busse.
 
<span style="font-size:80%">55</span> Né credo che vi sia campato un solo;
e 'l’l tuo nipote vidi morire io,
afflitto, poveretto, con gran duolo. -
Quando Marsilio queste cose udìo,
Line 502 ⟶ 497:
che così sien distrutte le tue genti?
 
<span style="font-size:80%">56</span> Questi eran pur, Macon, de'de’ tuoi pagani,
che così morti son come tu vuoi.
Sares'Sares’ tu mai d'accordod’accordo co'co’ cristiani?
Ma se tu se'se’, che arai tu fatto, poi
che tutti saren morti come cani?
Arai fatti morir gli amici tuoi;
Line 515 ⟶ 510:
verso Marsilio in tal modo favella:
- Manda con meco delle tue brigate
un che m'insegnim’insegni questa bestia fella.
Non ti doler delle cose passate:
que'que’ che son morti, Iddio gli facci sani.
Vedrai ch'ioch’io l'uccidròl’uccidrò con le mie mani.
 
<span style="font-size:80%">58</span> Tra pazzi e pazzo e bestie e bestia fia,
Line 525 ⟶ 520:
Il re Marsilio consentì allora,
quantunque far gli parea villania,
ché di Rinaldo suo già s'innamoras’innamora;
e dèttegli alla fine un suo valletto;
ed Ulivier volle ire e Ricciardetto.
Line 532 ⟶ 527:
Rinaldo disse: - Io non voglio altro meco -;
se non che ancor Terigi volle andare,
ché sa ch'eglich’egli è suo debito esser seco.
Vedevasi Rinaldo sfavillare,
come volea colui ch'èch’è pinto cieco.
Dicea Marsilio: - Io priego il nostro Iddio
che t'accompagnit’accompagni, car Rinaldo mio. -
 
<span style="font-size:80%">60</span> Rinaldo se ne va verso il diserto,
e 'l’l messaggier mostrò dove e'e’ credea
che sia il caval, benché nol sappi certo.
Rinaldo allor di Baiardo scendea.
Line 547 ⟶ 542:
sopra un gran cerro terminò aspettallo,
 
<span style="font-size:80%">61</span> ed anco s'arrecòs’arrecò sù bene in vetta.
Disse Ulivier: - Per Dio, tu mi par pratico:
a questo modo ogni animal s'aspettas’aspetta. -
Disse il pagano: - Egli è pazzo e lunatico,
e so quel che sa far colla zampetta.
Questo è colpo di savio e di gramatico:
saprò me'me’ dir poi come il fatto è ito
al mio signor: però son qui salito. -
 
<span style="font-size:80%">62</span> Ricciardetto, veggendo il saracino
che come il ghiro s'eras’era inalberato,
diceva: - Esser vorrebbe un orsacchino
che insin costì t'avessit’avessi ritrovato. -
Disse il pagan: - Va'Va’ pure a tuo cammino:
il giuoco netto piace in ogni lato.
Io temo il danno e 'l’l pentersi da sezzo;
della vergogna, io mi vi sono avvezzo. -
 
<span style="font-size:80%">63</span> Come Baiardo il caval bravo vede,
non l'arebbonl’arebbon tenuto cento corde:
a guisa di battaglia lo richiede;
corsegli addosso e tempestava e morde;
e l'unol’uno e l'altrol’altro si levava in piede:
parean le voglie lor del pari ingorde;
chi annitrisce, chi soffia e chi sbuffa;
Line 575 ⟶ 570:
 
<span style="font-size:80%">64</span> Rinaldo un poco si stette a vedere;
ma poi, veggendo che 'l’l giuoco pur basta,
e che co'co’ morsi quel bravo destriere
e colle zampe Baiardo suo guasta,
dispose fare un colpo a suo piacere;
e mentre che Baiardo pur contasta,
dètte a quell'altroquell’altro un pugno tra gli orecchi
col guanto, tal che non ne vuol parecchi;
 
<span style="font-size:80%">65</span> e cadde come e'e’ fussi tramortito.
Baiardo si scostò, ch'ebbech’ebbe paura.
Gran pezzo stette il cavallo stordito;
poi si riebbe, e tutto s'assicuras’assicura.
Rinaldo verso lui presto fu gito,
prese la bocca alla mascella dura,
missegli un morso ch'avevach’aveva recato;
e quel cavallo umìle è diventato.
 
<span style="font-size:80%">66</span> Maravigliossi Terigi e 'l’l marchese.
Rinaldo sopra Baiardo montava,
né per la briglia il caval bravo prese,
ché come un pecorin drieto gli andava.
E 'l’l saracin del cerro allora scese,
ch'ach’a gran fatica ancor s'assicuravas’assicurava,
tenendo sempre in cagnesco le ciglia,
e di Rinaldo avea gran maraviglia.
Line 603 ⟶ 598:
<span style="font-size:80%">67</span> Per Siragozza fuggiva la gente
come Rinaldo fu drento alla porta;
ma quel caval se n'andavan’andava umilmente.
Fu la novella a Marsilio rappôrta:
venne a vedere; e la dama piacente
di questo palafren già si conforta,
e domandò con parole leggiadre
che gliel donassin Rinaldo e 'l’l suo padre.
 
<span style="font-size:80%">68</span> Rinaldo, che gli avea donato il core,
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come si mugne una vil pecorella;
poi vi montava, e preso in man la briglia,
gli fe'fe’ far cose che fu maraviglia.
 
<span style="font-size:80%">69</span> Un giorno ancora insieme dimoraro,
ch'Amorch’Amor pur lo tenea legato stretto;
poi da Marsilïon s'accomiataros’accomiataro.
Marsilio consentirgli fu costretto,
quando sentì d'Orlandod’Orlando il caso amaro,
e ciò ch'avevach’aveva gli offerse in effetto.
La damigella sospirò alquanto
dinanzi al padre; ma poi fe'fe’ gran pianto;
 
<span style="font-size:80%">70</span> ed ogni giorno con seco piangea,
ch'erach’era già tutta di Rinaldo accesa.
Ventimila baron gli profferea
dovunque egli volessi, a sua difesa;
e ringraziata Rinaldo l'aveal’avea,
e nel partir molto il suo cor palesa:
- Quando fia tempo, - disse - per lor mando:
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<span style="font-size:80%">71</span> Passoron tutta la Spagna costoro,
ed arrivorno un giorno in un gran bosco;
gente trovorno ch'aveanch’avean gran martoro.
Dicea Rinaldo: - Nessun ci conosco. -
A sé chiamava un vecchio barbassoro
ch'erach’era tutto turbato in viso e fosco,
e disse: - In cortesia, di'di’ la cagione
che voi parete pieni d'afflizioned’afflizione. -
 
<span style="font-size:80%">72</span> Rispose il barbassoro: - Tu il saprai
perché si fanno qui questi lamenti.
Noi siàn d'unad’una città che tu vedrai
tosto, che miglia non ci è lungi venti:
Arma si chiama, come intenderai;
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partissi e seguitò la sua giornata,
e lascia il barbassor che si dispera
con l'altral’altra gente così sconsolata.
Alla città s'appressas’appressa in su la sera;
verso la porta la briglia ha girata,
e disse: - Andiamo a veder questo fatto:
forse che far si potrebbe un bel tratto. -
 
<span style="font-size:80%">75</span> Giunti alla terra, a un oste n'andornon’andorno,
che tutto pien si mostrava d'affannod’affanno;
della cagion del fatto domandorno:
costui contò del lor signor lo 'nganno’nganno;
tanto che tutti si maravigliorno
come sofferto sia questo tiranno.
Venne la cena, e furono onorati,
e'e’ lor cavalli e lor ben governati.
 
<span style="font-size:80%">76</span> Parve a Rinaldo l'ostel’oste un uom dabbene,
e 'ncrebbegli’ncrebbegli sentendo una sua figlia
il re Vergante ha tolta a forza e tiene;
e diceva: - Oste, sare'sare’ maraviglia
s'ios’io dessi al re Vergante tante pene
ch'alch’al popol tutto asciugassi le ciglia? -
e cominciava l'ostel’oste a confortare;
com'iocom’io dirò nel seguente cantare.
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