Morgante/Cantare decimoquarto: differenze tra le versioni

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<poem>
<span style="font-size:80%">1</span>&nbsp;&nbsp; Padre del cielo e Re dell'universodell’universo,
sanza il qual non si muove in aria foglia,
non mi lasciar perduto ire a traverso
mentre ch'ancorach’ancora è pronta la mia voglia;
poi che tu m'haim’hai cantando a verso a verso
condotto in sino al mezzo della soglia,
con la tua man mi guida a salvamento
insino al porto con tranquillo vento.
 
<span style="font-size:80%">2</span>&nbsp;&nbsp; L'osteL’oste rispose: - Chi la mia vendetta
facessi, adorerei sempre per santo. -
Disse Rinaldo: - Domattina aspetta,
e tutti a riposar ci andiamo intanto;
come fia giorno, i destrier nostri assetta:
vedrò s'ios’io dico il vero o s'ios’io mi vanto. -
Così Rinaldo se n'andavan’andava a letto;
e fece, e rïuscigli, un bel concetto.
 
<span style="font-size:80%">3</span>&nbsp;&nbsp; La mattina per tempo fu levato.
L'osteL’oste i cavalli apparecchiati aveva,
e da costor non volle esser pagato,
ma di sua povertà lor proffereva:
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e Vegliantin vagheggiava e Baiardo.
 
<span style="font-size:80%">4</span>&nbsp;&nbsp; Rinaldo se n'andòn’andò verso il palazzo;
al re montava il baron valoroso;
era a vederlo tutto il popolazzo.
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<span style="font-size:80%">5</span>&nbsp;&nbsp; Rinaldo gli rispose: - La risposta
farò io per costui che tu domandi. -
E poi che presso alla sedia s'accostas’accosta,
disse: - Per certo di te fama spandi;
non so come il Ciel facci tanta sosta
ch'ach’a Belzebù giù in bocca non ti mandi:
della tua tirannia, can traditore,
dieci leghe lontan mi venne odore. -
 
<span style="font-size:80%">6</span>&nbsp;&nbsp; Era la sala piena di pagani;
non gli rispose alcun, ch'avienoch’avieno sdegno,
e divorato l'arienl’arien come cani
quel signor tristo d'ognid’ogni morte degno.
Rinaldo seguitò: - Con le mie mani
per gastigarti sol, Vergante, vegno:
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nato di tristo e di superchio caldo,
non può più il Ciel patir tanto peccato
nel qual tu se'se’ pure ostinato e saldo,
lussurïoso, porco, svergognato,
poltron, gaglioffo, poltoniere e vile,
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<span style="font-size:80%">8</span>&nbsp;&nbsp; Dunque tu porti in testa la corona?
Va'Va’ mettiti una mitera, ghiottone,
nimico d'ognid’ogni legge giusta e buona,
in odio a Dio, al mondo, alle persone.
Ben verrà la saetta, quando e'e’ tuona,
perché e'e’ non paghi il sabbato Macone,
e 'l’l fuoco etterno rigido e penace,
lupo affamato, perfido, rapace.
 
<span style="font-size:80%">9</span>&nbsp;&nbsp; Non pensi tu che in Ciel sia più giustizia,
malfusso, ladro, strupatore e mecco,
fornicatore, uom pien d'ognid’ogni malizia,
ruffian, briccone e sacrilego e becco?
Non potrebbe scusar la tua tristizia
d'unad’una parola sol la voce d'Eccod’Ecco:
tener le nobil donne saracine
virgini e 'ntatte’ntatte per tue concubine!
 
<span style="font-size:80%">10</span> E batterle ogni dì sì aspramente,
ch'ioch’io non so a chi pietà non ne venissi,
s'alcunas’alcuna pur di lor non ti consente,
e come il centro non s'apres’apre e gli abissi! -
Vergante uscito parea della mente;
ognun tenea a Rinaldo gli occhi fissi,
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<span style="font-size:80%">11</span> Non sapea che si dir Vergante; e tanto
multiplicò la furia e la tempesta
che Rinaldo lo prese dall'undall’un canto
e la corona gli strappò di testa
e tutto gli stracciò il reale ammanto;
ognuno stava a veder questa festa;
poi lo portò tra quella gente pazza,
e d'und’un balcon lo gittò in su la piazza.
 
<span style="font-size:80%">12</span> Tutti color che l'avevonl’avevon veduto
a gran furore sgomberati la sala,
dicendo: «Da Macon questo è venuto!».
Beato a chi poté trovar la scala!
Rinaldo, come savio uomo ed astuto
che le parole e l'operel’opere sue insala,
sùbito andò dove le damigelle
avea sentite batter, meschinelle,
 
<span style="font-size:80%">13</span> e vide ch'eranch’eran dispogliate ancora
e tutto il dosso vergheggiato aviéno.
Partissi e del palagio usciva fora,
e vide il popol d'allegrezzad’allegrezza pieno,
e come volentier ciascun l'onoral’onora,
che tutti reverenzia gli faciéno;
ed accostossi ove era alcun barone;
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<span style="font-size:80%">14</span> Quel vero Iddio che fece prima Adamo,
poi pel peccato suo volle morire,
perché allo 'nferno’nferno dannati savamo
(e non si può con ragion contraddire),
benché alcun saracin mi fe'fe’ richiamo
del vostro re, qui m'ham’ha fatto venire,
per liberar non sol le figlie vostre,
ma perché a gire a lui la via vi mostre.
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per lunghi tempi; e Macon falso e rio
conoscerete dopo la partita.
Ma 'l’l mio Gesù, benigno e giusto Iddio,
per la sua carità ch'èch’è infinita,
perché egli è grazïoso e santo e pio,
alluminar vi manda e darvi segno
ch'alfinch’alfin v'aspettav’aspetta nel suo etterno regno.
 
<span style="font-size:80%">16</span> Non ha voluto comportar l'oltraggiol’oltraggio
che vi faceva il signor vostro a torto:
questo esser debbe a ogni savio un saggio
di sua potenzia, poi ch'ioch’io l'hol’ho qui morto
nella presenzia del suo baronaggio:
da Lui sol venne l'aiutol’aiuto e 'l’l conforto,
Lui mi diè forza che così facessi,
e fe'fe’ che ignun non si contrapponessi;
 
<span style="font-size:80%">17</span> Lui vi spirò, potete intender certo,
ch'allach’alla giustizia dar dovessi loco,
però che troppo l'aveval’aveva sofferto;
ed or per trarvi dello etterno foco
vuol ch'ioch’io vi mostri il vostro errore aperto,
nel qual cresciuti siete a poco a poco.
Però tornate tutti al cristianesimo,
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cominciava a gridare a una boce:
- Sia benedetto chi il tiranno ha strutto,
ch'èch’è stato a'a’ suoi suggetti tanto atroce!
E poi che dè'dè’ seguirne un maggior frutto,
adorian tutti Quel che morì in croce.
Dicci il tuo nome, sol tutti preghiamo,
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<span style="font-size:80%">19</span> ché poi che morto hai il traditor ribaldo,
vogliam, per sempiterna tua memoria,
un simulacro farti d'orod’oro saldo,
dove sia disegnata questa istoria. -
Rispose il prenze a tutti: - Io son Rinaldo
da Montalban, che v'hov’ho data vittoria;
ed or v'arrecov’arreco l'ulivol’ulivo e la pace
dal mio Gesù, che d'adorard’adorar vi piace. -
 
<span style="font-size:80%">20</span> Allora il popol cominciò a gridare:
- Viva Rinaldo, e viva il tuo Gesùe!
Ognun qui t'hat’ha sentito ricordare
già mille volte per le virtù tue. -
E così cominciava a battezzare
Rinaldo alcun baron con le man sue;
ognuno a'a’ pie'pie’ suoi ginocchion si getta
e 'l’l primo voleva esser per la fretta.
 
<span style="font-size:80%">21</span> In pochi dì fur tutti battezzati.
L'abergatorL’abergator che ritenne costoro,
quanto poteva più gli ha ringraziati.
Questa novella sentì il barbassoro
e gli altri che Rinaldo avea trovati:
alla città venien sanza dimoro;
e 'l’l barbassoro avea nome Balante,
e molto gaudio avea del re Vergante.
 
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venirsi a battezzar divotamente,
e quanto allegre parevano e belle,
di lor s'innamorrebbes’innamorrebbe certamente:
elle parien del ciel le prime stelle;
le madre e'e’ padri, ognun n'eran’era gaudente.
Gran festa si facea per la cittade
e le castella e l'altrel’altre sue contrade.
 
<span style="font-size:80%">23</span> Il barbassoro della gran foresta
diceva al prenze: - Quanto ti so grado
ch'ach’a quel ribaldo rompesti la testa!
Sappi ch'i'ch’i’ son di nobil parentado:
ogni cosa sia tuo ch'èch’è in mia potesta. -
Dicea Rinaldo: - Intender mi fia a grado
questa città quanti uomini farebbe
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<span style="font-size:80%">24</span> Rispose il barbassoro: - Questa terra
ha sotto sé cinqu'altrecinqu’altre gran cittate:
centomila pagan faran da guerra,
sanza molte castella e le villate;
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<span style="font-size:80%">25</span> E stettesi alcun giorno a riposare
Rinaldo e'e’ suoi compagni allegramente.
Il popol lo voleva incoronare,
ma Rinaldo non volle per nïente,
dicendo: - In libertà vi vo'vo’ lasciare;
e 'l’l signor vostro è Cristo onnipotente. -
Poi, quando un tratto vide tempo ed agio,
il popol ragunò tutto al palagio;
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<span style="font-size:80%">26</span> e ragunato, fece parlamento,
e disse: - Or che di voi fidar mi posso,
io vo'vo’ che voi intendiate a compimento
per che cagion di Parigi son mosso,
e perch'ioperch’io vivo nel cuor mal contento
d'und’un peso che mi grava insino all'ossoall’osso:
l'amostantel’amostante di Persia ha imprigionato
il mio cugin ch'Orlandoch’Orlando è nominato.
 
<span style="font-size:80%">27</span> Vorrei che mi facessi compagnia,
tanto ch'Orlandoch’Orlando mio si rïavessi. -
Poi che finita fu la diceria,
fu commesso a Balante che dicessi
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<span style="font-size:80%">28</span> Rinaldo, poi che liberati ci hai
da Macon, da Vergante e dallo 'nferno’nferno,
non pensi tu che noi siàn tutti omai
sempre tuoi servi e schiavi in sempiterno?
Ciò che domandi, a tuo piacere arai
ed ora e sempre, vivendo in etterno:
faccisi tosto come vuoi la 'mpresa’mpresa,
ché di tal caso a tutti assai ne pesa. -
 
<span style="font-size:80%">29</span> Rinaldo ringraziava tutti quanti.
E poi per tutti i paesi n'andavan’andava
subitamente messaggieri e fanti,
e molta gente tosto s'ordinavas’ordinava.
Vennono a corte a Rinaldo davanti:
in men d'und’un mese vi si raccozzava
novantamila cavalieri armati
e tutti in guerra ben disciplinati.
 
<span style="font-size:80%">30</span> E poi vi venne due giganti fieri
con diecimila armati in sull'arcionesull’arcione
in punto ben di ciò che fa mestieri,
che rinnegato avien tutti Macone;
e servivon Rinaldo volentieri
l'unol’uno e l'altrol’altro gigante o torrïone;
de'de’ quali aveva l'unl’un nome Corante,
e l'altrol’altro s'appellavas’appellava Lïorgante.
 
<span style="font-size:80%">31</span> Costui, che molto amò già il suo signore,
poi che vide Rinaldo che l'hal’ha morto,
non poté far non si turbassi il core,
e disse con Balante: - E'E’ morì a torto;
e perché io fui suo amico e servidore,
mal volentier questo oltraggio comporto
né posso far ch'i'ch’i’ non ne pigli sdegno.
Per la mia nuova fé, con voi non vegno. -
 
<span style="font-size:80%">32</span> Disse Rinaldo: - E'E’ sarà forse il vero
che meco non verrai, come tu hai detto,
e morto resterai, gigante fero,
ché tu non credi in Cristo o in Macometto. -
Era il gigante superbo e leggiero,
e disse: - S'ioS’io ti piglio pel ciuffetto,
io ti farò sentir ch'ioch’io son gigante,
e forse vendicato fia Vergante. -
 
<span style="font-size:80%">33</span> La poca pazïenzia s'accozzòes’accozzòe
di Rinaldo e 'l’l gigante appunto bene:
Rinaldo la sua spada fuor tiròe
ed una punta crivellando viene,
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La gente corse a sì fatto romore
e domandava ognun che quivi corre:
- Che vuol dir questo? - e 'nteso’nteso poi il tinore,
dicevan tutti: - E'E’ non vi si può apporre,
poi che Vergante amava, il traditore,
e dicea che fu a torto il dì ammazzato. -
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che venga presto con sue gente avante,
e di tal cosa romor non ispanda;
che si ricordi quel ch'ellach’ella ha promesso.
E in pochi giorni compariva il messo.
 
<span style="font-size:80%">36</span> E Lucïana il vide volentieri,
e disse al padre quel che scrive il prenze.
Disse Marsilio: - Che'Che’ tuoi cavalieri
tu metta in punto e tutte tue potenze;
ch'ioch’io arò sempre in tutti i miei pensieri
Rinaldo nostro e sue magnificenze:
troppo mi piacquon l'oprel’opre sue leggiadre. -
E così in punto si misson le squadre.
 
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non mi lasciar mai più portare spada;
ma questa è quella volta che rinflora. -
Disse Marsilio: - Fa'Fa’ come t'aggradat’aggrada,
pur che e'e’ si faccia piacere a Rinaldo,
ché di servirlo son più di te caldo. -
 
<span style="font-size:80%">38</span> Diceva la fanciulla a Balugante:
- O Balugante, io vo'vo’ che meco vegna
con questa gente ch'ioch’io meno in Levante,
acciò che sia quest'operaquest’opera più degna. -
Egli rispose: - Pel mio Trevicante,
volentier ne verrò sotto tua insegna. -
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<span style="font-size:80%">39</span> Così la dama da Marsilïone
si dipartì co'co’ cavalieri armati;
e per insegna nel suo gonfalone
eron due cuori insieme incatenati;
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tanto era lavorato ricco e bello.
 
<span style="font-size:80%">40</span> E 'n’n pochi giorni volava la fama
al prenze, come e'e’ vien la damigella:
subitamente molti baron chiama
e fece i principal montare in sella,
e così incontro n'andarnon’andarno alla dama,
Rinaldo, come appariva la stella,
dicea: «Rinato è Cristo veramente,
ché apparita è la stella in orïente».
 
<span style="font-size:80%">41</span> Giunse la donna, e 'n’n terra è dismontata:
della qual cosa Rinaldo si duole,
ché la sua gentilezza è superata;
dismonta presto, e con destre parole
si scusa, e parte la fanciulla guata
come sta fissa l'aquilal’aquila nel sole;
e dè'dè’ pensar che la dama il saluta
e ch'e'ch’e’ rispose: - Tu sia ben venuta. -
 
<span style="font-size:80%">42</span> Rimontati a caval, tutti n'andornon’andorno
nella città con festa e con onore;
e poi ch'alch’al gran palagio dismontorno,
disse la dama: - O mio caro signore,
io t'hot’ho arrecato un padiglione adorno,
il qual sempre terrai per lo mio amore:
con le sue mani l'hal’ha fatto Luciana,
contesto d'orod’oro e seta sorïana. -
 
<span style="font-size:80%">43</span> E fecelo spiegare in sua presenzia.
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<span style="font-size:80%">44</span> Egli era in questo modo divisato:
in su la sala magna fu, disteso
in quattro parte, ov'eraov’era figurato
quattro alimenti; e 'l’l primo parea acceso,
ch'erach’era per modo ad arte lavorato
che si sare'sare’ per vero fuoco inteso,
pien di faville e raggi fiammeggianti,
ch'ognunoch’ognuno abbaglia che gli sta davanti.
 
<span style="font-size:80%">45</span> Quivi eran certi carbonchi e rubini
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come è nel foco dello etterno amore.
Quivi è la salamandra ancor nel foco,
che si godea contenta in festa e 'n’n gioco.
 
<span style="font-size:80%">46</span> Nella seconda parte è l'airel’aire puro,
azurro tutto, e 'l’l ciel con ogni stella,
la luna e 'l’l sole e Venere e Mercuro,
e Giove appresso e Vulcan che martella;
Saturno e Marte in aspetto più duro,
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Poi gli uccèi sotto si vedean volare.
 
<span style="font-size:80%">47</span> L'aquilaL’aquila in alto con sue rote andava
guardando fiso il sol, com'ellacom’ella è avvezza,
tanto che 'l’l sol le penne gli abbruciava,
e rovinava in mar giù dell'altezzadell’altezza;
quivi di nuove penne s'adornavas’adornava
e riprendeva poi sua giovinezza.
E la nuova fenice, come suole,
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ed arsa e poi rinata in su la cima.
Quivi è il falcon salvatico e quel domo,
e l'unl’un par che'che’ colombi molto opprima,
e l'altrol’altro fa con l'aghironl’aghiron giù il tomo.
Quivi è l'astorl’astor col fagiano, e 'l’l terzuolo
che drieto alla pernice studia il volo.
 
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che par che si volessi inalberare,
e mentre che fuggìa, forte schiamazza;
quivi è l'allodolettal’allodoletta a volteggiare,
e drieto il suo nimico che l'ammazzal’ammazza;
e lo smeriglio si vede squillare
di cielo in terra, e la rondine ha innanzi,
e par che l'unol’uno all'altroall’altro poco avanzi.
 
<span style="font-size:80%">50</span> Quivi si vede i gru volare a schiera,
e quel che va dinanzi par che gridi;
e l'ochel’oche han fatto alla fila bandiera,
e come questi par che l'unal’una guidi.
Quivi è la tortoletta a primavera,
e par che 'n’n verdi rami non s'annidis’annidi,
più non s'allegris’allegri e più non s'accompagnis’accompagni,
e sol nell'acquanell’acqua torbida si bagni.
 
<span style="font-size:80%">51</span> Quivi si cava il pellican del petto
il sangue, e rende la vita a'a’ suoi figli;
èvvi l'ostardol’ostardo e la starna, in sospetto
ch'ognich’ogni uccel che la vede non la pigli;
e 'l’l nibbio si vagheggia a suo diletto,
a ogni mosca chiudendo gli artigli;
e gira l'avoltoiol’avoltoio e l'abuzzagol’abuzzago,
e 'l’l gheppio molto del vento par vago.
 
<span style="font-size:80%">52</span> Ed anco il milïon si va aggirando,
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si vede, e rizza la pupa la cresta;
quivi si pasce di sogni il moscardo
perché e'e’ non è come il fratel gagliardo.
 
<span style="font-size:80%">53</span> Il picchio v'erav’era, e va volando a scosse;
che 'l’l comperò tre lire, è poco, un besso,
perché e'e’ pensò ch'unch’un pappagallo fosse:
mandollo a Corsignan, poi non fu desso,
tanto che Siena ha ancor le gote rosse.
Quivi è il rigogoletto, e 'l’l fico appresso;
e 'l’l pappagallo, quel che è daddovero,
ed èvvi il verde e 'l’l rosso e 'l’l bianco e 'l’l nero.
 
<span style="font-size:80%">54</span> Gli stornelletti in frotta se ne vanno,
e tutti quanti in becco hanno l'ulival’uliva;
le mulacchie un tumulto in aria fanno;
la passer v'èv’è, maliziosa e cattiva,
e par sol si diletti di far danno;
e 'l’l corbo, come già dell'arcadell’arca usciva;
èvvi il fatappio ed èvvi la cornacchia
che garre drieto agli altri uccelli e gracchia.
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<span style="font-size:80%">55</span> Quivi superbo si mostra il pagone
e grida come gli occhi in terra abbassa,
garzetto e l'anitrellal’anitrella e 'l’l grande ocione;
quivi la quaglia, che pareva lassa
volando d'unad’una in altra regïone;
quivi è l'ocal’oca marina che 'l’l mar passa;
l'anitral’anitra bianca e 'l’l maragon calarsi
parea, che in giù volassin per tuffarsi.
 
<span style="font-size:80%">56</span> L'acceggiaL’acceggia, la cicogna e 'l’l pagolino,
la gallinella con variate piume,
l'uccell’uccel santamaria v'erav’era e 'l’l piombino;
e 'l’l bianco cigno, che dorme in sul fiume,
parea che fussi alla morte vicino,
però cantassi, come è suo costume;
quivi col gozzo e col gran becco aguzzo
si vedea l'anitroccolol’anitroccolo e lo struzzo;
 
<span style="font-size:80%">57</span> barattole, germani e farciglioni,
altri uccèi d'acquad’acqua, io non saprei dir tanti;
certi ugelletti che si dice alcioni,
che fanno al mar sentir lor nidi e canti;
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lungo sarebbe a contar tutti quanti,
che stan per fiumi e per paludi e laghi,
perché de'de’ pesci e dell'acquadell’acqua son vaghi;
 
<span style="font-size:80%">58</span> e 'l’l marin tordo e 'l’l bottaccio e 'l’l sassello,
la merla nera e la merla acquaiuola,
poi la tordela e 'l’l frusone e 'l’l fanello,
e 'l’l lusignuol, ch'hach’ha sì dolce la gola;
e 'l’l zigolo e 'l’l bravieri e 'l’l montanello,
avelia e capitorza e sepaiuola,
pincione e niteragno e pettirosso,
e 'l’l raperugiol, che mai intender posso.
 
<span style="font-size:80%">59</span> Quivi era calandra e 'l’l calderino
e 'l’l monaco, che è tutto rosso e nero,
e 'l’l calenzuol dorato e il lucherino
e l'ortolanol’ortolano e 'l’l beccafico vero,
insino al re delle siepe piccino,
la cingallegra, il luì, il capinero,
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ed un uccel che suol beccare il fungo.
 
<span style="font-size:80%">60</span> Rondoni e balestrucci eran per l'arial’aria.
Poi in altra parte si vedea soletta
la passer penserosa e solitaria,
che sol con seco starsi si diletta,
a tutte l'altrel’altre nature contraria.
Èvvi il cuculio con sua malizietta,
che mette l'uoval’uova sue drento alla buca
della sua balia, che è detta curuca.
 
<span style="font-size:80%">61</span> E 'l’l pipistrello faceva stran volo;
e degli uccèi notturni sbandeggiati,
l'alloccol’allocco, il barbagianni e l'assïuolol’assïuolo,
civetta e gufo e gli altri sventurati:
non ne mancava al padiglione un solo
di que'que’ che fur nell'arcanell’arca numerati.
Ultimamente v'èv’è il cameleone,
bench'alcunbench’alcun dice vi fussi il grifone.
 
<span style="font-size:80%">62</span> Vedeasi in mezzo rilucente e bella
nella sua sedia Giunon coronata,
e Deiopeia e l'altrel’altre intorno a quella,
e molto dalle ninfe era onorata.
Eol parea che tentassi procella
e che picchiassi la porta serrata,
e Noto ed Aquilon già fuori usciéno,
ed Orïon d'ognid’ogni tempesta pieno.
 
<span style="font-size:80%">63</span> Poi si vedeva Dedalo che 'l’l figlio
avea smarrito, e batteasi la fronte,
ché non credette al suo savio consiglio;
vedesi il curro abandonar Fetonte,
e 'l’l fero Scorpio mostrargli l'artigliol’artiglio,
e come e'e’ par che in basso giù dismonte,
e la terra apre per l'ardorl’ardor la bocca,
e Giove il fulminava della ròcca.
 
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e far talvolta navili affondare,
e dolcemente cantar la serena
e'e’ navicanti ha fatti addormentare;
il dalfin v'èv’è, che mostrava la schiena,
e par ch'a'ch’a’ marinai con questo insegni
che si provegghin di salvar lor legni.
 
<span style="font-size:80%">65</span> Il marin vécchio fuor dell'acquadell’acqua uscìa,
e 'l’l pesce rondin si vedea volare,
ma il pesce tordo così non facìa;
vedeasi il cancro l'ostrical’ostrica ingannare,
e come il fuscelletto in bocca avia,
e poi che quella vedeva allargare,
e'e’ lo metteva nel fesso del guscio,
e poi v'entravav’entrava a mangiarla per l'usciol’uscio.
 
<span style="font-size:80%">66</span> Raggiata e rombo, occhiata e pescecane,
la triglia, il ragno e 'l’l corvallo e 'l’l salmone,
lo scòrpin colle punte aspre e villane,
ligusta e soglia, orata e storïone,
e 'l’l polpo colle membra così strane,
e 'l’l muggin colla trota e col carpione,
gambero e nicchio e calcinello e seppia
e sgombero e morena e scarza e cheppia.
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<span style="font-size:80%">68</span> e che vi fussi boncio e barbio e lasca.
Alefe finalmente v'erav’era scorto,
e come sol dell'acquadell’acqua quel si pasca,
e tratto fuor di quella parea morto.
Vedevasi la manna che giù casca
e 'l’l pesce per pigliarla stare accorto;
e come il pescator molto s'affannis’affanni
con rete ed esca e con mille altri inganni.
 
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che lo voleva a Colchi guidar Tifi;
Scilla abbaiar si sentia crudelmente,
e'e’ mostri suoi digrignavano i grifi;
vedeasi Teti, e vedevasi Ulisse
come più là che'che’ segni d'Ercold’Ercol gisse.
 
<span style="font-size:80%">70</span> Cimoto e Trìton placar la tempesta;
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cercando Esperia ancor sotto acqua andare;
talvolta Galatea fuor trar la testa
che fe'fe’ già Polifemo innamorare;
notavan per lo mar con ambo mane,
converse in ninfe, le nave troiane.
 
<span style="font-size:80%">71</span> Poi si vedeva nave in quantitate
gir sopra l'acqual’acqua, e molti legni strani:
balenier, grippi e galeazze armate
e brigantin, carovelle e marrani,
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e sopra fuste menarsi le mani;
battelli e paliscarmi e schifi e barche
d'uominid’uomini e merce e varie cose carche.
 
<span style="font-size:80%">72</span> L'ultimaL’ultima parte toccava alla terra:
quivi si vede tutte l'erbel’erbe e piante,
e come il globo si ristrigne e serra,
e le città famose tutte quante,
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<span style="font-size:80%">73</span> Il lïofante parea molto grande,
calloso e nero e dinanzi d'und’un pezzo,
e come quegli orecchi larghi spande
e stende il grifo lungo, ch'eglich’egli ha a vezzo
pigliar con esso tutte le vivande,
e nol potea toccar se non un ghezzo;
fuor della bocca gli uscivan due zanne
ch'eronch’eron d'avoriod’avorio e lunghe ben sei spanne.
 
<span style="font-size:80%">74</span> Èvvi il leone, e 'l’l dippo gli va drieto;
èvvi il caval famoso sanza freno,
e l'asinellol’asinello, e 'l’l bue sì mansüeto,
e 'l’l mul che tutto par di vizi pieno.
Vedevasi il castor molto discreto,
che de'de’ suoi danni eletto aveva il meno,
e strappasi le membra genitale,
veggendo il cacciator, per manco male.
 
<span style="font-size:80%">75</span> Il leopardo pareva sdegnato,
perché e'e’ non prese in tre salti la preda;
e 'l’l lïocorno è in grembo addormentato
d'unad’una fanciulla, e par ch'eglich’egli conceda
esser da questa tocco e pettinato,
ma non si fidi all'acquaall’acqua e non gli creda
se non vi mette il corno prima drento;
e se quel suda sta a vedere attento.
 
<span style="font-size:80%">76</span> Tutto bizzarro e pien di furia l'orsol’orso;
e 'l’l lupo fuor del bosco svergognato,
gridato dalla gente e da'da’ can morso;
e 'l’l porco, che nel fango è imbrodolato;
quiv'eraquiv’era il cavrïuol che molto ha corso
e poi s'ès’è posto a ber tutto affannato;
e 'l’l cervio, che 'l’l pastor che canta aspetta,
insin che l'altrol’altro intanto lo saetta.
 
<span style="font-size:80%">77</span> E 'l’l bufol che ne va preso pel naso,
e la capretta e l'umill’umil pecorella
ch'aveach’avea le poppe munte e 'l’l dosso raso;
la lepre paürosa e meschinella
par che si fugga, temendo ogni caso;
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<span style="font-size:80%">78</span> La volpe maliziosa era a vedere,
e 'l’l can pareva fedele e leale;
èvvi il coniglio, e scherza a suo piacere;
molto sentacchio pareva il cignale;
poi si vedeva la damma e 'l’l cerviere
che drieto al monte scorgea l'animalel’animale;
quivi era il tasso porco e 'l’l tasso cane
che si dormien per le lor buche o tane.
 
<span style="font-size:80%">79</span> E lo spinoso e l'istricel’istrice pennuto,
e sopra il bucolin del topo il gatto
con molta pazïenza, come astuto,
tanto che netto rïuscissi il tratto;
bevero, e 'l’l ghir sonnolente e perduto,
e puzzola e faina e lo scoiatto;
èvvi la lontra e va cercando il pesce,
ed or sott'acquasott’acqua ed or sopra rïesce;
 
<span style="font-size:80%">80</span> gattomammon, bertuccia e babbuïno,
mufo, camoscio, moscado e zibetto,
la donnoletta e 'l’l pulito ermellino
che parea tutto bianco e puro e netto;
la martora si sta col zibellino;
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<span style="font-size:80%">81</span> La lonza maculata e la pantera,
e 'l’l draco, ch'aveach’avea morto il lïofante,
e nel cadergli addosso quella fera
aveva ucciso lui, come ignorante,
ché del futuro accorto già non s'eras’era;
èvvi il serpente, superbo, arrogante,
che fiammeggiava fuoco per la bocca
e col suo fiato attosca ciò che tocca.
 
<span style="font-size:80%">82</span> E 'l’l coccodrillo avea l'uoml’uom prima morto,
poi lo piangeva, pien d'ingannid’inganni e froda;
e 'l’l tir, ch'aveach’avea lo 'ncantatore’ncantatore scorto,
acciò che le parole sue non oda,
aveva l'unol’uno orecchio in terra porto
e l'altrol’altro s'has’ha turato colla coda.
Poi si vedea col fero sguardo e fischio
uccider chi il guardava il bavalischio;
 
<span style="font-size:80%">83</span> con sette capi l'idral’idra e la cerastra,
la vipera scoppiar nel partorire;
la serpe si vedea prudente e mastra
tra sasso e sasso della scoglia uscire;
l'aspidol’aspido sordo, freddo più che lastra,
che con la coda voleva ferire;
la biscia, la cicigna e poi il ramarro,
e molti altri serpenti ch'ioch’io non narro.
 
<span style="font-size:80%">84</span> Ienna vediesi della sepultura
cavare i morti rigida e feroce,
la qual si dice, chi v'hav’ha posto cura,
ch'ellach’ella sa contraffar l'umanal’umana voce;
la cientro colla faccia orrida e scura,
e iacul, tanto nel corso veloce,
e la farea crudel che per Libia erra.
L'ultimaL’ultima cosa è la talpa sotterra.
 
<span style="font-size:80%">85</span> Poi si vedeva andar pel mondo errando
Ceres dolente, misera e meschina,
e in ogni parte venìa domandando
s'alcuns’alcun veduto avessi Proserpìna,
dicendo: - Io l'hol’ho perduta, e non so quando. -
E la fanciulla bella e peregrina
vedevasi di rose e vïolette
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<span style="font-size:80%">86</span> poi si vedea Pluton che la rapia.
E così stava il padiglione adorno;
e'e’ carbonchi e le gemme ch'eglich’egli avia
facean d'oscurad’oscura notte parer giorno,
tal che sì bel mai più vide Soria:
trecento passi o più girava intorno;
le corde aveva e gli altri fornimenti
di seta e d'orod’oro, e più che 'l’l sol lucenti.
 
<span style="font-size:80%">87</span> Non si potea saziar di mirar fiso
Rinaldo il padiglion; poi disse: - Certo
questo fe'fe’ Lucïana in paradiso,
non fu già Filomena in un deserto.
Né mai sarà il mio cor da lei diviso.
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questo terrò con singulare onore;
questo terrò di tue virtù per segno;
questo terrò ch'albergheràch’albergherà il mio core;
questo terrò perché del tuo sia il pegno;
questo terrò vivendo in sempiterno;
questo terrò poi in cielo o nello inferno. -
 
<span style="font-size:80%">89</span> Disse la dama: - Ascolta quel ch'ioch’io dico.
Io ti vorrei poter donare il sole,
e non sare'sare’ bastante a tanto amico:
il tuo cor generoso, come suole,
si mostra pur magnalmo al modo antico.
Ma intender, chi l'hal’ha fatto, il ver si vuole:
s'ios’io dissi Lucïana, io presi errore:
con le sue proprie man l'hal’ha fatto Amore. -
 
<span style="font-size:80%">90</span> Or qual sare'sare’ quel cor qui d'adamanted’adamante,
di porfiro o dïaspro o altra petra,
che non s'aprissis’aprissi e mutassi sembiante?
E'E’ traboccò giù l'arcol’arco e la faretra
e le saette d'Amord’Amor tutte quante.
Volea pur dir (ma la voce s'arretras’arretra)
Rinaldo qualche cosa alla donzella;
ma non poté, ché perdé la favella.
 
<span style="font-size:80%">91</span> Ben s'accorses’accorse colei, ch'erach’era pur saggia,
che per soperchio amor non rispondessi,
e disse: «Sarei io tanto selvaggia
ch'ach’a così degno amante non piacessi,
purché mai tempo e luogo e modo accaggia?
E qual sare'sare’ colei che nol facessi,
salvando sempre e l'onorel’onore e la fama?
E 'ngrato’ngrato è quel che non ama chi l'amal’ama».
 
<span style="font-size:80%">92</span> Rinaldo ringraziò pur finalmente
delle parole grate ch'aveach’avea dette
ultimamente la donna piacente,
bench'eglibench’egli avessi al cor mille saette.
Fu commendato da tutta la gente
il padiglione, e 'n’n camera si mette.
E cominciossi a trattar molte cose
che fien nell'altronell’altro dir maravigliose.
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