Elettra (D'Annunzio)/Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Prova scrittura via bot (test) |
Correzione pagina via bot |
||
Riga 1:
{{Qualità|avz=75%|data=24 aprile 2010|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini|prec=../Per la morte di Giuseppe Verdi|succ=../Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo}}
<poem>
Giove alla figlia di Demetra antica
donò ricca di messi e di cavalli,
di lunghe navi e di città potenti,
{{R|5}}
di magnanimi eroi e di pastori
melodiosi,
dal santo lido ove apparì
terribile che tenne la sua brama
{{R|10}}immune dentro
da Ortigia ramoscel di Siracusa,
che fu sorella a Delo e abbeverava
ai fonti ascosi,
Line 27 ⟶ 22:
assiso in ferreo trono,
invocando le Grazie dal sen vasto
e
sopra
{{R|20}}celebrò le vittorie dei mortali.
Per gli inni trionfali,
con
i vincitori furono gli eguali
dei belli iddii nel sole senza occaso.
Line 45 ⟶ 40:
Il dio celebreremo noi, pel cuore
innumerevole avido di eterna
vita,
{{R|35}}in una sola forma di bellezza
giovenile, rapita negli alti astri
Line 55 ⟶ 50:
che sforza verso le sorgenti prime
verso le auguste origini montane
la gran copia
(beve intorno la terra e si feconda),
{{R|45}}simile al mare
del canto volga impetuosamente
questa che palpita anima profonda
verso
Dove il veglio Stesicoro per Ilio
{{R|50}}ereditò la cecità di {{
dove Pindaro assunse ai cieli il carro
del re Ierone fondatore
e Teocrito addusse tra i bifolchi
eloquenti le Càriti dal fresco
Line 72 ⟶ 67:
quivi improvvisa dopo il lungo esilio
la doriense Musa ricomparve
tra
animò la siringa
{{R|60}}Pan, cui la cera dato avea
del miele (appreso aveale a lamentarsi
il labbro umano);
e il dolore degli uomini e
degli uomini e le cieche
{{R|65}}speranze e le bellezze della vita
Line 84 ⟶ 79:
riebbero nel Canto
la purità sublime e necessaria.
Oh sagliente
{{R|70}}la nutrì, semplice nuda e sola,
come nel tempio la colonna paria,
Line 91 ⟶ 86:
Gli Itali palpitaron di novella
attesa udendo quella giovenile
{{R|75}}voce
e
alle dischiuse ciglia e ancor più santo
parve
{{R|80}}però
voce riconoscessero
lor giovinezza e la meravigliosa
verginità
che creò nella luce
{{R|85}}ordine e bianco per gli intercolunnii
condusse il coro.
Cantava inconsapevole, su i giorni
e su
il figlio degli Ellèni in false vesti,
{{R|90}}tra vane moltitudini loquaci,
Line 114 ⟶ 109:
isola i suoi teatri pel notturno
{{R|95}}silenzio biancheggiavano e la vota
scena attendeva
"Egli è morto,
Sicelie Muse, incominciate il carme
fùnebre! O rosignoli, annunziate
{{R|100}}ad Aretusa
morto è con lui, e il latte non fluisce
più, né dai favi il miele, ché perito
è nella cera
per lo dolore; e il verde apio
{{R|105}}langue, e
son tacite, e le fonti nelle selve
plorano, e al mare Cèrilo fa lai.
Sicelie Muse, incominciate il carme
fùnebre! Varca il doriense Orfeo
{{R|110}}
Non sonò forse questo antico pianto
Line 139 ⟶ 134:
tu dal silenzio della Terra sei!
Ma, se canti a colei
che pur pensosa è
ella in memoria dei narcissi ennèi
{{R|120}}ti ridona al tuo mare ed al tuo monte."
Line 149 ⟶ 144:
{{R|125}}piangevano, come Ascra per Esiodo,
per Archiloco Paro, per Alceo
Lesbo su
Inno di gloria, irràggiati dei raggi
più fulgidi recando
{{R|130}}moltitudine, accolta nel Teatro
riconsacrato dalla reverenza,
auspice e i testimonii del fatale
suolo ove nacque.
Line 163 ⟶ 158:
il subitaneo fiore della Madre
Ellade. Ei vien cantando la bellezza
e il dolore
{{R|140}}Il genio della stirpe lui conduce,
pervigile. La luce
è la sua legge. E
con tutto che la Terra alma produce
volgesi a lui come un divin consenso.
{{R|145}}Saluta,
vetta e il lido aretùside, sospiro
che il chiaro Ionio beve, e Siracusa
e Taormina e la natal Catana
{{R|150}}con
Ellade e Roma.
Line 181 ⟶ 176:
anima le ruine respiranti
per mille bocche cerule nel mare
{{R|155}}e nel cielo.
marmorei, ove i secoli silenti
e invisibili ascoltano il tragedo
Line 188 ⟶ 183:
Tra il cielo e il mare le deserte orchestre
{{R|160}}come stromenti cavi
misteriosa cui risponde il coro
dei Vènti peregrini.
Line 195 ⟶ 190:
contra i frangenti, e il tremito del lieve
stelo tra i rotti fregi, son le note
Italia, Italia, quale messaggero
{{R|170}}di popoli trarrà da quel silenzio
venerando il messaggio che
Quivi taluno interroga i vestigi?
pacato curvasi ad apprender come
Line 207 ⟶ 202:
O altrove, altrove affòrzasi il pensiero
liberatore in qualche eroica fronte
su cui ventò lo spirito
promessa? Dove? Dove {{
{{R|180}}temprò il sorriso, penetrò le ambagi
del corpo umano, dominò la forza
della corrente?
Sotto
Nella ligure piaggia
{{R|185}}onde salpò la prua ferrea di cuori?
Nella candida pace della valle
umbra dove {{
nutrì di sé le dolci creature?
Fra
{{R|190}}della città
e al gran nome sfavilla di future
sorti qual fredda selce alla percossa?
O nella polve (Inno
{{R|195}}del Fòro suscitata oggi dai ferri
animosi che rompono i suggelli
del Tempo e riconducono alla luce
primi
{{R|200}}Ovunque i bei pensieri e i grandi fatti
si preparino, quivi arde un altare
alla Dea Roma e il buono Eroe
Inno, che
anima come in fervida fucina
{{R|205}}foggiarono le mie speranze invitte,
saluta
Saluta, nella gloria del Cantore
fiorito a piè
{{R|210}}il monte che salivano i Carmenti
aedi del Futuro;
però che tutto alla Gran Madre torni
e
il suo capo che sta sopra la Terra.
{{R|215}}Sveglia i dormenti e annunzia ai desti: "I giorni
sono prossimi. Usciamo
</poem>
|