La Tebaide/Libro secondo: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Conversione intestazione / correzione capitolo by Alebot |
Correzione pagina via bot |
||
Riga 1:
{{Qualità|avz=75%|data=22 maggio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Libro secondo|prec=../Libro primo|succ=../Libro terzo}}
<center>''ETEOCLE RICUSA DI OSSERVAR I PATTI''</center><br/>
<poem>
Il veloce di Maia alato figlio
tornava intanto da le
eseguito di Giove il gran decreto.
Fangli ritardo al piè, ritardo al volo
{{R|5}}le dense nubi e
nè lo portano i Zeffiri volanti,
ma di quel muto ciel
gli attraversan le strade i fiumi ardenti,
e Stige rea, che nove campi cinge.
Line 24 ⟶ 19:
lo primo sdegno de le Furie ultrici;
{{R|15}}pur va, ed appoggia a debil legno il fianco.
Ne stupiscono
Ma il livor, che in se stesso i denti volge,
{{R|20}}turba gli spirti ancor privi di luce,
e del suo rio velen tutti
ed un fra gli altri, cui vivendo increbbe
de
nè può patir che Laio ora sen torni
{{R|25}}a vagheggiar la luce, i sensi amari
Line 39 ⟶ 34:
O così Giove il voglia, o te rimeni
{{R|30}}Tesifone crudele infra i mortali,
o te richiami da
Tessala maga con la bocca immonda.
Tu pur vedrai del sole e de le stelle
Line 45 ⟶ 40:
{{R|35}}e i puri fonti e i cristallini fiumi:
tanto misera più, quanto fra noi
hai da tornar ne le
Sentilli intanto Cerbero, e rizzossi,
e le tre bocche aprendo e le tre gole
{{R|40}}orrende, mandò fuori urli e latrati.
Già prima ancora minacciando stava
ma con la fatal verga in Lete immersa
toccollo il Nume, e de le orrende fronti
{{R|45}}in grave sonno le sei luci chiuse.
È un monte ne
il capo di Malea, Tenaro detto,
sublime sì che non vi giunge il guardo:
Line 63 ⟶ 58:
su lui prendon riposo e fan soggiorno:
giunger ben ponno a la metà del monte
{{R|55}}le oscure nubi, ma a
salir non può presto volar di penne,
nè i rauchi tuoni o le saette ardenti:
ma là, dove
curva in arco gli scogli, e un porto forma.
{{R|60}}Ivi quando a la sera il dì
e del monte nel mar
scende Nettun dal carro, e i destrier scioglie.
Hanno i destrier la fronte e il largo petto
qual hanno i nostri, e il deretano è pesce.
{{R|65}}In cotal luogo antica fama suona,
che
per cui le
scendon dolenti a le tartaree porte,
il regno a popolar del nero Giove.
{{R|70}}E se diam fede agli arcadi coloni,
suonan per molte miglia i campi intorno
Sovente udite fur nel pieno giorno
le voci de
{{R|75}}e le sferze e i flagelli, ed i latrati
del Can trifauce; onde lasciaro inculti
Line 89 ⟶ 84:
tra la densa caligine ritorna
{{R|80}}al chiaro giorno, e giù dal crin scotendo
Indi alto va su le cittadi e i campi
verso
che a mezzo del cammin Cintia risplende.
{{R|85}}Il Sonno intanto de la Notte il carro
guidava e i destrier foschi; e
il nume, alzossi ed onorollo, e torse
dal cammin dritto, a lui cedendo il passo.
Vola più sotto del Tebano
{{R|90}}e rivagheggia le perdute stelle,
il patrio cielo e il suo terren natio.
Line 103 ⟶ 98:
e Focida di Laio ancor aspersa
del fresco sangue, erano giunti a Tebe.
{{R|95}}Fremè
ma
pender da le colonne, e il carro,
ucciso fu, tutto sanguigno e lordo,
{{R|100}}poco mancò che non volgesse il piede,
non curato di Giove il sommo impero,
e
Ricorreva in quel tempo il dì festivo
segnato già dal fulmine di Giove,
Line 117 ⟶ 112:
tratto, e riposto nel paterno fianco
a terminar di nove lune il corso.
Perciò passata avean
{{R|110}}senza dormire i popoli feroci
che vennero da Tiro, e in feste e in giuochi
sparsi
cinti
le tazze e i vasi del miglior Lieo,
{{R|115}}gían esalando su la nuova luce
da
bossi, e di bronzo i timpani sonanti:
e il Nume, il Nume stesso iva cacciando
{{R|120}}le non feroci donne in su
le mani armate
Siccome là sul Rodope gelato
i crudi Traci a fier convito uniti
di semivive carni e de le prede
{{R|125}}tratte di bocca
pascon la dura fame; e il puro latte
condisce in parte il sanguinoso pasto,
e di lor mense è sol delizia e lusso;
se del teban liquor senton a caso
{{R|130}}
lanciansi e tazze e vasi, e alfin le pietre,
e poi di sangue ancor stillanti e molli
tornano a desco a rinnovar le feste:
Tal fu la notte
{{R|135}}
Invisibili entrâr per
ove il signor de
alto giacea sovra i tappeti assiri
{{R|140}}de
Ei le mense ha dinanzi, e dorme e posa,
e
{{R|145}}e
e la sua lunga barba e il suo pallore
veri ritiene:
ed è vana la voce; e pur ei sembra,
{{R|150}}che la man stenda, e con la sacra verga
gli tocchi
- Tu dormi, o Re? Ma non è questo il tempo
di riposar su
senza sospetto aver del tuo germano.
{{R|155}}Gran nembo ti sovrasta, e gravi cure
te richiaman dal sonno; e neghittoso
ten stai, come nocchier che
commosso intorno da rabbiosi venti,
lasci
{{R|160}}Ma già non dorme il tuo fratel, superbo
per nuove nozze; e (come fama suona)
Line 173 ⟶ 168:
per non renderlo poi, ritoglier pensa,
ed invecchiar ne la natia sua corte.
{{R|165}}La dote
gli aggiungon forza; e seco unito è in lega
Tideo macchiato del fraterno sangue.
Giove, di te mosso a pietà, da
a te mi manda: Egli per me
{{R|170}}che
escluder tenta, tu dal regno escluda,
e renda vani i suoi pensier funesti,
e
Tu non soffrir che ad Argo ed a Micene
{{R|175}}serva divenga la guerriera Tebe. -
Disse; e perchè già la novella luce
a
lascia, e del crin le simulate bende
spoglia, e al nipote manifesta
{{R|180}}poi sovra il letto se gli stende, e aperta
mostra
del sangue, che non ha, tutto ricopre.
Quegli allor lascia il sonno, e in terra sbalza
da
{{R|185}}e
orror de
Come
la tigre arruffa la macchiata pelle,
apre le irate fauci, e
{{R|190}}e a battaglia
nel folto stuolo, e vivo uno ne prende,
ed alto il porta a satollar la fame
{{R|195}}e col fratello in suo pensier guerreggia.
Ma già lasciando di Titone il letto
sorgea
giù stillava rugiade, e rosseggiante
{{R|200}}era, ed accesa dal vicino Sole.
Dinanzi a lei Lucifero il destriero
in tarda fuga volge, e tardi spegne
la vaga face, e
perfin che Febo, il gran signor
{{R|205}}rischiari il mondo e la germana oscuri.
A lo spuntar del dì lascian le piume
il vecchio Adrasto ed il teban guerriero
e
e
{{R|210}}da tutto il corno su gli eroi stranieri
versata a piena man
Ma
gli augurii e i Numi e
qual sia il destin
{{R|215}}breve goduta avea pace e riposo.
Giunti che furo del real palagio
Line 233 ⟶ 228:
- Certo non senza de gli Dei mistero,
giovani eccelsi, vi guidò la notte
{{R|225}}entro
e i fulmini di Giove. Apollo istesso,
Apollo a i tetti miei drizzovvi il passo.
A voi,
è noto già con quanti studi e voti
{{R|230}}stuolo
chiedano de le figlie. (A me due figlie
crescon sotto felice ed ugual stella
Quale modestia in lor, qual sia beltade,
{{R|235}}voi vel vedeste; non si creda al padre.
Line 251 ⟶ 246:
a la sua figlia, nè il pisan crudele
tanti ne uccise co i cavai veloci.
Ma
che i generi io mi scelga; e a voi destina
{{R|245}}con
le dolci figlie, e questo trono e il regno.
Sien grazie a i Numi: io pur vi veggio quali
Line 261 ⟶ 256:
e questa è al sangue vostro alta mercede. -
Qui tacque Adrasto; e si miraro in viso
i guerrier, quasi
ceder de la risposta il primo onore.
{{R|255}}Ma Tideo impazïente alfin proruppe:
Line 267 ⟶ 262:
buon re, de le tue lodi! O quanto vinci
con la virtù la tua fortuna! Adrasto
a chi cede
{{R|260}}è omai che tu dal tuo primiero soglio
di Sicïon fosti chiamato, i rozzi
costumi a raddolcir
Ed oh così in tua man Giove ponesse
quanto
{{R|265}}di qua, di là con due diversi mari!
Non fuggirebbe da Micene il sole,
per non veder le scelerate mense;
nè gemerebbe la campagna elea
sotto i sanguigni carri; e
{{R|270}}non turberian più regni: e ben lo prova
or Polinice, e a gran ragion sen duole.
Noi accettiamo il dono, e tu disponi,
buon Re, di noi, chè ne fia legge il cenno.
Così
{{R|275}}- E chi può ricusar suocero Adrasto?
Noi, quantunque
Venere renda, in te posiam le cure,
e le sgombriamo da gli afflitti petti,
Line 293 ⟶ 288:
in tua corte passar quanto ne avanza
di vita, e in te ripor le nostre sorti. -
{{R|285}} Sorsero allora, e
rinnovò i giuramenti e le promesse
di ricondurli ne i paterni regni.
si sparge de i due generi novelli;
{{R|290}}che a
Deifile non men vaga e vezzosa,
già mature a i legitimi imenei.
Line 305 ⟶ 300:
{{R|295}}e prossimi e rimoti, oltre le selve
di Licia e di Partenia, e là ne i campi
de
la Dea maligna ne
e di sè tutta la riempie intorno.
{{R|300}}Narra gli ospizi, i giuramenti, i patti,
Line 316 ⟶ 311:
Ma già risplende in Argo il dì festivo
destinato a le nozze: i regii tetti
Bello è il veder le immagini de gli avi
{{R|310}}spirar ne i bronzi tanto al ver simíli,
che
Inaco re con le due corna in fronte
mirasi in fianco riposar su
seguono appresso lui Jaso canuto,
{{R|315}}e Foroneo legislatore, e il forte
guerriero Abante; e Acrisio ancor sdegnoso
col ferro in pugno, de la fiera uccisa
alto portando il formidabil teschio;
{{R|320}}e la torva di Danao austera immago,
che sta pensosa ancor sul gran delitto;
poscia
il vulgo, e tutto il gran palagio inonda.
Ma i senator ne i gradi lor distinti,
{{R|325}}chi presso e chi lontano al Re fan cerchio.
Dentro risuonan le più interne celle
di femminil tumulto, e
ardon
Fanno
{{R|330}}casta corona le matrone argive;
e alcuna de le vergini pudiche
rassicura il timore, e le dispone
a le leggi e a i dover de
Esse sen vanno e
{{R|335}}ragguardevoli in vista e maestose,
di modesto rossor tinte le gote,
con gli occhi a terra chini; e sol le turba
di lor verginità
e del loro pudor la prima colpa.
{{R|340}}Scendon
quasi rugiada ad irrigarne i seni.
Il genitor sel vede, e sen compiace.
Line 355 ⟶ 350:
{{R|345}}ambe in volto feroci, i biondi crini
dietro del capo in vago nodo attorti:
guida le vaghe sue leggiadre Ninfe;
se tu le miri (se mirarle lice),
{{R|350}}non sai quale più onori, o quale appaia
più vaga, o qual sia più di grazie adorna;
e se tra lor con egual cambio
volessero mutar, ben converrebbe
a Palla la faretra, a Cintia
{{R|355}} Intanto il popol
ciascun secondo il suo potere, a i Numi
fan sacrifici: altri di grassi tori,
altri
nè son graditi men,
{{R|360}}
(così volea la Parca) il lieto giorno
turba, e tutto
Givan al tempio le due vaghe spose,
fra lieta turba e mille faci ardenti,
{{R|365}}de la casta Minerva, a cui Larissa
più grata è assai
Ivi solean le verginelle argive,
destinate a le nozze, a la gran Dea
le primizie libar de i vaghi crini,
{{R|370}}e scusa far
Ora mentre salian lieti e festivi
per gli alti gradi al tempio, il grave scudo
de
giù
{{R|375}}e le faci e le tede e il sacro fuoco
del tutto spense; e rauco suon di tromba
da i sotterranei uscì, che di spavento
Tutti guardano il Re, che non dà segno
{{R|380}}di tema; allor
nega
ma lo riserba in mente, e sen discorre
per tutto, ed il terror cresce parlando.
Ma che stupor? Se dal tuo collo pende
{{R|385}}il fatale
dono del tuo consorte, o bella Argia?
Lungo, ma noto è
de
tutta narrarne la dolente istoria.
{{R|390}}Dacchè Vulcan ne la nascosa rete
prese
nè però vide a sè cessar lo scorno,
nè le insidie di Marte; ei si dispose
in sembianza di dono a far vendetta
{{R|395}}ne
Impiegò tosto nel feral lavoro
i suoi Ciclopi e i tre Telchini infami,
ed ei più
ei
{{R|400}}
gli occhi maligni, e il cener su
avanzato de i fulmini celesti,
e de i dragon le squamme, e
{{R|405}}de i pomi de
del reo monton di Frisso, e varie pesti,
e del crin di Megera il maggior serpe,
e del venereo cinto il reo potere;
e con
{{R|410}}temprò il fatal monile, e lo cosperse
tutto
Non fur presenti Pasitea gentile,
nè le minor sorelle, nè il diletto,
nè
{{R|415}}il dolor, la discordia a
porsero aiuto, e
Prima fu Harmonia a risentirne il danno,
chè il serpeggiante suo vecchio marito
per
{{R|420}}mutata in biscia, e sibilando duolsi.
Semele poi se
che venne a lei
Questa in sembianza
te pur fregiò, Giocasta: ed a qual letto,
{{R|425}}misera! A quali nozze? Indi
ne provaro il veleno: ora nel petto
splende
de la germana il parco culto eccede.
Ma del Vate,
{{R|430}}
tosto
di possedere
Che giova a lei
con
{{R|435}}Oh quanti lutti a sè prepara! Degni
inver di lei; ma
in che peccò? Qual
Poichè dodici volte ebbe fugate
dal ciel le stelle la vermiglia Aurora,
{{R|440}}a le reali feste ed a i conviti
fu posto fine. Polinice allora
volse il pensiero a
e al patrio regno. A lui ritorna in mente
il dì che la Fortuna alzò il fratello
{{R|445}}a
privato e in odio
vide fuggirsi i poco fidi amici.
Sol la minor sorella in su
soglie seguillo ed abbracciollo; ed egli
{{R|450}}per soverchio furor rattenne il pianto.
Or
o spunti in cielo il sole, o
quali del suo partir restâr giulivi,
e quai dolenti, e
{{R|455}}del superbo germano: il cuor gli rode
vendetta e sdegno, e
il maggior, la speranza e lunga e incerta.
Da tai cure agitato, egli risolve
tornar (segua che puote) a la natia
{{R|460}}Dirce e a i Beozi campi, e su
trono di Cadmo, che il fratel gli nega.
Siccome toro, che guidò
gran tempo, dal rival vinto e fugato
lungi dal natio pasco e da
{{R|465}}giovenca, mugge dal profondo petto,
e disdegnoso sprezza il fonte e
se le piaghe risana, e il muscoloso
petto rinfranca, e il vigor nuovo acquista,
torna superbo a miglior pugna accinto
{{R|470}}al prato antico ed al primiero amore;
sparge col piè
lo teme il vincitor; restan confusi,
e
non altrimenti il giovane tebano
{{R|475}}medita nel suo cuor
Ma ben
qual ei volgesse in sè consiglio occulto;
e in mezzo a i casti mattutini amplessi
tra mille baci, a lui piangendo disse:
{{R|480}}- Quali moti, Signor? Che fuga è questa
che ordisci? Non
i sospiri, i lamenti e
sonni i disegni tuoi mi fan palesi.
O quante volte, o quante io le man stendo,
{{R|485}}e sento il cuore palpitarti in petto,
ed il viso talor di pianto molle!
A me non preme
di nostre nozze, nè che tu mi lasci
vedova e sola in giovanetta etade;
{{R|490}}quantunque è in me
e
a me, dolce mio sposo, a me sol preme
la tua salvezza. E disarmato e solo
tu dunque andrai
{{R|495}}E se
fuggirai tu da la tua Ogigia Tebe?
Ahi che la Fama, che più i Regi osserva,
narra di lui
per
{{R|500}}finito
Io temo e tremo, e accrescono il terrore
le fatidiche voci, e le interiora
de le vittime infauste e i Numi irati,
e il volo de gli augelli e i tristi sogni;
{{R|505}}ah che giammai non
qualor Giuno
misero? Se pur te segreto amore
e un suocero miglior non chiama a Tebe! -
Line 522 ⟶ 517:
tempronne il duolo e rasciugonne il pianto.
- Deh sgombra, anima mia, sgombra il timore
(disse), e confida:
{{R|515}}saran propizi, e a le dolenti notti
succederà più
non convengono ancora: il sommo Giove
sa qual fine si debba a giusta impresa,
{{R|520}}se Astrea pur è lassuso, e
quaggiù le cose e vuol che
Verrà (o
che salirai col tuo consorte in trono,
e andrai di due città donna e regina. -
{{R|525}}Qui tacque, e abbandonò le amiche piume:
poi con Tideo
e de le cure sue fido compagno:
(cotanto amor dopo la pugna e
era nato fra lor), e al vecchio Adrasto
{{R|530}}chiese dolente il già promesso aiuto.
Line 542 ⟶ 537:
e diversi pareri, alfine sembra
il partito miglior che alcun si mandi,
che
{{R|535}}ad Eteocle chieda, e tenti prima
le pacifiche vie del suo ritorno.
Line 552 ⟶ 547:
Quanto pianse e pregò per ritenerti?
Ma del padre il voler, ma la pietade
de la germana e
{{R|545}}che i messaggi assicura, alfin la vinse.
aspri cammin per cupe selve e colli,
là dove ferve la lernea palude
{{R|550}}per gli arsi capi da
e dove in la nemea valle non
indi era giunto a le corintie spiagge
esposte al soffio orïental
{{R|555}}ed al porto di Sisifo; e là dove
il Lecheo palemonio il mare affrena.
Line 568 ⟶ 563:
lasciando Eleusi a Cerere diletta,
ei calca infine di Teumesia i campi,
{{R|560}}e pone il piè ne
Vede Eteócle in alto trono assiso
dar legge a Tebe oltre il confin de
e del regno non suo, ma del fratello:
torvo
{{R|565}}
E appunto ei si ridea che così tardi
se gli chiedesse il patto. Allor fermossi
Tideo nel mezzo: il ramuscel
{{R|570}}Chiesto poscia del nome e qual cagione
ivi lo meni, il tutto fa palese;
e come rozzo nel parlar e a
pronto e disposto, la sua giusta inchiesta
mischiò in tal guisa con parole amare.
{{R|575}} - Se in te regnasse fede, e se
cura prendessi, al tuo fratel ramingo
tu dovevi mandar, finito
ambasciatori e richiamarlo al trono,
e con pronto voler, con cuore invitto
{{R|580}}lasciar la tua fortuna e
tanto che
per ignote cittadi e
ne la promessa sua corte respiri.
Ma già che tanto in te può amor
{{R|585}}e di comando, che
noi te
per tutti i segni, da che i duri casi
del tristo esilio il tuo fratel sopporta.
Or tempo è bene che tu ancora impari
{{R|590}}andartene ramingo al caldo, al gelo
ne
Pon modo, poni a la tua sorte: assai,
ricco
del tuo fratel la povertà schernisti.
{{R|595}}Il piacer di regnar scordati alquanto;
soffri
ti renderai di ritornar sul trono. -
Sì disse: e
ardea nel cuore di furore e sdegno.
{{R|600}}Siccome serpe, cui per lunga sete
Line 615 ⟶ 610:
{{R|605}}Così Eteócle tumido ed altiero
diede a i feroci detti aspra risposta:
- Certo se
dubbi fossero a me del mio germano,
e non ne avessi manifesti segni,
{{R|610}}
Così al vivo
con rabbia tal, come se fosser svelte
e tutta andasse Tebe a ferro e a fuoco.
{{R|615}}Se
Sciti lontani dal cammin del Sole
messaggero tu fosti, in più discreti
Line 629 ⟶ 624:
non calcheresti de le genti il dritto.
{{R|620}}Ma perchè te accusar? Tu del fratello
porti le furie e
Or perchè tutto hai di minacce pieno,
nè con modi pacifici richiedi
Line 636 ⟶ 631:
"Quello scettro, che a me la sorte e gli anni
hanno concesso, giustamente io tengo,
nè lascerollo. Te
te di Danao i tesor rendan contento;
{{R|630}}(già non invidio la tua gloria e
tu reggi pure con felici auspicii
ed Argo e Lerna: a me
bastan di Dirce, e di Beozia i campi
pochi e ristretti da
{{R|635}}nè mi vergogno Edippo aver per padre.
Te Tantalo, te Pelope, te Giove,
cui più
Come potrà la tua Regina, avvezza
a lo splendor paterno, a queste case
Line 655 ⟶ 650:
{{R|645}}se urlar sentirà il padre, ahi quale orrore,
quale dispetto non ne avrà? Già il vulgo,
già i nobili e
avvezzi sono, e ne son paghi. Io dunque,
io non ne avrò pietà? Soffrir
{{R|650}}che mutino ad ognor principe e leggi?
Troppo a i popoli è duro un breve regno,
Line 664 ⟶ 659:
e sdegno e tema del periglio nostro:
{{R|655}}e questi io darò a te, per farne scempio?
Or
(se la lor fede, se
la plebe nol vorrà". - Qui impazïente
Tideo interruppe: - Il renderai malgrado,
{{R|660}}il renderai; non se di ferreo vallo
tu ti circondi, o
formi triplice muro a Tebe intorno;
non le faci, non
impediranno; e moribondo e vinto
{{R|665}}al suol percuoterai la regia fronte.
Line 677 ⟶ 672:
mi duol, che a guisa di giumenti e schiavi
tratti dal sen de le consorti afflitte
lungi
{{R|670}}O quante stragi porterà il Citero!
Di quanto sangue correrà
Questa è la tua pietà? Questa è la fede?
Ma che stupor, se de
fu crudele
{{R|675}}il padre? Benchè il sangue in Polinice
falla, e tu solo de
sei degno figlio; e patirai le pene
tu solo ancor. Noi ti chiediamo il patto,
e
{{R|680}}fin da
urta, ed apre la turba, e irato parte.
Così
Diana offesa a desolar fu spinto
{{R|685}}arruffò il pelo, e con
rivoltò i sassi e lacerò le piante
che su le ripe a
indi Piritoo e Telamon ferio,
poscia pugnò con Meleagro, a cui
{{R|690}}restò la gloria de
tale, e più fiero il calidonio eroe
lascia il concilio, e furibondo freme,
come se a sè, non al cognato, il regno
negato fosse; e
{{R|695}}segno di pace, da sè lungi scaglia.
Miranlo
e le pallide madri, e contro lui
fanno orribili voti e contro il rege,
che negò
{{R|700}} Ma il malvagio tiranno, a cui non manca
arte e sapere in ordir frodi e inganni,
scelta una schiera, con promesse e doni
al tradimento li dispone e compra,
{{R|705}}e prepara a Tideo notturno assalto;
nè al sacro nome
diritto de le genti omai pon mente.
Empio furor di regno, e che non osi?
O se dato a costui fosse il fratello,
{{R|710}}qual ne farebbe scempio? O de
menti ciechi consigli! O
non mai disgiunte diffidenza e tema!
Ecco come costui contro
non altrimenti tanta gente aduna,
{{R|715}}che se ad un campo egli movesse assalto,
o col frequente urtar degli arïeti
Escon costoro, e son cinquanta insieme
fuor de le porte: o glorioso, o prode
{{R|720}}guerrier, contro cui sol muovon
E vanno per angusta e breve via
di spine cinta attraversando il bosco,
per assalire al passo il gran campione.
Sonvi due colli a la città vicini,
{{R|725}}cui li monti maggior
cinti
È naturale il sito; e pur ei sembra
da
{{R|730}}
e disastroso, che conduce a
e periglioso passo: indi i soggetti
campi miransi intorno, e valli e fiumi.
Sorge a
{{R|735}}albergo de la Sfinge: in su quel sasso
stava già un tempo la terribil belva
Line 749 ⟶ 744:
di sangue intrise, e con le fiere labbia
{{R|740}}iva lambendo i lacerati avanzi
girava intorno ad ispiar se alcuno
colà salisse, e temerario osasse
contender seco a sviluppar gli enimmi:
{{R|745}}tosto aguzzava i fieri denti, e
spiegava, e dibattendo i pigri vanni,
gli si lanciava al viso, e de la rupe
col capo in giù lo fea cader da
Fur felici
{{R|750}}giunse, e spiegò
tristo e confuso, senza batter ali,
precipitò se stesso; e
e le viscere infami infrante e sparse
andaro per le rocce e
{{R|755}}Conserva ancor contaminato il bosco
vanno lungi le gregge: a la nocente
ombra non vengon mai Fauni o Silvani,
Line 770 ⟶ 765:
{{R|760}}augelli e i fieri lupi il volo e il passo
(tal li prende terror) volgono altrove.
In questo luogo
riserbata a morir
di guardie il bosco, ed appoggiata a
{{R|765}}
Di già Febo è sparito, e già la notte
stende
Ed ecco ei
luogo e di Cintia al vacillante raggio
{{R|770}}scorge da lungi balenar gli scudi
tra ramo e ramo de le turme ostili,
e su i cimieri tremolar le piume.
Vede, stupisce, e non però
ma colla mano il brando tenta, e poi
{{R|775}}due dardi impugna, e minaccioso grida:
- Chi siete voi, guerrier, chè vi celate? -
Nissun risponde:
che avrà dura al passaggio aspra contesa.
{{R|780}}di Cromio, condottier de la masnada,
vibrata
ma i Numi e
fora però la setolosa pelle
de
{{R|785}}e
gli striscia il collo e passa il ferro asciutto.
Arruffò il crine allor
e tutto se gli strinse il sangue al core:
rivolge intorno il guardo e
{{R|790}}pallido per lo sdegno; e appena crede
che contro un sol stieno
- Uscite (grida) a campo aperto, uscite,
appiattati guerrier,
A me, a me vi rivolgete: e quale
{{R|795}}timore vi raffrena? Oh che viltade!
Io solo, io sol tutti vi sfido a guerra. -
Rupper
i tebani guerrieri, e
uscîr
{{R|800}}maggior di quello
correndo a lui e da la bassa valle.
Così cingon talor di reti e
i cacciatori le feroci belve;
e par che al peso di
{{R|805}}
Vede Tideo che a sua difesa giova
guardar le spalle, e de la Sfinge al sasso
sen corre, e benchè sia scosceso ed erto,
tanto
{{R|810}}a scaglie e a greppi, che a la fin
Giunto
ne svelse un rozzo e smisurato sasso
pesante sì, che strascinarlo appena
due affannati giovenchi a collo steso
{{R|815}}potrian
Poi tutte le sue forze in un raccolte
indi lo scaglia. Così Folo appunto
contro i Lapiti rei lanciò il gran vaso.
{{R|820}}Mira in aria il gran monte, e ne stupisce
e oppressa ne rimane: i visi, i petti,
le forti braccia, e in un
restano infranti, stritolati e misti.
{{R|825}}Quattro fur quei che da la grave mole
distrutti furo, e non
onde gli altri smarriti andaro in fuga.
Dorila il primo fu che per valore
si pareggiava
{{R|830}}fiero per gli avi suoi,
il terzo domatore
Tu pur da Penteo discendente, in ira
{{R|835}}e in odio a Bacco, o Fedimo, cadesti.
Line 847 ⟶ 842:
che tiene in man, lor dietro vibra, e poi
balza dal monte a più vicina guerra.
Vede lo scudo di Teron, che
{{R|840}}avea lungi da lui fatto cadere,
e
e contro
de
indi fermossi: i masnadieri allora,
{{R|845}}che lo scorsero al pian, voltâr la fronte,
Line 857 ⟶ 852:
Egli trae fuori il formidabil brando,
dono di Marte al suo gran padre Eneo,
e
{{R|850}}e quei respinge, e col fulmineo ferro
La densa turba
elmo con elmo urtar, scudo con scudo:
sono vani i loro sforzi, e ben sovente
{{R|855}}per troppa fretta
e
angusto segno a
inespugnabil rocca o quercia alpestre.
Quale il gran Briareo di tutto il cielo
{{R|860}}sostenne in Flegra la potenza e
quando Febo con strali, e col Gorgone
Pallade, e Marte col bistonio cerro
Line 876 ⟶ 871:
ei si dolea che fosser pigri i Numi:
con non minor furor Tideo combatte,
ed or
con lo scudo si copre, e i tremolanti
{{R|870}}dardi ne svelle, e contro chi lanciolli
Line 882 ⟶ 877:
gli esce da non mortali e lievi piaghe.
Deiloco e Fegea, che con la scure
già
{{R|875}}e appresso a questi
Licofroonte, e il fiero Gía dirceo.
Rimirano i fellon la loro schiera
scema
desio di pugna già languisce e manca.
{{R|880}}Ma Cromio, che da Cadmo il sangue tragge,
avanza il passo: (Driope fenice
a lui fu madre, e
quando
per
{{R|885}}nel gran contrasto il partorì immaturo).
Fiero ei
ruotando in giro una nodosa clava,
alto gli altri rampogna: - Adunque un solo
{{R|890}}uom da
tornerà in Argo vincitore? Appena
si troverà chi
ove sono le destre, ove il valore?
ove le spade e
{{R|895}}Lampo e Cidon, che promettemmo al Rege? -
che ne le fauci
gorgoglia il suono, e
che di fuor esca. Egli tardò a cadere
{{R|900}}sinchè, la morte in
vie più
Ma già non lascio voi, di Tespio figli,
senza il dovuto onor. Perifa il primo,
mentre con man pietosa il moribondo
{{R|905}}fratel sostiene (mai pietà maggiore,
nè
fu vista al mondo) e
e mentre
e
{{R|910}}ecco al fianco gli giunge il crudo cerro
de
al fratel moribondo: ambi cadéro,
e
germano affissa gli occhi, e con la fioca
{{R|915}}voce che ancor gli avanza, a Tideo dice:
Line 928 ⟶ 923:
Così giacquero entrambi: o dura sorte!
Nacquer, visser, moriro uniti insieme.
{{R|920}}Non bada sopra lor Tideo, ma
ricovra, e con la stessa e con lo scudo
Menete fuggitivo incalza e preme:
Allor le mani stende, e mercè grida,
{{R|925}}e
la tien lontana, e in cotai detti prega:
- Deh, per queste stellate ombre, per questa
Line 939 ⟶ 934:
perdona a me, tanto che a Tebe vada,
{{R|930}}a predicare del tuo invitto braccio
Così sian sempre rintuzzate e vane
contro te le
impenetrabil resti
{{R|935}}e al fido amico trionfante rieda. -
Tacque; e Tideo, senza mutar sembiante:
- Che piangi? (disse) e perchè preghi invano?
Tu pur giurasti al fier tiranno, iniquo,
questo mio capo: or lascia
{{R|940}}A che mercare con viltà la vita?
Restan stragi maggiori. - E così detto
il ferro immerge a lui nel collo, e passa,
e insulta
- Questa non è la sacra al vostro Nume
{{R|945}}triennal notte; nè guidate in giro
gli Orgii di Cadmo, nè
profana quivi i sacrifici a Bacco.
Forse vi credevate, ebbri e festosi,
cinti
{{R|950}}del vile cuoio de le belve imbelli,
al molle suon di cornamuse e flauti
guidar le vostre fanciullesche guerre
fan
{{R|955}}o pochi, o vili, il vostro scorno e
Così minaccia; ma le forze intanto
mancando vanno, e
affanna il core; e
{{R|960}}lo scudo grave per
più non può sostener: da
petto distilla un gelido sudore;
e tutto è intriso il crin, le mani e
del tetro sangue
{{R|965}}Qual massile leon, che posti in fuga
i guardïani de
a quel
e se
saziata infine la sua ingorda fame,
{{R|970}}
battendo, fra i cadaveri passeggia,
e la strage contempla e lambe il sangue:
così ancora Tideo di stragi carco,
ito sarebbe a Tebe, e al fier tiranno
{{R|975}}e a
mostrato avrebbe; ma frenò
e
la sempre amica a lui Tritonia Dea.
- O del
{{R|980}}(
maggior trionfo, a le felici imprese
pon modo omai, nè più tentare i Numi
fin qui propizi: a la
sol questo, che tu in Argo ora ritorni
{{R|985}}sicuro e pago di tua lieta sorte. -
Restava vivo sol tra tanti estinti
conoscea i moti e degli augelli il volo,
e
{{R|990}}da lui schernito e non creduto: il Fato
gli
dona
e un crudel patto a lui tremante impone:
- O qualunque tu sia, che fra costoro
{{R|995}}tolto di mano
rivedrai pure la vicina luce,
al tuo spergiuro Re questo dirai:
"Rinforza omai le porte, e rinnovella
{{R|1000}}e Tebe cingi di più forte vallo.
Questo campo fumar mira nel sangue
tali in battaglia ti verrem noi sopra".
Ciò detto, a te, sacra Tritonia Dea,
Line 1 016 ⟶ 1 011:
trofeo prepara, e le raccoglie e lieto
le porta, e va contando i suoi trionfi.
Sovra eminente bica,
posta
{{R|1010}}di dura scorza e di frondosi rami,
che stende
A questa appende
gli elmi leggeri ed i forati arnesi,
e
{{R|1015}}alto si ferma e su i nemici uccisi,
ed apre il varco a la preghiera; al voto
Line 1 028 ⟶ 1 023:
- Guerriera Dea, Genio ed onor del padre,
cui di terror leggiadro adorna il volto
{{R|1020}}
di cui Bellona e
spingon men fieri a guerreggiar le schiere;
tu grata accogli il sacrificio e
O
{{R|1025}}pugna da la città di Pandïone;
o ne
danze e carole con le ninfe amiche;
o che tu lungo il libico Tritone
le sterili giumente al corso affretti:
{{R|1030}}noi a te i busti
sacriamo, e
Ma se avverrà che dal mio duro esilio
ritorni un giorno al partaonio regno
e a Pleurone guerriera, io ti prometto
{{R|1035}}nel mezzo a la cittade alzarti un tempio,
ricco di scelti marmi e di
Quindi grato fia mirar da
fender il mare, e con la
{{R|1040}}de
Ivi saran degli avi miei le imprese
scolpite, e i venerabili sembianti
staranno appese
{{R|1045}}le spoglie opime che col sangue sparso
ho conquistate, e quelle che di Tebe
tu mi prometti, o tutelar mio Nume.
Ivi a te serviran ben cento e cento
{{R|1050}}che
liquore de la pianta a te diletta.
Una sacerdotessa antica e grave
Line 1 064 ⟶ 1 059:
e terrà occulti i tuoi pudichi arcani.
{{R|1055}}A te sia in guerra, a te sia in pace, sempre
le primizie offrirò
nè i voti nostri invidierà Diana. -
Disse, e ad Argo tornò su
</poem>
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}
|