Le Metamorfosi/Libro Terzodecimo: differenze tra le versioni
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Posto à seder nel seggio alto, e reale
Fur posti intorno al regio tribunale
Di grado in grado i Principi più degni.
Poi per sapere, à cui
Del forte Achille il lor giudicio assegni,
Concorse
E fece
Che sopra il vulgo humil
E come gli occhi irati intorno intende,
E che ciascun ver lui rivolto scorge,
Secondo
Mentre à le navi Achee lo sguardo porge,
Sdegnato ambe le man tendendo al lido,
Mostrò
Può stare ò sommi Dei, che in questo loco
Fra Ulisse, e me tal causa habbia à trattarsi
Innanzi à questi legni,
Deh parlate per me voi navi un poco
Contra chi pensa al mio merto agguagliarsi:
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Benche se riguardiam con sana mente
Quanto il facondo dir
Si governò da saggio, e da prudente,
À non si porre à rischio de la morte.
Pugnar, che con la man feroce, e forte.
E se
Con le parole ei poi
Tal che per mal de
Io fei bene à pugnare, egli à fuggire:
Poi che
Fa,
Poi che
Vaglio per far difesa, e per ferire,
Tanto
Secondo
Hor voi prudenti Heroi giudicio fate,
Chi deve ne la gloria haver più parte,
Ó quel che nelle fiere empie giornate
Ó quel, che con parole alte, et ornate
Quel, che
Restava ogni navilio arso, e disperso,
Se
E poi,
Fate,
Poi
So ben, che
Che le fo mentre il sol nel ciel risplende.
E di ciò,
Mi fu
Non me
Conti Ulisse le sue, che son men certe,
Poi che le fa di notte ascose, e mute.
La notte farà fè, se
À cui fatto hà veder la sua virtute.
Ma
Me
Confesso ben, che
Bramo,
Ma mi par, che dia macchia à
Locato ho bassamente il mio desio,
E se ben premio io senza pare il tegno,
E poco à me,
Che gloria haver bramato esser mi puote
Quel dono à me, se bene immenso parmi,
Contende,
Ma bene il premio,
Anchor
Si vanterà,
Nel premio, e nel valor concorse meco.
Quando à voi fosse dubbio il mio valore,
Se quel, che voi
Posto haveste in oblio, per lo splendore
Del sangue mio
Quel Telamon di cosi invitto core
Mi diè già
E con la nave Argiva in Colco scese.
Di quel fier Telamone io sono herede,
Da cui fu vinto già Laomedonte.
Ei
Nel formidabil regno
Eaco dal Re,
Trasse il sembiante de
Et io (se
Non mente) hor son da lui la terza prole.
Non vò però, che
Alcuna in questo affar mi dia ragione,
Se quei non scende dal medesmo Dio,
Che prima di
Nacque del sangue Achille, onde nacqui io,
Ei di Peleo, et io di Telamone.
E quel forte Peleo, che
Fu del
Del figlio del Rettore alto, e divino;
Se
Ma se
Scorse Ulisse al mortale aspro camino:
E bene à furti, et à
Che
À me dunque
E
Per obedire à voi pronto, e disposto ?
Vi par forse,
Ei, che per non
Lui dunque di quel don farete degno,
Che per non seguir voi mentì
Ben mi sovien
Ei per la gran viltà stolto si finse,
E di sal seminò
Ma Palamede al fin
E cosi contra la Troiana terra
Con gli altri Achei malvolontier si spinse.
Hor faccian prima lui
Et io, che primo
À farmi obbietto al martial flagello,
Fia ben, che con mio biasmo, e dishonore
Senza
Deh fosse stato vero il suo furore,
Si che fosse restato al patrio hostello:
Ó fossi stato almen da noi creduto,
Si
Che
Ferito in Lenno non saria restato,
Sol, senza cura, e con mortal periglio,
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Hor have Filottete in Lenno essiglio
Da chi dovea ver lui mostrarsi grato.
Che
Che denno à Troia far
Ben vi sovien, che
Che Troia non havria
Se contra lei
Hor Filottete al ragionar
Che
Poi fe, che si lasciò ferito, e solo
Non senza universal disnore, e duolo.
Il misero hor
Mena la vita sua dolente, e trista,
E move i sassi à pieta, e duolsi seco
Fà, che
Cosi deserto entro à un paese esterno
Prega al crudele Ulisse ogni gran danno.
Prega,
Pur non ha dato anchor
Si mantien vivo anchor nel carnal panno.
Che se in campo seguia
Fea perdere ancho à lui
Si come fece al miser Palamede,
Ben per lui, se restava in quel deserto.
Felice lui,
Che godrebbe hoggi
Il falso Ulisse à lui calunnia diede,
(Per havere il suo inganno à voi scoperto)
E
Creder vi fe, che
Havuto da nemici un gran thesoro,
À fin che
Tutto
E perche facilmente si credesse,
Fe ne le tende sue scoprir
Ve
Mentre fea
Sapete pur, che voi vi ristringeste,
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Ma persuasi al fin cercar faceste
Nel padiglion del miser cavaliero.
Là dove si trovò
E cosi
Passò con questo biasmo à
Per la calunnia iniqua, e fraudolente,
Che quel,
Anchor darebbe al nostro campo aita.
E quando pur perduto havesse il giorno,
Perduto non
Hor questo è quel
Da quel, che di Laerte si fa figlio.
Che
Chi
Vedete voi medesmi,
La sua si rara astutia, e
In farvi danno, in far banditi, ò morti
I cavalier fra noi più fidi, e forti.
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Stare in periglio de la sua persona,
Se bene Ulisse in suo soccorso chiede,
Fugge il prudente Ulisse, e
Diomede, e Nestor ben potrà far fede,
Se in questo la mia lingua il ver ragiona.
Dica
Che
Vede un giorno ferito il buon Nestorre
Il suo destrier dal rubator
Hor mentre del furor teme
E per la troppa età stà in piedi à pena,
Chiama Ulisse in aiuto, à lui ricorre,
Che salvi al corpo suo la debil lena.
Ma il valoroso Ulisse per suo scampo,
Abbandonò Nestor, le squadre, e
Sà ben,
E che disse di questo à Ulisse oltraggio.
Questi sono i trofei, queste
Di questo si prudente Itaco, e saggio;
Ne toglie
E gli può dare aiuto, e non gliel porge.
Ma il Ciel, per farlo del suo errore accorto,
Fè dal periglio istesso opprimer lui.
Et ecco,
Ulisse,
Dunque
Poi
Ferito, e timoroso alza lo strido,
E chiama ogni compagno à lui più fido.
Tutto tremar de la propinqua morte.
Io pongo à rischio me, per far lui franco,
E
E con lo scudo,
Tengo uno scontro impetuoso, e forte.
Tanto, che
Al
Se non conosci anchor misero, e cieco
Quanto dal valor mio tu sei discosto;
Torna di novo à quel periglio meco,
Nel medesimo modo,
E mentre è tutto in rotta il campo Greco,
Sotto lo scudo mio statti nascosto.
E quivi di valor meco contendi,
Quivi dì le ragion,
Dapoi, che da la schiera armata, e folta
Salvai colui, che qui vuol starmi al pari,
À cui le piaghe havean la forza tolta
Da poter contrastar
Con la gamba fuggir libera, e sciolta
Lo scorsi in un balen dentro à ripari.
Dove con riso
Ecco nel campo un giorno il forte Hettorre,
Ne solo à Ulisse il giel per
Ma trema ogni guerrier fra noi più forte:
Io (come il mondo sà) mi vado à opporre,
E chiuggo in tutto al suo desir le porte.
E mentre ei crede haver vinta la guerra,
Gli avento un grosso marmo, e
Hettor nel campo
Sfidando à singular battaglia
Dove la prece vostra il voto ottenne,
Che me, via più
E questo pugno il suo scontro sostenne,
Fin che divenne
Ho con Hettor da solo à sol conteso,
Senza restar però vinto, ne preso,
Venir superbi ecco i Troiani un giorno,
E seco han Giove, Apollo, il ferro, e
Ulisse fuor del bellicoso gioco?
La speme io del comun salvai ritorno,
Difesi queste navi, e questo loco.
Opposi al ferro, e al foco il corpo, e
E mille ne salvai con questa palma.
Si che benigni Heroi, prestanti, e degni
Fate, che in ricompensa habbia
E
Datemi tanto acciar,
Per conquistare à voi gli esterni regni,
Per poter meglio in favor vostro oprarmi,
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Farvi à queste galee riparo, e muro.
E
Trarran
Che
Che di palma ogni dì
Può far
Hor comparisca Ulisse, e si dia vanto,
Et involato il simulacro santo
Di Pallade, e Dolone ucciso, e Rheso.
Vi par,
Fin hor del mio valore havete inteso,
Star le meschine sue prove, che furo
Fatte mentre egli il ciel vide più scuro.
Ne
Sotto lo scudo altrui star
Sempre
Tal
Hor quando al tribunal vostro paresse
Di donar
Partitele per mezzo, e Diomede
Ne la parte miglior succeda herede.
Perche vuol di
Se
Se in vece de la spada usa
Se col le frode altrui toglie la luce?
Non vede ei, che le gemme, che le fanno
Risplender tanto, e
Paleseran, che Ulisse ivi si chiude,
Ne potrà usar le frodi infami, e crude ?
Potrà
Che si temprò nel regno atro, e profondo,
Portare Ulisse mai, che
Portò, che
Potrà il suo braccio debole, e meschino
Un frassimo arrestar di tanto pondo ?
Fe gir di tante palme altero Achille?
Deh, perche vuoi gravare il braccio manco
Che ti farà si debole, e si stanco,
Che saria
Potresti almen fuggir sicuro, e franco
Nel fatto
Sai pur, che se lo stuol Frigio ne preme,
Tu fondi nel fuggir tutta la speme.
E se per sorte lui rendete armato
De
Gli fate un don, perche ne sia spogliato,
E non, perche ne sia via più temuto.
Ma
Come à
Havran per quel, che
Altro à pensar,
E poi lo scudo tuo,
Sì raro è al martial furor condotto,
Che, come puoi vedere, è tutto intero,
Ne luogo
Ma il mio, che in ogni scontro acerbo, e fero
Cerca salvar colui,
Da mille piaghe aperto esser si vede,
E novo successore agogna, e chiede.
Ma dir tante parole indegno parme,
Dove
Mandinsi in mezzo à
E quivi si disputi, e si contenda.
Di senno, e di valor, quivi
Contra
E quel, che le riporta ove hora sono,
Come huom di più valor,
Aiace al suo parlar fin dato havea,
E
Che
Se non al cavalier
E però
Che sapean quanto era facondo, e accorto.
Hor come si mostrò, tutto il consiglio
Tese intento ver lui
Poi che tenuti alquanto i lumi intenti
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Con gran modestia il suo pensier disserra.
E mentre usa artificio in ogni parte,
Tien con grande artificio ascosa
Prudenti Heroi,
Pietoso corrisposto havesse il fato,
Dubbio hoggi non saria nel campo nostro,
Chi di
E tu de le tue insegne andresti ornato:
Godresti tu de gli ornamenti tuoi,
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Per far restare in sempiterno pianto
Questi tanto di te devoti Argivi.
Quasi stillasser lagrimosi rivi;
Et asciugati ben gli occhi, e le gote,
Queste
À chi darete voi
Che più nel ver le merti di colui,
Che sol nel campo Acheo fra mille, e mille
Seppe Achille trovar per darlo à vui?
Che
Che contra il Re Troian vedesser lui,
Soverchio guiderdon però non parme,
Ne mi par che giovar debbia ad Aiace,
Ne dee nocere à me, se più vivace
Mi fe di spirto il Re superno, e divo.
Non noccia à me quel don, che mi compiace
Il ciel, se giova tanto al campo Argivo.
E
Manchi
Non debbe alcun mai ricusar quel bene,
Che gli ha di qualche don gli spirti impressi:
Però che gli avi illustri, e ciò, che viene
Ma poi,
Che per gli avi dal cielo à lui concessi
Merta
Che tanti gradi
Come
Laerte fu del forte Arcesio figlio.
Arcesio prole fu del maggior Dio,
Ne alcun di questi hebbe dal padre essiglio.
E per la madre anchor sappiate,
Scendo dal Re de
Autolico à mia madre il carnal velo
Formò, che figlio al nuntio fu del cielo.
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Ma non mi vaglia già, se ben mia madre,
Da maggior nobiltà trasse il parente;
Ne men
Del sangue del fratel stato innocente;
Vagliami il ben,
Fei
Quel, che fe più per lo Spartano impero,
Fate di quelle insegne andare altero.
Se
À quel,
La parte mia già si ritira, e cede,
Che molti gradi io son da lui disgiunto:
Ma stolto Aiace è ben, se
Il successor più prossimo al defunto;
Perche se ben
Pirro, che gli è figliuol, gli è più vicino.
Succeda Pirro, e
Se
Facciasi pur solcare il mare Egeo,
E si mandin
E Teucro anchor lo stesso al campo Acheo,
Che
Le de ottener da
Hor poi che piace à la Pelasga corte
Di dar
À quel di noi, che più prudente, e forte
Ha fatto maggior danno al Re Troiano:
Dal giorno,
Dirò
Se le parole havrò però si pronte,
Che possan far, che tutte io le racconte.
Poi che la madre Theti hebbe previsto,
Perche
À guisa di donzella il fe vestire.
E per fuggir quel fato acerbo, e tristo,
Appresso il Re di Sciro il fe nutrire:
Et ingannò con
Ogni Argivo guerrier, fra gli altri Aiace.
Ma perche il Re Troian
Non potea haver senza il valor
Cercai per le cittadi, e per le ville.
Scopersi al fin
Poi che feci à le sue veder pupille
Fra
In forma di mercante errando andai
Con veli, et altre merci da donzelle:
È ver,
Lame di varie forme, e tutte belle.
In Sciro al fine Achille io ritrovai,
Line 556 ⟶ 551:
Preser le figlie allhor di Licomede
La conocchia, il dital, la cuffia, e
Ma come gli occhi à
Prese una man lo scudo, e
Perche non vai (gli dissi) ù ti richiede
Il gran favor, che
Non sai, che la viltà di queste spoglie,
Mille, con biasmo tuo, trofei ti toglie?
Per la via de la gloria, e de
Tanto
Fè morta à tanti Heroi la carnal salma.
Hor se ricchi vi fei del suo favore,
Da me riconoscete ogni sua palma.
Io vinsi Telefon con la sua mano,
Quando un colpo il ferì,
Se Thebe, Chrise, e Lesbo ei pose in terra;
Se la città Lirnesia fu distrutta;
Se à Cilla, à Siro, à Tenedo fe guerra;
Dite pur, che
Io vi diè quel, che Hettor fe andar sotterra,
Se
Ne son
Che vincer fevvi, à darmi io vi conforto.
E
Glie le diè per condurlo al Frigio porto;
Se ne
Rendetemele almeno hor che gliè morto.
Che
Poi che il dolor
Havea perduta, ogni cor Greco prese,
E contra il Re de la Troiana corte
Ad armar mille navi i Greci accese,
Sapete ben, che
Nel gran porto
Però che
Tutto quel tempo ò fu nullo, ò contrario.
Risponde il fato. Se la vostra mente
È di veder la region Troiana,
La figlia
À
Di dar la figlia al foco di Diana;
Ne
Per provedere al comun danno io fui,
E fei, che per gradire à tutti vui,
Del proprio sangue suo privò se stesso.
Line 620 ⟶ 615:
Gli mostro il grande honor, che gli havea fatto
Tutta la Grecia à farlo imperadore:
De la cognata sua
Perpetuo del suo sangue onta, e disnore;
E come egli è obligato al suo riscatto:
E poi che tante navi have in favore,
Facendo al ciel del proprio sangue homaggio.
Line 630 ⟶ 625:
Là dove i preghi usar non mi convenne
Che non havria ceduto, come il padre,
Basta, che
E fu cagion, che le Spartane squadre
Contra il muro Troian drizzar
Che
Staremmo
Ambasciador con dignità comparsi
Innanzi al Re Troian dentro al suo muro,
Per terror mio, per stare ei più sicuro.
Dove
Da me le Greche voglie esposte furo.
Parlai con quello ardir, con quel rispetto,
Che chiedea la mia causa, e
Esclamai contra Paride, e di tanto
Line 649 ⟶ 644:
Poi fatto verso il Re dolce altrettanto
Ridomandai con tai ragioni Helena,
Che
Indussi à darla al regno di Micena.
Ma il pastor Frigio, e chi con lui la tolse,
E tu sai Menelao,
Che Pari, e tutti quei,
Mentre del furto suo ragionai seco,
Alzar quasi la man per farne scorno.
Hor tu puoi far qui fede al campo Greco,
Se corremmo periglio ambi quel giorno.
E
Che non vide mai Troia entro à le mura.
Lungo sarà,
Contar,
Si sà, che fatte le prime contese,
Quando
Si mise il Re Troian su le difese,
Ne fece uscire i suoi mai de la terra,
Line 672 ⟶ 667:
Se introdur volle ò vittovaglia, ò gente.
Hor mentre stette
Senza venire al Marte aperto, e crudo;
Tu, che invece de
Sai sol la spada usar,
Stando de
Che se dimandi à me di quel,
Giovai per mille, e mille mezzi à Greci.
Mille pratiche occulte ogni hora io tenni
Al fin fra tante
Che la distruttion di Troia importa.
Di vittovaglie il campo ogni hor mantenni,
Fei far più forti, e feci il porto franco,
E diei forma
À molti cavalier diedi conforto,
Line 696 ⟶ 691:
Ma con speranze certe, e modo accorto
Per fargli rimaner trovai rimedio.
Mostrai
Dal campo, quando occorse, io fui mandato.
Il nostro Re per obedire à Giove
Da un sogno vano impaurito, e cieco
Persuade à
Per voler ritornarsi al lito Greco.
Il farne Giove autor ciascun commove
À lasciar tanto assedio, e fuggir seco.
Deh no
E mostri, che tal fuga è in tutto infame.
Perche i Greci guerrieri ei non ritiene
Con
Perche non mostra lor, che non è bene
Dar fede à un sogno obbrobrioso, e infido?
Che non ricorda lor,
Tornando senza Helena al patrio lido,
Gli havrà per insensati, e per codardi,
Line 718 ⟶ 713:
Non erano però si grandi imprese
Ad un, che
Ma che dirò,
Sotto il pretesto van del sogno regio?
Forse,
Chi
Se à sorte ne provò, ben vide aperto,
Chi fosse di noi due di maggior merto.
Ben vide te fuggire, e
E per
Può stare io dissi allhor dentro al cor mio,
Ben vide me,
Biasmai con ogni sorte di rampogna.
E mentre, che
Tu festi alzar con tuo disnor
Deh, perche al vostro honor tal fate torto
(Io replicai) dopo si lungo affanno ?
Che cosa riportate al patrio porto,
Se non eterna infamia il
State, che Troia è presa, il tempo è corto,
Che dee dal fato haver
Mi fe il dolor facondo, e fei, che
Ma non per questo Aiace hebbe ardimento
E pur Thersite non hebbe spavento
Biasmare il Re con ogni infamia, e scorno.
Come
Mi levo, e tanto fo lo stesso giorno,
Che contra Troia
E
Voi sapete,
Che
Hor da quel tempo,
Che non tornasse à la magion natia,
Poi che lui, che fuggia, con noi ritenni,
Ogni opra,
E ciò,
Dite pur, che
Quando propose un giorno il buon Nestorre,
Dove havea posto il campo il forte Hettorre
Mentre la notte havea
Fu eletto Diomede: ei volle torre
Seco un compagno: allhor
Ogni guerier mostrò di haver desio
Il nostro Re prudente allhor concesse
Con questo,
Di chi per oro, ò nobiltà precede.
Ma
Nel quale havea maggior speranza, e fede.
Et ei,
Fra mille, e mille à me fe questo honore.
Line 786 ⟶ 781:
Hor chi sceglie mai te di quei, che face
Andare il Re ne le più dubbie risse?
Ma donde vien,
Senza stimar di mezza notte andai
De nemici, ò del tempo alcun periglio.
Dove il Frigio Dolon per via trovai,
Che
Conosciuto
Che diede à
Ma pria, che
Gli fei scoprir di Troia ogni secreto.
Quando, per riconoscer, prese
Dolon le nostre fosse, e in campo venne,
I cavalli
Dunque vorrete voi quel don negarme,
Che questa mano allhor salvo mantenne ?
Dunque havrà
Che salvò forse
Riconosciuto havea già tutto, e inteso,
Potea de
Ma tutto al ben comun disposto, e inteso
Maggior per voi mostrar volli ardimento.
Ne le superbe tende entrai di Rheso,
E tolsi à lui
E poi che i suoi cavalli, e
Ma che dirò del Licio Sarpedone?
Io pur la forte sua già ruppi insegna.
La parte al carnal vel tolsi più degna.
Io mandai Cromio, Alcandro, Halio, e Neomone
Dove
Tutti gli uccisi suoi guerrier più forti,
Voi sapete,
E di quei, benche Charope hebbe avante,
Fei da quel giorno in quà goder gli heredi.
Poi verso
E
Fei di
Mandai
Come sapete voi sì ben,
Ma mi costò, che
Volle il sangue veder del petto mio.
E quando no
(Et in questo parlar la veste aprio)
Di qui (dapoi sogiunse) il sangue aspergo,
Mostro à nemici il petto, e non il tergo.
Ma non vi potrà già nel
Aiace dimostrar, che in questa guerra,
Havesse mai nel suo corpo alcun danno,
Non mai del sangue suo sparse la terra.
Facciasi innanzi
E
Difendan me
Confesso ben, che contra il forte Hettorre
Ma se vuol tutta à se tal gloria torre,
Mi par, che
Al forte Hettor con
Patroclo fe quel dì con
Contra il campo Troian non men di lui.
Non ho sì strano, e sì maligno il core,
Ma non dia tanto Aiace al suo valore,
Che resti il pregio altrui del tutto morto.
Ne solo egli si dà tutto
Ma vuol nel raccontar
Tutto
Figliuol del Re Troian venne à duello;
E pure ei sa,
Nove guerrier de la Pelasga corte
Fur, che bramar ne lo steccato havello.
E
Che uscir fe il nome suo prima del vaso.
Line 885 ⟶ 880:
Tu te ne vai di tal duello altero,
Ne di sangue una goccia à lui togliesti.
Non dee vantarsi
Di pugna, ove non hebbe alcun vantaggio.
Miser,
Che sforza à lagrimar le mie pupille,
Che di quel tempo à me sovien nel quale
Cadde il muro de Greci, io dico Achille,
Che
Non poter tormi,
Non togliessi quel corpo sul mio tergo,
E
Su questo dosso mio, su questo dosso
(Come ogni cavalier fede può farme)
Un corpo cosi grande, e cosi grosso
Portai nel campo Acheo con tutte
Hor
(Come detto hà) di tanto peso armarme?
Del figlio di Peleo, ma
Certo che Theti fe fare à Vulcano
Per tanto figlio un scudo cosi degno,
Dove la terra,
Pinse, e
Perche dovesse poi venire in mano
Che farà di
Se in quel, che
Dal fabro impresse del Rettor superno.
Vi stà freddo, e gelato il pigro Arturo
Ver quella parte,
Suol
Con tutto questo Aiace anchor contende,
E vuol
Con che giudicio, ò Dei, con che consiglio
Al destinato martial periglio,
E
Ne
Del famoso Peleo chiama codardo.
E mentre me fa del mio honor rubello,
Dà biasmo al forte Achille, al suo fratello.
Sapete,
Più presto vi comparsi almen di lui.
Da la mia pia consorte io restai vinto,
Ne seppi contradire à preghi sui.
Per compiacere à la pietosa madre.
Brevissimo con lor femmo soggiorno,
Ma dimorammo ben con voi
Hor chi dirà,
Che
Seppi io trovar sotto i mentiti panni.
Ma se ben tanto fece, e tanto disse
Line 952 ⟶ 947:
Se la sua stolta lingua il modo eccede
Ne le false calunnie, che
Dapoi,
Del suo folle parlar giudicio fate.
Io sono Ulisse, e accuso Palamede,
Voi sete il tribunal, che
Dunque se
Se
Ne scusar Palamede hebbe ardimento
Tal causa innanzi al vostro concistoro,
Ne voi sentiste sol tal tradimento,
Ma vedeste evidente il pregio, e
Aiace è tanto à farmi ingiuria intento
Per acquistar si raro, e bel thesoro,
Chiamare ingiusto un tanto tribunale.
E
Ne
Non accusi egli me, voi difendete
Il vostro error, che fu via più inhumano.
Voi ve
Per voi non scorge il bel regno Troiano.
È ver,
Mi parve di levarlo à la fatica
De la noiosa guerra, e del viaggio,
Però
Non gli potea far tanto il male oltraggio.
Vi stette, e vive, hor chi sarà, che dica,
Che non fu il mio parer fedele, e saggio?
Poi
Che fu il consiglio mio fido, e felice.
Hor poi
Richiede il fato il figlio di Peante,
Non date à me di racquistarlo cura,
Fate,
Che gli torrà la doglia acerba, e dura,
E poi con qualche astuto suo conforto
Ve
Prima nel bosco il cerro, il faggio, e
Vivrà senza radice, e senza scorza;
Tornerà prima verso il monte Alpino
Il fiume contra il peso, che lo sforza,
Che giovi Aiace à
Con altra cosa mai, che con la forza.
Noi darem prima aiuto al Frigio regno,
Che
Se ben, tu Filottete, da la rabbia
Vinto di quel velen troppo importuno,
Non sol contra
Ma contra il Signor nostro, e contra
Se ben non vuoi,
Perche più fosse al tuo scampo opportuno,
Se bene ogni supplicio infame, e rio
Line 1 016 ⟶ 1 011:
Non però resterò per benefitio
Del campo illustre Acheo di ritrovarti,
Ne mancherò
Per condurti placato in queste parti.
E cosi in questo il ciel mi sia propitio,
Come fu ver,
Di Troia, quando il suo profeta io presi.
Cosi
Che dee tanta cittade à noi far serva,
Si come è ver,
Io tolsi il simulacro di Minerva.
Disse à colui, che i nostri augurij osserva.
Troia perder non può la regia sede
Se nel tempio Troian Palla risiede.
Perche nel letto suo la notte giace
Dentro à ripari, e senza alcun sospetto ?
E fa di notte un si importante effetto?
Và per mezzo à nemici entro à la terra,
E toglie Palla al tempio, che la serra.
Fra nemici
Mentre ha più bel
Ne solo entrai dentro à le prime mura,
Ma ne la rocca, ù fea Palla soggiorno.
Line 1 048 ⟶ 1 043:
E riportai la Dea meco al ritorno.
Et osa Aiace (e non ha alcun rossore)
Di pareggiare il suo
Havria fatte
Io vinsi quella notte il Re Troiano,
Che tolsi Palla à le Troiane porte.
Line 1 059 ⟶ 1 054:
Che dava aiuto al Dardano domino.
Non mormorar, non
Non mi mostrare Aiace il mio Tidide.
E la mia gloria seco si divide.
Ne men tu sol contra il Troian periglio
Difendesti
Fui con un sol
Ma tu con mille difendesti il lito.
E se
Al valor de la man, non de la mente,
Più
Tidide à par di te pugnando vale,
E senza dubbio è più di te prudente.
Line 1 078 ⟶ 1 073:
Non è però di te men forte, e fero
Pur sà, che
Val più de la possanza, e del coraggio.
E come moderato cavaliero
Line 1 086 ⟶ 1 081:
E pur di forza, e ardir van teco al pari.
E Merione, Euripilo, e
Son pari à te nel martial flagello,
Et han più chiaro il lume interiore.
Ne però quello acciar fregiato, e bello
Cercan, che sia donato al lor valore.
Bench’abondin d’ardire, e d’intelletto
Han per lor gratia al mio merto rispetto.
Util nel ver tu sei per esseguire,
Per darti pronto al martial periglio:
Ma ben convien, che
Guidato sia dal fren del mio consiglio:
Spesso esseguisci tu quel,
Che vuol
Che di quel, che
La forza adopri tu senza ragione,
E sei piuttosto ardito, che prudente:
Io pria discorro in su
E poi vengo à
Di forza, e ardir stò teco al paragone,
Ma ben
Tutta la forza mia stà dentro à
E fo più
Quanto il Rettor de lo spalmato legno
È maggior di colui, che
Quanto è
Di quei guerrier, che pone à tempo in opra;
Tanto io per lo suo pigro, e rozzo ingegno
Line 1 124 ⟶ 1 119:
Hor voi principi invitti, à cui dal fato
Si deve in breve dar tanta vittoria,
Per quel Nume fatal,
Non fate,
Fuor de la vostra sia grata memoria.
Sapete pur quanta propinqua gioia
Nel simulacro stà,
Vi prego grati Heroi per quella spene,
E
Vi prego per
E per la Dea,
Non è soverchio premio à quel guerriero,
Che vi fa guadagnar si grande impero.
E se
Donate almen
E la statua mostrò, che gli era à canto,
Si chinar tutti allhora al Nume santo,
Da cui tanta vittoria
Fatto
Alzò in favor
Allhor conobbe
Quanto
Che dei due cavalieri il più eloquente
Quel, che già Hettorre, e Giove, e
Sostenne, e fe tante stupende prove,
Il tribunale Acheo superbo mira,
Ne può bastare à sostenere
Fu
E tratta fuor la spada, irato disse.
È mia
Questa anchor vuol per li suoi merti Ulisse?
Questo acciar mio del Frigio sangue tinto,
Che mi diè tanto honore in tante risse,
Il petto invitto mio privi de
E sol
E poi la tira à se con ogni forza;
E quel petto ferisce, al quale in vano
Ogni altro tentò pria forar la scorza.
Lascia
E di cader le membra essangui sforza.
E del sangue, che in copia ivi si sparse,
Line 1 177 ⟶ 1 172:
Quel fior leggiadro, in cui cangiossi il figlio
Già
E dal colore in fuor simile al giglio
Le vaghe foglie in un immomento aprio.
Formarsi anchor nel bel color vermiglio
Le note, che
E mostrò il novo fior descritto (come
Havuto il cavalier
Quel ricco don,
Partir fe un legno subito dal porto,
Per dimostrarsi officioso, e grato;
Line 1 192 ⟶ 1 187:
Si vide su quel regno scelerato,
Infame anchor per lo femineo sdegno,
Dove fe si
Che lasciato vi havea prima ferito,
Che de
E
Dove dopo tanti infortunij, e tante
Fatiche il lungo assedio fu finito.
I Greci entrar ne la Troiana terra,
E fu
Arde la miserabil Troiaé e cade,
E seco il vecchio Priamo cade insieme.
Van gli huomini, e le donne à fil di spade;
Tutti si veggon giunti à
I morti, il sangue, e
Ne
Arde in Troia ogni torre, e si disface,
Innanzi al santo altare, al sacro foco
Lo sventurato Priamo al suo fin viene,
E quel sangue dà fuor senile, e poco,
Che
Di spoglie per portarle al patrio loco
Van carchi quei di Sparta, e quei
Tirata per le chiome al regno santo
Tende Cassandra in van le mani, e
Dicon chete le donne i santi Carmi,
E per salvar
Abbraccian mentre ponno i sacri marmi,
Mercè chiedendo à minacciati scempi.
Van poi per mezzo à le ruine, e à
Prede de lor nemici avari, et empi;
E son condutte à le Pelasghe navi
Per li molti trofei superbe, e gravi.
Astianatte da
Onde già gli solea mostrar la madre
Il lodato valor del padre Hettorre,
Mentre fuggir facea
Gittan
À le sue membra tenere, e leggiadre.
Ovunque la città si stende, e gira,
Tutta è di crudeltate essempio, e
Già persuade à lor propitio il vento,
Line 1 243 ⟶ 1 238:
Baccia la terra afflitto, e mal contento
Il Frigio popol misero, e cattivo.
Al lito lor di tanto imperio privo.
E mentre il vento porta i legni à volo,
Priva i Frigij del suol,
Hecuba sventurata ultima venne
Fra sepolcri
La miserabil lor piangendo morte.
Al saggio guerrier
Indi levarla, à cui toccò per sorte.
Per forza la levò, pur nondimeno
La cenere
Che la polve
E
Lascia, che fa la lagrimosa luce.
Cosi
Povere essequie à cosi ricco Duce.
Con
Su la vittoriosa Argiva armata.
Incontro (ove fu Troia) un regno siede,
Polinnestor
Non men crudo, et avaro, che possente.
Il miser Re di Troia à lui già diede
Polidoro un suo figlio ascosamente.
Per torlo (il fe nutrir ne
À
Nel mandar fuora il Re Troiano un figlio,
Mostrò prudente, et aveduto ingegno.
Che basta un sol, che sia fuor di periglio,
À racquistar talhor
Ma
Vano, e gli ruppe il suo saggio disegno;
Fè
Del rio Signor, cui diede il figlio in mano.
Al Tracio Re per più
Diè Priamo in guardia anchora un gran thesoro.
Hor come udì di Troia il crudo effetto
Il custode crudel di Polidoro,
Passò al miser fanciullo il collo, e
Spinto da
Poi come il corpo asconda anchor
Nel propinquo il gittò salato humore.
Lasciò
E passato havea Tenedo di poco,
La Tracia con la classe Atride afferra
Nel più propinquo, e più sicuro loco.
Dove per ben comun vuol tanto stare,
Che vegga esser placato il vento, e
À pena con la corte il grande Atride
E fuora uscirne un cavaliero armato.
Nel volto minaccevole, e turbato;
Et assaltò in quel modo il Duce Argivo,
Dunque
(Poi disse) ingrati Achei con tanta gloria
Havendo in tutto me posto in oblio,
Che
Non ve
Non si faccia di me nova memoria.
Plachi la tomba mia con nuovo pregio
Line 1 323 ⟶ 1 318:
Se ne tornò nel sotterraneo speco;
E lasciò il Re del Greco illustre impero
Attonito, et
Il Re discopre à quello il suo pensiero,
Che suol dar forma al sacrificio Greco,
Line 1 331 ⟶ 1 326:
Piangea la sua fortuna acerba, e rea
Senza il regio splendor inconta, e scinta
La madre,
E
Intanto ne
La turba entrò di crudeltà dipinta;
E le bellezze angeliche, e leggiadre
Tolse per forza à
Vede la sola figlia, che le resta,
Come
Habbia
Languida cade, afflitta, e sbigottita.
La figlia intanto à
Da servi già pietosi era condutta,
Che tal beltà dovesse esser distrutta.
Come fanciulla nò, ma più che donna,
Ben
De la funebre del ministro gonna
La forma de la sua conosca morte:
Non per questo il timor di lei
Ma stando intanto Pirro à rimirarla,
In lui ferma lo sguardo, e cosi parla.
Line 1 359 ⟶ 1 354:
Vago del sangue illustre, e generoso;
Deh questa gola, ò questo petto offendi,
Che
Deh il ferro, che
E dammi al regno oscuro, e doloroso.
E con questa favella il seno aperse,
E lieta il petto, e
Deh non restar, che di tua mano io muoia
Per rispetto di quel, che mi vuol serva,
Che la prole real del Re di Troia
Prima morrà,
Ne men restar di tormi à tanta noia,
Per chi forse à
Hostia non vi può dar,
Gioia à me dà
Sia chi si sia, che me venga à ferire:
Ma sminuisce molto il mio contento
La morte, che in mia madre, e per seguire.
Ma, se ben vi discorro, io mi lamento
À torto,
Anzi à doler
Restando serva inferma, e senza aita.
Line 1 389 ⟶ 1 384:
Faccia pria danno il ferro, che la palma
Vergogna al sangue vergine Troiano.
Più grata, sia chi vuol,
Deh se pietà da voi puote impetrare
La figlia
Benche cattiva sia, come passare
Vedete
Non fate, che con
Il grido, e
Quando potè, vi spese anche il thesoro.
Ah de la madre mia pietà vi mova,
Lasciate, che di me cura si pigli.
Si che
Che sparse sopra gli altri uccisi figli.
Tanta con questo dir pietà ritrova,
Che sforza à lagrimar gli Argivi cigli;
E se ben ella al pianto il fren ritira,
Il Sacerdote anchor contra sua voglia
Per torle al primo
Quando
Cercò di ritrovarle al primo il core.
Ne potè tanto in lei
Che non si ricordasse de
Ma nel cader tal cura al manto pose,
Che non venne à scoprir le parti ascose.
Line 1 424 ⟶ 1 419:
Fan, che permette il loco dove stanno.
E vanno insieme ricordando intanto
De la stirpe regal
E
E quanto sangue una sol casa ha sparso.
Line 1 431 ⟶ 1 426:
Ma te scontenta, e miserabil madre,
Di quel già moglie imperador possente,
Che comandava à
Regina già del lucido oriente,
Et hor fra mille man rapaci, e ladre
Line 1 438 ⟶ 1 433:
Ulisse, ò sia, che poter dir vorrebbe,
Ó sia, che del tuo mal forse
Fra gli altri servi suoi ti fe già porre;
E forse volontier ti donerebbe,
Se fosse alcun, che ti volesse torre.
Oh miseria del mondo iniqua, e nova,
Signor
E come in se rivenne alzando il grido,
Fe si col capitan, che le compiacque
Di lasciarla con tre smontar
E giunse, e vide lei, che di se nacque,
In quel, che mandò fuor
À punto in quel,
À
Abbraccia il corpo, che
Et à gli alti lamenti apre le porte;
Et à lei dà quel pianto, che già diede
À
Bacia le smorte labbia, e
Straccia il canuto crin, chiama la morte;
E fra infinite strida, onde si dole,
Line 1 465 ⟶ 1 460:
Ó del mio gran dolore ultimo obbietto,
Dunque ancho il corpo tuo
Dunque anchor tu piagato hai figlia il petto?
Dunque il ferro anchor te ferisce, e sface ?
Ben mi credea, che
Dovesse ritrovar dal ferro pace;
Pur se ben di donzella io ti diè il volto,
Line 1 478 ⟶ 1 473:
Se ben donzella sei, con la ferita.
Achille il foco de la nostra terra
Ne sforza tutti à
Per mezzo de la sua troppo empia spada.
Quando il mio Pari, e
Del gran Pelide orbar fe le pupille,
E fer cader
Del distruttor de
Di core io rendei gratie al Re del cielo,
Che non havea più da temer
Ma in vano (ahi lassa) gratie gli rendei,
Che cosi morto uccide i figli miei.
Line 1 494 ⟶ 1 489:
Hor quando mai tal crudeltà si vide ?
Incrudelisce contra al sangue nostro
Insino à
Apre la tomba istessa il tetro chiostro,
E manda fuor, chi
Dunque mi fece il ciel feconda tanto
Per trionfo
Il superbo Ilion distrutto, et arso
De le ruine sue copre le strade.
Giace
Che di spargere ardean
Dopo tanti flagelli al cielo è parso
Di finir per
Sol nel suo corso il mio fato si vede,
Per me
Come
Cerca la spada Achea di farmi oltraggio.
Oime, di quale invitta, e altera sorte
In qual miseria, in qual bassezza io caggio ?
Io
Il qual trahea da tutta
Ne haver potea dal ciel maggior favore
Ne generi,
Et hor distrutta la mia regia antica,
De sepolcri di quei,
Son tratta vecchia, misera, e mendica
Per lo paese incognito, et esterno;
Dove
Senza soccorso alcun, senza governo
Per esser serva, e don prima,
De
Serva de la consorte andrò
E mentre
Questa è colei, che si felice visse,
À le madri dirà del suo domino
Pria, che
À
Questa è
Moglie del Re de
E tu, che davi refrigerio alquanto
À gli aspri miei tormenti, et infelici,
De
Per
Oime, che
Ho parturito à miei crudi nemici.
Oime,
Che non può soffrir tanto un cor di carne.
À darmi con la morte eterna pace ?
Che la vecchiezza mia fai si vivace?
À novo colpo ò di spada, ò di dardo
Line 1 554 ⟶ 1 549:
Che innanzi à tanto mal finì il suo fato.
Hor chi direbbe mai, che
Dopo haver visto il suo regno perduto,
Felice dir la sua potesse morte?
E pur passò felicemente à Pluto,
Dapoi che
Figlia infelice mia, non ha veduto.
Atto non vide in te figlia si indegno,
E in un punto perdè la vita, e
Forse,
E sarai posta in quella tomba egregia,
Misera, il sangue tuo qui non si pregia,
Sian dunque le tue essequie i miei dolori.
La pompa funeral fia il mio lamento.
Line 1 576 ⟶ 1 571:
Del sangue proprio lor tutti vermigli,
Percossi da la lancia, ò da la spada.
Chi fia, che più
Per far, che in questo punto
Si che un mio sol figliuol, che vive anchora,
Possa alquanto veder prima,
Di nove sopra dieci i quali usciro
Del grembo mio si pretiosi frutti,
Di quei, che la viril forma sortiro,
Fu quel,
E pria, che
Havesse i nostri muri arsi, e distrutti,
Fu dato con
ln guardia al Re de le Tracensi squadre.
Deh Re del ciel, ben che
Fammi gratia però, che tanto io viva,
Che vegga, e baci il mio figliuolo alquanto,
Mentre qui mi ritien
Ma voglio in prima dar
À
E lavarle la piaga, il sangue, e
E far, che
Al mar la sventurata il camin prende
Non senza il tristo suo lamento, e grido;
Vi giunge, et in un morto i lumi intende,
Tosto, che Polidoro esser comprende,
Ogni donna Troiana alza lo strido,
Biasma il Tracio coltel via più del Greco.
Ella ammotisce, e cinque volte, e sei
Il volge, e
E trova à varij segni, à varij nei,
Che
Che si diè in guardia al Re del Tracio impero,
È quel, che
Nel collo, e intorno al cor tanto ferito.
Ben vede la dolente genitrice,
Se ben per lo dolor folle ha la mente,
Che quel,
È stato il Re de la Bistonia gente.
Pensando con
Che
Ma del suo mal verrà mal frutto à corre,
Perche non scopra il lor novo dolore,
Il pianto,
Divorato è dal duol pria,
Hor ferma gli occhi in quel, che in terra giace,
Hor gli alza al sempiterno alto motore;
Hor china addolorata il capo basso,
Non men stupita, e immobile
Dapoi che si risente, al figlio morto
Di novo i lumi dolorosi gira,
E volge à le sue piaghe, e al Tracio torto
Più che ad
E come possedesse il patrio porto,
E
E
La stessa par de la vendetta imago.
Qual la leonza,
Persegue il cacciator, se ben
E per oprare il dente, e
Per la pesta, che scorge, affretta il piede:
Tal la Regina al subito consiglio,
Line 1 655 ⟶ 1 650:
Lasciavan gire i Greci, e anchora Ulisse
I lor prigioni inutili per tutto,
Che non havean timor,
Poi
Tal
Contra il Re Tracio il destinato lutto.
Giunge, et à la regal dimanda porta
Di voler dire al Re cosa,
Se ben si crede il Re,
Di veder pria, che passi al lito Argivo,
Quel figlio rifrigerio à la sua doglia,
Che crede,
Pur cauto dice à lei, che non si doglia,
Se non vede il figliuol,
Che
Per celarlo al fratel del Re Spartano.
Finge, e soggiunge il Re, che tanti danni,
Che le dà il ciel, con forte cor sopporti,
Finche giunto il figliuolo à
Possa ricuperare i patrij porti.
Ma per non dare à Greci empi, e tiranni
Sospetto, è ben,
E che in quanto al figliuol tenga sicura,
Che, come fosse suo, ne terrà cura.
Lo sdegno Hecuba à pena, e
Pur
À mandarlo lontan da quelle sponde.
E
Brama mostrare à lui, dove
À fin che, come il campo è gito via,
Il serbi, e giunto il tempo al figlio il dia.
E che brama condurlo in quella parte,
Ma che non vuol,
A fin
Non ne fesse avisato il Signor Greco.
E seppe predicargli con tanta arte,
Che ne rimase il Re di Tracia cieco.
Che si lasciò condur
Poi
Il traditore incognito pervenne
Al loco destinato, à quel deserto,
Nel qual la madre Frigia il voto ottenne.
Mostrami, dice,
Che dì,
Quel novo, che
Che vuoi,
Per quel, che ne governa, eterno fato,
Giuro, e per quel,
Che quel, che mi darai, quel, che
Tutto al suo tempo fia de la tua prole.
Ella con volto horribile, et irato
Line 1 718 ⟶ 1 713:
De le madri Troiane, che condotte
Eran prigioni à lo Spartano lido,
Vicino al luogo,
Le quai per dare à la perpetua notte
Il Re, saltaro fuor sentito il grido.
Hecuba intanto
E
Come la squadra muliebre giunge,
E chi à traverso il tien, chi per le braccia,
Tal che per forza fuor gli occhi ne scaccia.
Salta del proprio albergo
E
Perseguon di ferir gli stessi diti
Gli occhi non già, ma ben de gli occhi i siti.
Line 1 738 ⟶ 1 733:
Il gran dolor de la perduta luce
Gli fa le strida alzar fin à le stelle.
Il popol ,
Vede color
Contra il lor Re,
Per torgli con le luci anchor la vita.
Chi per traverso una Troiana prende,
E dal suo Re per forza la ritira;
Chi con arme, ò bastone
E sfoga sopra lei lo sdegno, e
Ecco un, che verso un sasso i lumi intende,
E dopo il piglia, e contra Hecuba il tira.
Lo schiva ella, e si sdegna, e stende il corso,
E
Con la favella solita dolerse,
Ne, come già solea, la lingua sciolse,
Ma
Tal che la prima forma à lei si tolse,
E tutta in una cagna si converse.
E
Anchor ritien del caso istesso il nome.
Un tempo poi
Andò per le Bistonie empie contrade,
Con
Piangendo tanta sua ruina, e clade.
E non il Frigio sol, ma
Tanta calamità mosse à pietade.
Ne mosse i petti sol del nostro mondo,
Ma
Talmente à tutta la celeste corte
La madre fa pietà di Polissena,
Può tener, che non cada il pianto, à pena.
E prova, e tien,
Di Frigia fosse troppo acerba pena.
Non stillò per tal caso in pianto i lumi.
Non
Di Priamo, anzi fu sempre in suo favore;
Ma
Non lascia,
Non ha visto bruggiar, ne cader Troia,
Ne men
Polissena cader, ne la sua madre
Latrar con ira à le Tracensi squadre.
Quel mal, che la tormenta, anzi
E da
È, che per man de
(Mentre
Cadere un suo figliuol estinto vide,
E
Le venne in un balen pallida, e smorta.
Line 1 800 ⟶ 1 795:
E solo al lagrimare il figlio intese.
E se ben poi da Giove in gratia ottenne,
Se bene il vide al ciel batter le penne,
Non però punto lieto il cor le rese.
Line 1 806 ⟶ 1 801:
Che il mondo andò in ruina, e non lo scorse.
Già de
Costui, che da Pelide restò vinto.
E fu da padri lor detto Mennone.
Line 1 818 ⟶ 1 813:
Chinata le ginocchia, alzata il ciglio,
Con questo accorto, e gratioso aviso
Cerca
Io chieggio, ò sommo Re del paradiso,
Aiuto à tuo santissimo consiglio.
Line 1 835 ⟶ 1 830:
Andò pur dianzi à la Troiana guerra,
Per dare al miser zio soccorso in vano,
Là dove Achille il fier,
Gli fe cader
Hor perche vuol di lui cenere, e terra
Far la vorace forza di Vulcano,
Io non vorrei veder tanto valore
Poca polve restar,
E ben che donna io sia, son pure io quella,
Che pongo il proprio termine à la notte.
Con
Fo le tenebre sue rimaner rotte.
E ben per la mia prole amata, e bella
Pria, che le membra in polve habbia ridotte,
Dovrei tal gratia haver dal maggior Dio,
Con lieto volto il Re del ciel consente
À chi serva il confin fra
Fatto intanto del figlio il rogo ardente
Di fumo
Cosi il fiume il vapor fa alzar sovente
In aere, e di tal nebbia il mondo adombra,
Che non lascia, che
La lucida favilla, e
Vola ver le contrade alte, e gioconde.
Il raggirato poi fumo vien duro,
E
Quel lume, che
In ogni parte à
Già nel fumo aggirato, e in un raccolto
Appar nova figura, e novo volto.
Già rassembra
Già spiccato dal fumo è vero augello.
Onde
Passata è ne le penne, e ne le piume,
E
Intorno al rogo hor gira, hor sale, hor scende,
E novo augel, che
De la prima favilla ogni sorella
Nel revoluto fumo
Da questo, e da quel lato esce una ascella,
Fin che di vero augel mostra la forma.
Line 1 887 ⟶ 1 882:
Se ne veggon formare, e cento, e cento.
Sì gran numero al ciel
Che fan quasi oscurar ne
Fan sopra mille giuochi al rogo acceso,
Indi il giran tre volte intorno intorno.
Tre volte il grido lor fan, che sia inteso
Insino al piu beato alto soggiorno.
E forman le battaglie al fiero Marte.
Indi crudeli ad affrontar si vanno,
E con gli urti, e
Et ogni estrema ingiuria empi si fanno
Del bruggiato Mennone in novi figli.
Tanto che molti con disnore, e danno
Del proprio sangue lor cadon vermigli.
E fan
A la cognata polve di Mennone.
Line 1 908 ⟶ 1 903:
Fosse il lor genitore, han tanta gloria,
Che vanno altieri ò per haver la morte,
Ó per goder
E per mostrar di lor cangiata sorte
À quei, che verran poi, la vera historia,
Dal padre, onde impetrar
Vollero anche impetrar
Mennonide fur dette, e poi che
E
Portar
Ver donde il nero soffio Austro disserra.
Ma poi che quel, che
Suol del giorno ogni giorno ornar la terra,
Fornì verso oriente il proprio giro,
Ritornaro al sepolcro, onde già usciro.
Dove
Vanno à investir le già divise squadre:
Et ogni augel, che cade, e, che
Dan per essequie al tumulo del padre.
Tornano ogni anno à far la stessa pugna,
Line 1 932 ⟶ 1 927:
Potè dar refrigerio al suo dolore.
Tal che se
Il pianto da
Fu,
Il figlio morto suo pianger convenne.
E tanto più, che da la man vittrice
Lagrima
Di pretiosa manna, e di ruggiada.
Non permette però
Che
Manchi la speme anchor di novo stato
À chi da tanto mal salvo si fura.
Enea poi
De gli Dei Frigij sol si prese cura,
Per trovar loro un più felice albergo.
Line 1 954 ⟶ 1 949:
Prende ver maggior gloria il core acceso,
Da la sua patria volontario essiglio.
Fugge dal Tracio mar, che da
Sangue di Polidoro anche è vermiglio;
E
Si lascia à dietro Antandro, e giunge à Delo.
Line 1 966 ⟶ 1 961:
À gli huomini era Re giusto, e leale
Anio pien di bontate, e pien di fede,
Mostrò lor la città famosa, et alma,
E i tempi tanto chiari illustri, e belli,
E
Latona dopo tanti aspri flagelli.
Aiuto per dar fuora i due gemelli.
E mostrò lor quei tronchi, ove
Quando il gemino lume al mondo venne.
E per supplir
E per dar lor di se lodato essempio,
Con gran devotion tornaro al tempio.
E poi che
Hebbe dal ferro pio
Tornar, dove miraro in copia grande
Fumar sopra le mense le vivande.
Poi
E satisfatto al gusto, et al diletto,
E
Anchise verso il Re santo, e gradito
Alzò
E con basso parlar, grave, e severo
Cosi cercò saper
Signor, se la memoria à me non mente,
Dove per tua bontà liberamente,
Come hora fatto habbiam, teco albergai,
E perche gli anni assai dubbio mi fanno,
Vorrei saper da te, se in ciò
Disse crollando il Re
Se ben prudente Anchise il tuo desio
Rinova la mia doglia acerba, et empia,
E stà per farmi far
Non vo restar però, che non adempia
Per compiacer al tuo volere, e al mio.
Da
Hebbi sempre desio di satisfarti.
Con cinque figli già tu mi lasciasti,
Se ben quasi hor mi vedi orbato, e solo:
Che
Ne può dar refrigerio al patrio duolo.
Le figlie, che cotanto mi lodasti,
Come al ciel piacque, andar per
E ti vo dir quel, che di tutto avenne,
E come, e per qual via vestir le penne.
Al figlio,
Da cui
Mostrò
Lo Dio da le più ricche, e illustri chiome.
Ha in guardia anchor lo spiritale honore,
E vi sta con grandezza, e con favore.
Ma le misere mie figlie son quelle,
Che
Carissime
Hebber dal dolce alunno di Sileno.
Hebber da Bacco un don si singulare,
Line 2 044 ⟶ 2 039:
Fe, che ciò, che la lor toccava mano,
À un tratto olio venia, vino, ò frumento.
Se
Trasformar la vedeano in un momento.
E
Fean divenir hor olio, hor vino il fiume.
Toccavan
Quel ben,
E subito prendea forma del frutto
Di Cerere, ò di Palla, ò di Lieo.
Colui, che
Per nutrire il suo campo si consiglia,
Ne ti pensar, che fosse più sicuro
Lo stato mio da lo Spartano sdegno,
Di quel, che si sia stato il Frigio muro,
Anzi drizzò ver me
E inessorabil, pertinace, e duro
Le meste figlie mie tolse al mio regno;
Perche tenesser
Provista al campo
Pur sepper tanto far, che via fuggiro,
E per diverse vie lasciaro il campo:
E sopra
Ma gli sdegnati Achei, che le seguiro,
Tosto smontar sopra
E minacciar di dare à sacco, e à foco,
(Se non rendean le vergine) quel loco.
Sopra Andro (havute lor)
Dove tenea il mio figlio il regio scanno.
Quivi non era Enea, ne
Da trattenergli insino al
Tanto, che
Al debil regno il minacciato danno,
De le sorelle sue rimase privo
Line 2 090 ⟶ 2 085:
Fesser più fida guardia à le mie figlie:
Quando elle alzando gli occhi afflitti, e smorti,
Per non servir
Pregar lo Dio, che lor diè tal virtute,
Che le togliesse à tanta servitute.
Lo Dio, da cui tal dono haveano havuto,
Non mancò lor
Se si chiama però porgere aiuto
Il torre à lor
Subito ogni lor corpo fu veduto
Fuggir per
Volar per
Cangiasser cosi tosto il volto, e
In candide colombe si cangiaro,
E di si rara aventurosa sorte
I lumi già de la celeste corte,
Che primi in oriente si mostraro,
À perder gian verso
Onde andar tutti à ritrovar le piume.
Enea tosto, che
Se
À consigliar con la diurna luce
Dove dovea condur le Frigie squadre.
Risponde à lor del giorno il chiaro Duce,
À la nostra tornate antica madre:
Perche quella provincia è, che
Onde la vostra origine dipende.
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Ma con ricchi presenti il Signor grato
Vuol, che di lui si lodino altrettanto.
Diede ad Enea
Tutto intagliato un ricco nappo
À quel, che guarda al formator del giorno
Il tempio in Delo il diè
Alcon Mileo formollo, e
Di figure mirabili, e diverse.
Una città con forti mura intorno
Mostrò con sette porte Alcon Mileo,
Un solo è de
Ma la turba è diversa, et infinita.
Fuor de le porte cento roghi, e cento
Ardono i corpi Ismeni senza vita.
Alzan le donne il doloroso accento
Per tanti giunti à
Mostran stracciate il crin, percosse il petto,
In mille modi il lor dolente affetto.
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Già venne in Thebe una incurabil peste,
E fu risposto à lei dal fato eterno.
Se
Di dar
De
Due vergini per darsi al Re superno:
Si dian liberamente al sacrificio
Per torre à la città si gran supplicio.
Fra tutte sol due figlie
Fur
Che per salvare i padri, e le matrone,
I giovani Thebani, e le donzelle
Offerser su
Per hostia à le sacrifiche facelle.
E tutto il lor successo acro, et amaro
Mostran
Non gian da donne timide à la morte
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Porgere al crudel ferro il nudo seno.
Uscite poi per le sanguigne porte
Si vedeano portar con pompa al loco,
Dove arder le dovea la pira, e
Ma il gran poter
Che
Hor mentre il foco ardente il vampo aperse,
Per risolver quei corpi in poca terra,
Line 2 193 ⟶ 2 188:
Fer collocar le ceneri materne.
Fur nomati corone, e con
Alcon si belle historie vi distese,
Che
Ogni opra, ogni attion
Il principe Troiano anchor fe parte
De le reliquie Frigie al Re cortese.
Fatta per custodir
Con una coppa regia anchor gli diede
Una corona
E poi di novo al Re comiato chiede,
E ver
Indi per por su
Che di cento città se stessa adorna.
Fa, che
Che tien, che di quel regno Apollo intenda.
Perche di Creta Teucro in Frigia venne,
E
Che fosse Teucro il lor principio, tenne,
Poi che Teucri da lui nomati furo.
Però ver Creta fe drizzar
Che, interpretando mal quel senso oscuro,
Creta stimò la lor antica madre,
Line 2 221 ⟶ 2 216:
Dardano havea di già posto in oblio,
Che pria
E de
Quando à la patria lor mandar gli volse.
In Creta andar, ma
Con tanta peste à perseguirgli tolse,
Che fur costretti andar
À cercar nova patria, e nova terra.
Pensar poi meglio, e ritrovaro il vero
Esser
E fer tosto drizzar ogni nocchiero
Ver la terra fatal felice, e amica.
Ma il vento, e
E preser con travaglio, e con fatica
De le Strofadi infami il crudo porto,
Dove fer
Fuggir poi de
E cercando per mar nova ventura,
Lasciar Dulichio à dietro, Itaca, e Same,
Per cui fecer gli Dei si gran certame.
E nel passar di pietra alpestre, e dura
Quel giudice in quel loco ritrovaro,
Che per
Vider (lasciato il sen
Le selve Dodonee poco discoste,
Che dava in una quercia le risposte,
Dapoi con
Vider nel costeggiar
Dove i figli vestir del Re Molosso,
Per
Disprezza il popol Frigio
E và ver dove il novo affetto il tira,
E passa, mentre aspira à
In mezzo fra Butroto, e fra Corcira.
Giunge al fine in Sicilia, ove si sente
Di Scilla, e di Cariddi il grido, e
E in quella patria Enea vuol, che si smonti,
Che fiancheggiata in mar vien da tre monti.
Per far quel regno intrepido, e sicuro
À guardar Lilibeo
Ver donde rende
Mostra Pachino à
Contra il soffio di Borea horrendo, e duro
Peloro il guardo horribil tien rivolto.
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Dal mar, dal vento, e dal nemico sdegno.
Qui ne
Diè fondo il buon nocchiero afflitto, e stanco,
Et à
Di Cariddi il furor dal lato manco.
Freme dal destro Scilla iniqua, e rea,
Vergine il volto, e cagna il ventre, e
Fu già vergine tutta, e fu divisa
In cagna, et in donzella in questa guisa.
Fu ne la prima età si vaga, e bella
Che
Chi per amante, e chi per moglie havella
Cercò, ma
E come vana, e semplice donzella
À le Ninfe
E lor contava le parole, e i pianti
De gli scherniti suoi sposi, et amanti.
Line 2 295 ⟶ 2 290:
À cui solea la tanto amata Scilla
Contar gli altrui mal collocati amori
Di quei,
Un giorno à Galathea, che in grembo à fiori
E poi
Fe sentir Galathea questo lamento.
Beata te, cui sol gentili spirti
Per la tua gran beltà
Senza haverne à temer danno, ò disnore.
Misera me,
Pieni
Il più fervente in me locar desio
Per far
E se ben le fatali etheree stelle
Fer la Nereide mia formar figura
Da Nereo, e Dori, e tante hebbi sorelle,
Fuggir però da
Voglie
Non potei senza un danno estremo, e intanto
Le tolse la favella il troppo pianto.
Line 2 323 ⟶ 2 318:
Le dà conforto, e le rasciuga i lumi,
E soccorre il suo mal di qualche aita.
Deh non lasciar, che
Ma scopri il mal,
Che da
Havrai fido consiglio, e più conforto.
Poi
E placò in parte il duol, che la trafisse:
La Dea del mare alzò verso la figlia
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Prender punto non dei di maraviglia,
Che in lagrime il mio duol si convertisse;
Che quando la cagion
Ti maraviglierai,
Simetide arricchì
Pur dianzi, che
Bello, leggiadro, amabile, e giocondo,
Fra i più lodati spirti il più lodato.
Questi à me sola il cor diede, secondo,
Piacque al mio buono in
E
Al fin mi strinse à
Aci il nomaro, e dal suo nascimento
Sedici volte, e
Cominciava à fiorir del primo pelo.
Non si potea trovar gioia, e contento
Maggior nel centro immobile del cielo.
Del pari era
È ver,
Mentre io godea si dolce stato, occorse
Per sempiterno mio pianto, e sciagura,
E preso fu da
Io ti so dir (
De la deforme lor parlar figura)
Che quella, che
Fu tal,
Era grande il fellone à par
Non che le braccia, i diti parean travi.
I peli de la barba, e de
Chiome pareano gommone di navi.
Pur se ben membra havea si immense, e gravi,
Sì lunge ne
Questi bramò di me farsi consorte,
Per gravare il mio cor
Io
Ma per lo gran timor no
Hor se da me saper brami per sorte
De
Qual fu di più poter dentro al mio core,
Sappi,
Ó quanto è il tuo potere alto, e stupendo
Amor, (chi
Un,
Che fa
Che sprezza il ciel
Te sente, Amor, con disusato essempio.
E per servire à la tua santa legge,
Gli antri abbandona, e
E per mostrarsi gratioso, e bello,
Pettina, et orna il suo rozzo capello,
E netta con la vanga il crudo dente.
Recide con la falce al mento il vello,
Poi corre à
E stà quivi à specchiarsi intento, e fiso,
Per comporsi la barba, il crine, e
Del sangue, e de la morte empia la sete
Line 2 404 ⟶ 2 399:
Le navi passan via sicure, e liete
Senza haver più di lui noia, ò sospetto.
Hor mentre preso à
Pensa à quel, che da me brama diletto,
Telemo à lui predice il suo destino,
Questo saggio indovin, dotto, et esperto
Che mai
Disse. Ho veduto, ò Polifemo, aperto
Quel,
Guardati pur,
Giungendo à caso à te dal lido Greco
De
Ben tu sei quello, (il mostro al mago disse)
Che più ne
Sia pur quel cavalier
E per cercarmi in mar batta le piume;
Che quando in questo punto anchor venisse,
Hor come vuoi,
Se
Schernisce
Movendo và per la marina arena,
E discorrendo va
Qualche rimedio à
À dar riposo à
E fagli, ovunque và,
Sempre haver me ne
Un monte lunge in mar tanto si stende,
Che quasi
Il fiero innamorato un dì
Per volervi passar parte del giorno.
Il gregge, se ben cura ei non ne prende,
Va seco, e presso al suo pasce soggiorno.
E giunge mentre ne la costa ei siede,
Quasi al giogo
Posato il pin, che suol guidar
Comincia à far sonar quello stormento,
Che à lato havea di perforata trave;
La fistula dà fuor
Più tosto strepitoso, che soave;
E da lo stral
Col canto al dolce suon fa contrapunto.
Fu
E Lilibeo, Pachino, Etna, e Peloro
Quel canto udì,
Et io,
Il volto havea con mio sommo diletto,
E queste
Lo splendor de le rose, e
Mentre si stan nel più felice stato,
Passan le guance tue vaghe, et illustri
La tua fiorita età, sol di tre lustri,
Sembra
Quanto di ben fra noi può dare il mondo,
Tanto
Promette altrui la tua benigna fronte,
Che tu sei
Non men di quel, che suole essere il fonte,
Le vaghe luci tue non son men pronte
Con lo splendor,
A promettere altrui gioia, e mercede,
Riposo, humanità, concordia, e fede.
Ma ricercando poi le parti ascose,
Invece de i ligustri, e de le rose,
Ogni herba vi si trova aspra, e pungente,
Ortiche, spine, et herbe velenose.
E se promette il volto esser clemente,
Ne porge il rio pensier,
Noia, pianto, discordia, e finto amore.
Deh fa, che in te pietà regni, e risponda
À
E poi che
Scaccia dal cor le parti inique, e felle.
E non fuggir da me ne la salsa onda,
À ritrovar tua madre, e tue sorelle.
Ne contra il tuo voler mai gir potrei.
Io credo ben, se tu de
Sapessi in parte almen, se non in tutto,
Che non havresti il cor ver me si rio,
Ne
Ne sol faresti il cor benigno, e pio,
E ti dorria del mio lamento, e lutto;
Line 2 508 ⟶ 2 503:
Di farti à Polifemo amica, ò sposa.
Gli antri capaci miei
Han si ben posto il lor ricetto interno,
Che non hanno à temer gli ardori estivi,
Ne men posson sentir
Forse che i campi miei son scarsi, e privi
Che i rami romper fan, tanto son gravi.
In copia attendon te
Del bello aureo color liete, e gioconde,
Mostran de altre uve anchor le scorze oscure,
Potrai veder fra
Le fraghe rosseggiar fra verdi fronde.
E per serbarle à la tua bianca mano,
Io fo guardarle, e starne ognun lontano.
Se ben la siepe
Ogni horto ha il suo custode, e
Di peri, e pomi, e frutti
Abonda ogni mio campo, ogni giardino.
Tommi pur per amante, ò per consorte,
Line 2 535 ⟶ 2 530:
La tua candida man brama, et attende.
Se vuoi veder,
Di quel, che detto
Pon mente à queste gregge, à cui permetto,
Che pascan queste valli, e queste coste.
Quante
Per gli antri, e per le selve stan nascoste.
Ne il numero saprei mai dirne intero,
Line 2 545 ⟶ 2 540:
È da persona povera, e mendica
Le capre haver per numero, e
Vieni à veder da te senza
Quanto sian grasse, e ben formate, e belle.
Che par che portar possano à fatica
Le copiose, e tumide mammelle.
I parti lor più teneri, e gentili,
Si stanno anchor
Fra i molli latticinij io mi confondo,
Tanti, e si freschi
Se del latte indurato in copia abondo,
Ne fan le gregge fè,
Deh lieva il viso homai grato, e giocondo
Fuor del paterno tuo marin soggiorno,
E vienne à me, che di buon cor ti chiamo,
E
Forse sol doni havrai da me vulgari,
Ó lepri, ò caprij, ò pargoletti augelli
Di presenti comuni, et ordinari:
Ben vorrò,
Ma vorrò anchor di doni illustri, e rari
Contentar gli occhi tuoi lucenti, e belli.
Cacciare à questi giorni
E con la vita à lei due figli tolsi.
Fatta la madre lor de
E visti, e presi i suoi teneri figli,
Dissi, vò serbar questi à la mia diva,
E pregar lei, che in don da me gli pigli.
La loro età
Che nuocano ò
Ne di scherzar si veggon mai satolli,
Tanto son dolci, buffoncini, e folli.
Deh quel volto gentil, che
Discopri alquanto al mio cupido sguardo:
E con le voglie al mio voler seconde,
Il buono amore accetta,
Pur
Ne mi trovai men bello, che gagliardo.
Mi rallegrai, mirandomi ne
Tanto del corpo mio
Riguarda quanto io sia robusto, e quanto
Line 2 595 ⟶ 2 590:
Voi dite pur, che porta il regio manto,
Non so che Giove in ciel fra gli altri Divi.
Riguarda il crine, e
Quanta dan gratia al capo, al tergo, e al volto.
Ne ti pensar, che
Che copre il corpo mio tutto
Mi renda men spettabile, e men bello,
Anzi mi fa più nobile, e più adorno.
Deforme senza piume appar
E quando il Sol viene à far breve il giorno,
Ogni arbor secco appar, che
Restar de le sue foglie il face ignudo.
E ben, che solo sia, mi val per cento,
Tanto il suo giro, e sguardo oltre si stende.
E lo Dio,
Vede, e
Discerne pur da
Aggiungi à tanto ben, che
Del vostro immenso mar possiede il regno;
E vedi ben, se cedi al mio desio,
Quanto il socero havrai superbo, e degno.
Deh mostra il cor ver me benigno, e pio,
Ver me,
Io pur son quel,
E sprezzo Giove, il folgore, e
Certo io non ti sarei tanto importuno,
Vedrei di raffrenare il troppo affetto,
Se tu spregiassi parimente
Ma, perche scacci il figlio di Nettuno,
Et Aci inviti al coniugal diletto?
Perche,
Et Aci, chiami dopo, Aci accarezzi?
Hor goda Aci di te, solo à te piaccia,
Che vegga, che
À la grandezza mia ben si conface.
Per tormi ogni mio bene, ogni mia pace
Vò trargli
E à questi campi, e al mar dar la sua carne.
Deh moviti à pietà, mia diva, un poco,
Ahi, che di tanto ardore il petto ho pieno,
Che par, che
Sia stato trasportato entro al mio seno.
Deh lascia il mar ceruleo, e
E mostra il volto al ciel chiaro, e sereno.
Ma tu con Aci tuo forse ti stai,
Line 2 654 ⟶ 2 649:
Irato in questo altrove il camin prende,
E la voce, e i sospiri alza di sorte,
Che
Ma quello anchor de la celeste corte.
Tal se
E cede la giuvenca al bue più forte,
Il mondo
Mentre il Ciclopo rio scorre la costa,
Da
Ver dove io mi giacea molto discosta,
Viene à girar la luce empia, e superba,
E vede me,
In grembo ad Aci mio, fra fiori, e
Ben la sua voce allhor cruda, et altera
Passò, per quel,
Tremò per troppo horrore Etna, e Tifeo
Fece maggior la fiamma uscir del monte.
E Pachino, e Peloro, e Lilibeo
Quasi attuffar nel mar
Cadde il martel di man nel monte Etneo
Al Re di Lenno, à Sterope, et à Bronte.
Line 2 680 ⟶ 2 675:
Vi veggio, risonò con mesto accento,
Ma vò, che questo
Sia, che vi doni Venere, e Cupido.
Io, che
Fuggo, e
Aci,
Fugge
Datemi (egli dicea) datemi aiuto,
Voi miei parenti, e tu fida compagna,
Si
À la cerulea, e liquida campagna.
Presa in tanto il crudel, per darlo à Pluto
La cima in braccio havea
E tutto à
Scagliò ver
Ben
Ferisse
Fu per eterno mio pianto, e cordoglio
Tutto in un tempo morto, e sotterrato.
Io,
Fo
À la coperta sua sanguigna scorza
Prender de
Purpureo il sangue uscir de la gran pietra
Si vede, e larga ogni hor crescer la vena.
Indi si cangia, e quel colore impetra,
Che
Lascia poi
E divien bella, lucida, e serena.
Quella pietra io percossi, ella
E
Nel mezzo de la bocca il fonte bolle,
E intorno tuttavia cresce, e
La canna intanto, e
E fa la sponda sua più illustre, e vaga.
Poi dove à
E corre mormorando ogni hora al chino
Per far con
Un bel giovane intanto in mezzo al fonte
Io veggio insino al petto apparir fuore,
Di maestà ripiena, e di splendore.
Io riconobbi à le fattezze conte
Line 2 734 ⟶ 2 729:
Dapoi, che fatto son per tua mercede,
Mi disse,
Ti prego, che lo stesso amore, e fede
Tu serbi Galatea verso il mio Nume.
Dapoi,
Ascose entro al suo fonte il divin lume,
E mandò al mar le nove ondose some,
E
Si che tu Scilla puoi ben contentarti,
Dapoi che fa da tali huomini amarti,
Che
E se pur vuoi dal loro amor ritrarti,
Non però alcuno al tuo veder
Come fece Ciclopo empio, e tiranno,
Che fe quel, che potè per farmi danno.
Giunta la Ninfa à questo punto prende
Comiato, e in mezzo al mar salta, e
Scilla restando, in alto i lumi intende,
E vede,
Come ei finisce il nuoto, e in terra scende,
E vede le bellezze alme, e gioconde,
Subito
Felice lei, se Galatea quel giorno
Lei non havesse tanto trattenuta,
Che
Forse che non
Ne tal seguito à lei ne saria scorno,
Di vestirsi
À Glauco piacque il suo volto divino,
Che fu pur dianzi Dio fatto marino.
Che più puote ad udir fermare altrui,
Glauco le scopre il suo amoroso intento,
E tutti ad uno ad uno i pregi sui.
Non ode ella i suoi merti, e
Ma fugge più, che può, lontan da lui.
Sopra un ripido monte al fine ascende,
Che molto dentro in mar
Glauco, che crede,
Il piè, perche più tosto ami la morte,
Più tosto darsi à la marina rabbia,
Che consentir di farsi à lui consorte,
Di
Resta, e lontan da lei parla di sorte,
Quel, che lo Dio del mare espone, e spiega.
Line 2 790 ⟶ 2 785:
Ne sà, se la biforme sua figura
Sia mostro, over Nume immortale, e santo,
E pure il brama udir, ne
E mentre ei
Con
E stà maravigliata, e parle strano
Vedergli i piè di pesce, e
Ó vergine, le dice, unica al mondo
Glauco non mi tener portento, ò mostro;
Se ben
Ne men di Proteo, e di Tritone abondo
Fui ben mortal nel mondo un tempo
E ti vò dir, come divenni Dio.
Io nacqui già ne
E mentre
Ó fei con gli hami à pesci eterna guerra,
Ó lor con reti il mar cinsi
Vicino al mare un bel prato si serra
Ma
Fra il prato, e
Non havea falce, ò man secata, ò colta,
Ne agnello humil pasciuta, ò altero toro;
Ne
Havea per darla al pubblico lavoro.
Io fui colui, che pria
Mentre le reti al Sol lì dentro tesi.
Per scegliere, come usa
Le varie prede mie di sorte in sorte,
Quei pesci un dì versai su
Che presa havea la maglia unita, e forte,
E quei, che troppo havean creduto à
Che vi trovar la non pensata morte.
Hor si grande stupor vò farti aperto,
Che ti parrà,
Tosto che
Già de la vita in tutto ignudo, e privo,
E che venne à toccar
Non passò
Mentre io stupisco, come habbia acquistato
Lo spirito informante, e sensitivo,
À guisa
E
Come veggiam talhor gli aerei augelli
Da terra insieme uniti il volo alzare,
Et in battaglia andar veloci, e snelli,
E dove posa
Cosi gli uniti pesci, come quelli,
Volar sopra la siepe, che circonda
Il prato, e
Tal
Mi parve si stupendo il caso, e strano,
Che per uscire io fui de
E pensai
Se fosse qualche Dio di tanto effetto
Stato cagione, ò
Prendo
E fonne al dente far saggio
Passato era de
Per quel, che ne la gola habbiam condutto,
Per lo qual suol del prandio, e de la cena
Il cupido mortal gustare il frutto:
Che natura cangiar mi fe del tutto.
E subito sentij dentro al cor mio
Line 2 869 ⟶ 2 864:
Ne molto resistenza al novo instinto
Io potei far, che da
Anzi da lui signoreggiato, e vinto
Hebbi in odio la terra, e
E dal nuovo desio spronato, e spinto
Saltai la siepe, e
Dove à gli Dei, che
Parve di farmi lor compagno eterno.
Pregar Theti, Nettuno, e
Che quel mortal,
Dileguato restar fessero, e vano,
Perche il volto divin mi fesse adorno.
Line 2 887 ⟶ 2 882:
Dapoi che cento mari, e cento fiumi
Cadder
E
Cantaro nove volte i sacri carmi;
Subito dentro, e fuor sentij cangiarmi,
E mi dier queste,
Ma per qual modo, e via, non mi rimembra.
Basta, che
Di pormi in mar fra i suoi beati, e fidi.
E questa verde, e lunga barba al mento,
Line 2 905 ⟶ 2 900:
Ma che mi giova, oime, se in mar mi prezza
Tanto Nettuno, e
E tenuto esser Dio di tanta altezza,
Fra gli altri Dei del mar tranquilli, e lieti?
Se
Deh cedi homai donzella al mio desio,
Che ti farai nel mar consorte un Dio.
Tosto, che marin Nume ella il comprende,
Non pensa più gittarsi in mezzo à
Ne di salvarsi in quella parte intende,
Dove quel Dio di più potenza abonda.
Però per terra
Accio che
Lo Dio, per non noiarla arresta il piede,
E novo à tanto mal rimedio chiede.
Fra Partenope, e
À Gaeta vicin fea già soggiorno
Circe, una maga accorta, e singulare,
Che nacque de lo Dio,
Fer, che Glauco ver lei rivolse il corso,
Per havere al suo mal qualche soccorso.
</poem>
[[en:Metamorphoses/Book XIII]]
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