Le novelle della nonna/La criniera del leone: differenze tra le versioni
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<center>'''Parte Quarta ed Ultima'''</center>
:'''La criniera del leone'''
Per alcune domeniche la Regina non aveva avuto uditori per ascoltare le sue novelle, e aveva fatto a meno di raccontarle, poiché uomini e ragazzi della numerosa famiglia dei Marcucci approfittavano di quel giorno di riposo per riaccomodare la casa in modo da renderla abitabile ai forestieri, ai quali volevano affittarla per
La Vezzosa aveva già scritto alla moglie del nuovo ispettore di Camaldoli, alla gentile signora dalla quale doveva entrare al servizio
Terminati i lavori,
I ragazzi erano stanchi per essere stati tutta la mattina nei boschi a coglier fragole, che già avevano spedite ad Arezzo, e per questo non facevano il chiasso; i grandi, senza confessarlo scambievolmente, erano rosi
- Aiutateci a passare questo lungo dopopranzo. Scommetto che avete una novella
- Se la volete udire, sono pronta a dirla, - rispose la vecchia.
E subito cominciò:
-
- Eccoti una borsa ben guarnita; scegli un cavallo e
Il giovane Valfredo non intese a sordo. Egli riunì pochi abiti, abbracciò la madre piangente, la quale gli consegnò una medaglia
Da principio,
«Che farò ora? - pensò il giovane signore. - Mangiar bisogna e divertirsi anche, e intanto i quattrini son finiti!...» - Ma il cavallo mi resta! - esclamò subito dopo, - e con quello posso far moneta.
Infatti, senza tanto riflettere, entrò nella cucina
- Chi vuol comprare il mio cavallo? Io lo vendo.
- Io! - rispose un cavaliere. - Ne ho appunto uno che si è azzoppito e me ne occorre un altro.
Costì fu fatto il patto in un battibaleno e il cavalier Valfredo rimase senza cavalcatura, e in breve anche senza denari, perché in quella sera perdette tutto quello che aveva ricavato dalla vendita del cavallo, e avrebbe perduto anche la camicia se i compagni
- Andrò
Infatti
Neppur quel fatto fece perder
- Tanto meglio, - disse, - se sono prigioniero avrò un padrone, ed esso non mi farà morir di fame. Per me è lo stesso di stare in un posto o in un altro, poiché a Romena non
Si capisce come Valfredo, cui non importava nulla della prigionia, si mostrasse allegro; e mentre i suoi compagni se ne stavano accigliati e taciturni, egli rideva e cantava. Inoltre fra tanta gente rozza, usa a maneggiare soltanto
Tutti questi fatti prevennero in suo favore il Sultano di Costantinopoli, che lo vide al suo arrivo.
- Tutta questa marmaglia mandatela a lavorare la terra; - disse il Sultano a colui che aveva guidata la spedizione, -
- E quali lavori gli si debbono assegnare? - fu domandato al Sultano.
- Egli sarà il guardiano del terribile leone
Valfredo non capiva le parole che il sovrano scambiava con
Allora il Sultano fece chiamare un genovese, che da lungo tempo era caduto in ischiavitù, per farsi interprete della sua volontà presso Valfredo.
E il genovese gli disse:
- Il successore di Maometto, il grande e potente capo dei Mussulmani, mi ordina, cristiano, di dirti, che tu devi ammansire il terribile leone
- Io non ho mai addomesticato bestie, - disse impallidendo Valfredo.
- Non importa: questa è la volontà del Sultano; e se tu non riesci ad addomesticare la fiera, quella ti sbranerà.
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Le guardie lo condussero nel giardino del palazzo e lo lasciarono solo davanti alla gabbia del leone, il quale ruggì nel vederlo.
- Si comincia male! - disse Valfredo, - pare che mi voglia inghiottire tutto in un boccone. Ma non importa, tentiamo se si lascia prendere per il lato della vanità, - e incominciò a fargli di berretto e dirgli: - Potente signore del deserto...
Ma nel far questi salamelecchi
- Alla larga! - esclamò Valfredo, - pare che i complimenti non lo commuovano; proviamo con le minacce.
E tagliato un ramo
- Lo vedi questo randello? Ebbene, io te lo romperò sul groppone, se tu non mi ubbidirai come i cani ubbidiscono al loro padrone.
Il leone allungò il muso e stritolò con le potenti zampe il randello, come se fosse stato un fuscellino.
- Perbacco! neppur le minacce bastano a nulla! - esclamò il cavaliere di Romena. -
Questo pensiero gli rese la tranquillità e il buonumore, e non pensando più a quel che doveva fare, si mise a passeggiare per il fiorito giardino, ammirando le piante, i bizzarri giuochi
Nessuno lo sorvegliava ed a lui pareva
- San Marco benedetto, voi che prendeste a simbolo il leone, aiutatemi a domare la terribile fiera!
E con un bacio ardente, deposto
In quel momento gli parve che gli occhi del santo Evangelista,
Questi, vedendo luccicar sul petto al cristiano la medaglia
Essa colpì in pieno petto il moro, che cadde rantolando per terra.
- San Marco benedetto, e tu, madre mia, abbiatevi un giuramento: nessuno mi toglierà questa medaglia, doppiamente sacra, altro che dopo la mia morte! - disse Valfredo.
E, rivestitosi in fretta, lasciò il suo nemico agonizzante per terra, e si allontanò.
Ma poco dopo sopraggiunse una squadra di guardie che, raccolto il ferito, seppe da lui, prima che spirasse, che il feritore non era altri che il cristiano addetto alla guardia del leone
Il genovese serviva al solito
- Can
- Signore, - rispose Valfredo, - io possiedo un talismano che deve servirmi a domare il feroce leone e renderlo docile come una pecorella. Mentre uscivo da una vasca del giardino, nella quale avevo cercato refrigerio ai bollori meridiani, la guardia mi
- Se è così, cristiano, hai fatto bene ad uccidere la guardia; ma io non ho molta pazienza di attendere, e voglio che non più dentro ad un mese, ma dentro una settimana, tu mi conduca davanti il leone sciolto, al quale in presenza mia tu conterai i peli della criniera. Hai capito?
Valfredo capiva purtroppo, ma non si perdeva
Egli si grattò il capo, non sapendo come cominciare
- Le disposizioni della belva sono buone; si principia bene davvero! - esclamò Valfredo.
Mentre stava pensando al modo di addomesticare il leone, capitò accanto a lui un veneziano prigioniero.
- Amico, - gli disse, - per tutto il palazzo non si parla altro che di te e della bella medaglia
E gli faceva vedere
Valfredo, alla vista del pugnale e soprattutto dei dadi che aveva sempre maneggiati con tanta passione di giocatore, si sentì rimescolare il sangue, e già stava per cedere
- No, - rispose con fermezza, - io non cederò alla tentazione e non arrischierò il mio talismano contro il tuo pugnale prezioso; tu fai in questo momento con me la parte del Diavolo. Vattene!
Il veneziano si offese della repulsa, e, pieno
Dopo
- Dunque, can
- Nulla, - rispose Valfredo, cui il genovese serviva
- Lieve o non lieve che sia, tu
Il cavalier di Romena, per ordine del Sultano, fu riposto in libertà, e afflitto e sconsolato andò in un punto solitario del giardino e si buttò in ginocchio.
- San Marco benedetto, datemi un suggerimento,
Subito dopo che aveva pronunziato questa promessa, si sentì invaso da una forza e da un coraggio straordinario. Gli pareva che avrebbe spezzato una incudine di ferro con una mano e avrebbe divelto dalla terra uno degli alberi giganteschi del giardino. Volle provarsi, e, cinto infatti con le braccia il tronco robusto di un albero, si mise a tirarlo. Con tre strattoni le radici si sollevarono dalla terra, come avrebbe fatto una pianta di rose da un vaso.
Animato da questo primo esperimento, Valfredo aprì la gabbia del leone, e vi penetrò. La fiera ruggì, e con gli occhi spalancati, la bocca aperta, fece un lancio per saltargli addosso e piantargli nel petto i potenti artigli; ma Valfredo, invocato che ebbe san Marco, stese le mani, e, afferrato il leone per le gambe, lo mantenne a distanza. La fiera ruggiva, mandava schiuma dalla bocca e lampi dagli occhi, ma non poteva moversi, trattenuta dalle ferree mani del giovine cavaliere.
La belva e
Allora questi liberò le zampe dalla stretta; ma appena il terribile avversario si sentì padrone dei suoi potenti mezzi di offesa, con la bocca spalancata si avventò alle gambe del giovine, il quale, prima che le zanne gli lacerassero le calze, afferrò per le ganasce
Dapprima, il terribile abitatore del deserto, fremette; ma poi, a poco a poco, si ammansì, e piegate le ginocchia rimase in atteggiamento umile dinanzi al suo soggiogatore.
Le mani ferree si staccarono dalle ganasce del mostro, il quale non si mosse e con la lingua incominciò a leccare le palme di Valfredo.
- San Marco, vi ringrazio di avermi fatto il miracolo! - esclamò il cavalier di Romena. - Ora sono salvo.
E senza timore alcuno spalancò la gabbia e andò nel giardino. Il leone lo seguiva scodinzolando, ma i giardinieri, vedendolo, fuggivano spaventati, cosicché la notizia che Valfredo aveva domato il leone, giunse a palazzo prima che egli vi conducesse la fiera. Le guardie però non vollero lasciarlo entrare con quella compagnia, e il giovine cavaliere dovette attendere un ordine del Sultano. Intanto egli si era seduto sopra uno scalino di marmo e il leone gli stava accucciato ai piedi come un mansueto cagnolino.
Poco dopo giunse
- Cristiano, compi ciò che ti ho imposto, - ordinò.
Valfredo non rispose, ma inginocchiatosi a fianco
Quando Valfredo ebbe terminato di contare, disse:
- Vedi, potente signore, che io ho compiuto in un giorno un miracolo. Avevi una fiera e io
- E
Fremé Valfredo a tanta ingratitudine, e quando vide le guardie che si avanzavano per legarlo, urlò:
- A me, leone di san Marco!
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A un tratto una folla di prigionieri di tutte le nazioni, circondò il cavaliere di Romena.
Accorrevano dal ponte, dalle galere, dai giardini, da ogni banda, carichi di ceppi, ma sorridenti a quel grido che prometteva loro la libertà.
Invano i soldati turchi cercavano di sbandarli; il leone ne disperdeva le schiere, e la falange dei prigionieri avanzava sempre verso la rada del palazzo, nella quale si cullavano le dorate galere su cui sventolava
I prigionieri se ne impossessarono mercè il leone, che fece strage dei mori che le costudivano, e poco dopo essi spiegavano le vele al vento e navigavano alla volta
Allorché le sentinelle della torre di Malamocco videro giungere le dorate galere sormontate
Vennero fatti solenni rendimenti di grazia al protettore di Venezia per quel fatto, e quando Valfredo espresse il suo desiderio di porre il suo braccio e la sua spada al servizio della Serenissima, il Doge e il Consiglio lo investirono del comando delle navi prese ai Turchi.
E su quelle Valfredo corse vittorioso i mari, sempre accompagnato dal leone, che era docile con i cristiani e ferocissimo con gli infedeli, sbranandone quanti più poteva.
Il cavalier di Romena salì ai più alti onori e acquistò grandi ricchezze. Già inoltrato negli anni, tornò a Romena. Il padre suo era morto, morta la buona madre che lo aveva pianto così amaramente per lunghi anni, e i suoi fratelli eran tutti vecchi. Essi, che avevano contribuito a farlo scacciare dal padre, ora, sapendolo ricco, lo accarezzavano e lo circondavano di attenzioni, apparentemente affettuose, ma dalle quali egli non si lasciava ingannare.
Valfredo si trattenne alcuni mesi nel castello di Romena, e in quel tempo, chiamati da Firenze architetti, scultori e pittori, fece costruire una ricca cappella in onore di san Marco, nella quale ordinò che fosse trasportato il cadavere della buona madre sua, di colei che lo aveva protetto
Vi potete figurare se il leone, che era il compagno inseparabile di Valfredo, destasse la curiosità degli abitanti del Casentino! Essi scendevano dai monti più alti per vederlo, e il leone, che era docile e buono con quelli che amavano il padrone, riprendeva i suoi istinti bestiali appena si accorgeva che qualcuno tentava di far male a Valfredo. Infatti sbranò un cugino del suo padrone perché lo diffamava, e staccò con una zannata la mano destra di un perfido suo nipote, il quale, non contento dei molti doni avuti da lui, gli aveva rubato una grossa somma in tanti fiorini
Quella belva pareva guidata da una intelligenza soprannaturale e si sarebbe detto che
Valfredo visse molti anni e morì a Venezia carico
- La vostra novella, - disse Vezzosa quando si accòrse che la Regina aveva terminato di narrare, - ha prodotto il solito benefico effetto sopra di noi. Vedete, mamma, i volti nostri non esprimono più
Però, nonostante
Questo silenzio si sarebbe prolungato chi sa quanto, se un incidente non fosse venuto a interromperlo.
- Una lettera! - gridò dalla viottola un frate converso di Camaldoli che tornava da Poppi. - Presto, datemi un mulo prima che faccia notte.
Mentre i ragazzi correvano nella stalla a prendere il trapelo, Vezzosa aveva preso la lettera a lei diretta e la leggeva alla luce
Non appena ebbe terminato di leggerla, esclamò:
- Le nostre speranze non sono deluse, le nostre fatiche non sono state sprecate. Sentite: la moglie del nuovo ispettore, la buona signora Durini, mi dice che sua madre e suo padre prendono tre stanze da noi per quattro mesi e ci dànno cento lire al mese e il servizio a parte. Sperano che li provvederemo di vino,
- Sia ringraziato il Cielo che ha esaudite le mie preghiere! - esclamò la buona Regina con le lacrime agli occhi.
- E quando giungerebbero? - domandò la Carola.
- Martedì, che è il primo luglio.
Maso era il più attaccato
I fratelli gli fecero però osservare che questo era un affare fatto, e se aspettavano una offerta più lucrosa, rischiavano di perdere il mese di luglio e forse
- Maso, non vi riconosco; - disse la Vezzosa, - lasciare il certo per
- Ti devo proprio dare ascolto? - disse il capoccia a Vezzosa.
- Vi prego, per quanto ho di più caro a questo mondo, che è il mio Cecco, accettate.
- Vada dunque per cento lire! - disse il capoccia. - Vezzosa, tu che sai mettere in carta tanto benino, scrivi alla signora Durini che i suoi genitori possono pure venire quando vogliono e da noi troveranno un piatto di buon cuore, che è tutto ciò che i poveri possono offrire.
Quella sera i Marcucci cenarono con grande appetito e la notte dormirono tranquillamente, sicuri ormai che una buona sommetta sarebbe entrata nella cassa della famiglia.
E la mattina dopo, donne e uomini erano di nuovo tutti in faccende per lustrare ancora e pulire tutta la casa, Pareva che aspettassero
Vezzosa mandò i ragazzi nei boschi in cerca di rami di quercia, e alle bimbe dette incarico di portare quanti fiori avessero potuto trovare.
Essi tornarono carichi, e Vezzosa disponeva i rami sulle porte a guisa di festoni, e i fiori nei rozzi vasi di vetro e anche nei bicchieri.
- Fanno allegria! Fanno festa! - ella diceva a mano a mano che coi fiori adornava le stanze. - I signori debbono ricevere una buona impressione della nostra casa e debbono conservarla... Bambini miei, - aggiunse poi rivolta ai nipotini, - a voi spetta di esser molto cortesi con i villeggianti, per tre ragioni: sono gente anziana, sono signori e sono nostri ospiti, avete capito?
I bambini avevan capito benissimo e si proponevano di rendere lieto il soggiorno di Farneta ai genitori della signora Durini.
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