Elettra (D'Annunzio)/Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini: differenze tra le versioni

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<poem>
Nell'isolaNell’isola divina che l'etnèol’etnèo
Giove alla figlia di Demetra antica
donò ricca di messi e di cavalli,
di lunghe navi e di città potenti,
{{R|5}}d'asted’aste corusche e di cerate canne,
di magnanimi eroi e di pastori
melodiosi,
dal santo lido ove apparì l'Alfeol’Alfeo
terribile che tenne la sua brama
{{R|10}}immune dentro all'infecondoall’infecondo sale,
da Ortigia ramoscel di Siracusa,
che fu sorella a Delo e abbeverava
nell'orrorenell’orrore notturno la sirena
ai fonti ascosi,
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assiso in ferreo trono,
invocando le Grazie dal sen vasto
e l'Ardirel’Ardire e la Forza e l'Abondanzal’Abondanza
sopra l'animal’anima pura,
{{R|20}}celebrò le vittorie dei mortali.
Per gli inni trionfali,
con l'olivol’olivo selvaggio e il bronzeo vaso,
i vincitori furono gli eguali
dei belli iddii nel sole senza occaso.
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Il dio celebreremo noi, pel cuore
innumerevole avido di eterna
vita, l'eroel’eroe celebreremo e l'uomol’uomo
{{R|35}}in una sola forma di bellezza
giovenile, rapita negli alti astri
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che sforza verso le sorgenti prime
verso le auguste origini montane
la gran copia dell'acquedell’acque
(beve intorno la terra e si feconda),
{{R|45}}simile al mare l'ondal’onda
del canto volga impetuosamente
questa che palpita anima profonda
verso l'antichitàl’antichità di nostra gente.
Dove il veglio Stesicoro per Ilio
{{R|50}}ereditò la cecità di {{AutoreCitatoAc|Omero}},
dove Pindaro assunse ai cieli il carro
del re Ierone fondatore d'Etnad’Etna
e Teocrito addusse tra i bifolchi
eloquenti le Càriti dal fresco
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quivi improvvisa dopo il lungo esilio
la doriense Musa ricomparve
tra l'immemorel’immemore popolo, improvvisa
animò la siringa dell'occultodell’occulto
{{R|60}}Pan, cui la cera dato avea l'odorel’odore
del miele (appreso aveale a lamentarsi
il labbro umano);
e il dolore degli uomini e l'amorel’amore
degli uomini e le cieche
{{R|65}}speranze e le bellezze della vita
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riebbero nel Canto
la purità sublime e necessaria.
Oh sagliente nell'arianell’aria
{{R|70}}la nutrì, semplice nuda e sola,
come nel tempio la colonna paria,
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Gli Itali palpitaron di novella
attesa udendo quella giovenile
{{R|75}}voce nell'arianell’aria limpida salire;
e l'olivol’olivo che cinge i poggi curvi
lungh'essilungh’essi i patrii mari santo parve
alle dischiuse ciglia e ancor più santo
parve l'allorol’alloro;
{{R|80}}però ch'eglinoch’eglino, tristi servi, in quella
voce riconoscessero l'antical’antica
lor giovinezza e la meravigliosa
verginità dell'animadell’anima primiera
che creò nella luce l'immutatol’immutato
{{R|85}}ordine e bianco per gli intercolunnii
condusse il coro.
Cantava inconsapevole, su i giorni
e su l'oprel’opre comuni
il figlio degli Ellèni in false vesti,
{{R|90}}tra vane moltitudini loquaci,
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isola i suoi teatri pel notturno
{{R|95}}silenzio biancheggiavano e la vota
scena attendeva l'urtol’urto del coturno.
"Egli è morto, l'Orfeol’Orfeo dorico è morto!
Sicelie Muse, incominciate il carme
fùnebre! O rosignoli, annunziate
{{R|100}}ad Aretusa ch'eglich’egli è morto e il canto
morto è con lui, e il latte non fluisce
più, né dai favi il miele, ché perito
è nella cera
per lo dolore; e il verde apio nell'ortonell’orto
{{R|105}}langue, e l'anetol’aneto aulente; e le montagne
son tacite, e le fonti nelle selve
plorano, e al mare Cèrilo fa lai.
Sicelie Muse, incominciate il carme
fùnebre! Varca il doriense Orfeo
{{R|110}}l'atral’atra riviera."
Non sonò forse questo antico pianto
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tu dal silenzio della Terra sei!
Ma, se canti a colei
che pur pensosa è d'Ennad’Enna in Acheronte,
ella in memoria dei narcissi ennèi
{{R|120}}ti ridona al tuo mare ed al tuo monte."
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{{R|125}}piangevano, come Ascra per Esiodo,
per Archiloco Paro, per Alceo
Lesbo su l'acquel’acque.
Inno di gloria, irràggiati dei raggi
più fulgidi recando all'ansiosaall’ansiosa
{{R|130}}moltitudine, accolta nel Teatro
riconsacrato dalla reverenza,
l'imaginel’imagine del giovine Cantore.
auspice e i testimonii del fatale
suolo ove nacque.
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il subitaneo fiore della Madre
Ellade. Ei vien cantando la bellezza
e il dolore dell'Uomodell’Uomo.
{{R|140}}Il genio della stirpe lui conduce,
pervigile. La luce
è la sua legge. E l'orizzontel’orizzonte immenso,
con tutto che la Terra alma produce
volgesi a lui come un divin consenso.
{{R|145}}Saluta, mentr'eimentr’ei viene, Inno, l'ignital’ignita
vetta e il lido aretùside, sospiro
d'Atened’Atene, e le vocali selve, e i fiumi
che il chiaro Ionio beve, e Siracusa
e Taormina e la natal Catana
{{R|150}}con l'ormel’orme che v'impresserov’impressero congiunte
Ellade e Roma.
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anima le ruine respiranti
per mille bocche cerule nel mare
{{R|155}}e nel cielo. L'altaL’alta erba occupa i gradi
marmorei, ove i secoli silenti
e invisibili ascoltano il tragedo
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Tra il cielo e il mare le deserte orchestre
{{R|160}}come stromenti cavi
s'apronos’aprono per accogliere la voce
misteriosa cui risponde il coro
dei Vènti peregrini.
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contra i frangenti, e il tremito del lieve
stelo tra i rotti fregi, son le note
dell'istessadell’istessa parola eterna e breve.
Italia, Italia, quale messaggero
{{R|170}}di popoli trarrà da quel silenzio
venerando il messaggio che s'attendes’attende?
Quivi taluno interroga i vestigi?
pacato curvasi ad apprender come
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O altrove, altrove affòrzasi il pensiero
liberatore in qualche eroica fronte
su cui ventò lo spirito dell'albadell’alba
promessa? Dove? Dove {{AutoreCitatoAc|Leonardo da Vinci|Leonardo}}
{{R|180}}temprò il sorriso, penetrò le ambagi
del corpo umano, dominò la forza
della corrente?
Sotto l'ombral’ombra dell'Alpidell’Alpi vigilate?
Nella ligure piaggia
{{R|185}}onde salpò la prua ferrea di cuori?
Nella candida pace della valle
umbra dove {{AutoreCitatoAc|San Francesco d'Assisi|Francesco}}
nutrì di sé le dolci creature?
Fra l'altel’alte sepolture
{{R|190}}della città ch'ebbech’ebbe di {{AutoreCitatoAc|Dante}} l'ossal’ossa
e al gran nome sfavilla di future
sorti qual fredda selce alla percossa?
O nella polve (Inno d'amored’amore, batti
l'alel’ale tue forti!) nella sacra polve
{{R|195}}del Fòro suscitata oggi dai ferri
animosi che rompono i suggelli
del Tempo e riconducono alla luce
dell'Animadell’Anima e del Sole i testimonii
primi dell'Urbedell’Urbe?
{{R|200}}Ovunque i bei pensieri e i grandi fatti
si preparino, quivi arde un altare
alla Dea Roma e il buono Eroe s'attendes’attende.
Inno, che nell'ardorenell’ardore della mia
anima come in fervida fucina
{{R|205}}foggiarono le mie speranze invitte,
saluta l'Urbel’Urbe!
Saluta, nella gloria del Cantore
fiorito a piè dell'Etnadell’Etna,
l'Aventinol’Aventino sul Tevere d'Italiad’Italia,
{{R|210}}il monte che salivano i Carmenti
aedi del Futuro;
però che tutto alla Gran Madre torni
e d'ognid’ogni raggio s'ornis’orni
il suo capo che sta sopra la Terra.
{{R|215}}Sveglia i dormenti e annunzia ai desti: "I giorni
sono prossimi. Usciamo all'altaall’alta guerra!"
 
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