Da Quarto al Volturno/Da Marsala a Calatafimi: differenze tra le versioni
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Marsala, 11 maggio.
Siedo sopra un sasso, dinanzi al fascio di armi della mia compagnia, in questa piazzetta squallida, solitaria, paurosa. Capitano Ciaccio da Palermo, piange come un bambino
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Il Lombardo è quasi sommerso. Il Piemonte galleggia maestoso
Alle porte della città, comparvero degli ufficiali di marina, in calzoni bianchi; e venivano giù al porto, verso la nave inglese, discutendo agitati. Noi intanto ci stavamo ordinando. A un tratto
E poi giù i colpi che non si contarono più. Quale furore! Ora la città è nostra. Dal porto alle mura corremmo bersagliati di fianco. Nessun male. Il popolo applaudiva per le vie; frati
E
Di guardia
Noi qui non vediamo che cosa avvenga
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Marsala, 12 maggio, 3 ore ant.
Ieri sera alle dieci, il caporale Plona mi piantò laggiù a piè di uno scoglio, sentinella ultima della nostra fila, e mi ci lasciò cinque ore. Feci dei versi alle stelle. Fu la mia veglia
Mercoledì. Durante il «
Alla punta del giorno venne uno a cavallo, parlò col capitano, pigliammo gli schioppi, e rientrammo in città. Per una via sonnacchiosa, passammo innanzi a certe casuccie, dove la miseria si ridestava nelle stanze terrene semiaperte e schifose, riuscimmo alla campagna dal lato opposto. Là erano tutti i nostri già ordinati e pronti; là
Sempre sorridente e colla buona novella in fronte, arrivò ultimo Garibaldi collo Stato Maggiore. Cavalcava un baio da Gran Visir, su di una sella bellissima, colle staffe a trafori.<br />
Indossava camicia rossa e calzoni grigi, aveva in capo un cappello di foggia ungherese e al collo un fazzoletto di seta, che, quando il sole fu alto, si tirò su a far ombra al viso. Scoppiò un gran saluto affettuoso; ed Egli, guardandoci con aria paterna, si spinse fin in capo alla colonna. Poi le trombe suonarono e ci ponemmo in marcia.<br />
Fatto un bel tratto della via consolare, si pigliò la campagna, per una straduccia incerta e difficile tra i vigneti. I nostri cannoni venivano dietro a stento, su certi carri dipinti
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Dal Feudo di Rampagallo. Sera.
Ripresa la via, dopo una buona ora di sosta, ci rimettemmo per
Quelle solitudini dove
- Che è principe il nostro capitano? chiesi al tenente palermitano anche lui.<br />
- No... Un principe Carini esiste, ma borbonico che ci avvelenerebbe
Questo gran casone bieco e un antico feudo. Arrivammo che il sole andava sotto, e ci ponemmo qui sul pendio, sdraioni
Del nemico non si sente dir nulla.
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Stamane suonava la diana, e Bixio già in sella veniva da chi sa dove. Se invece di quella uniforme di fanteria, vestisse un costume del cinquecento, ecco Giovanni dalle Bande Nere. Nella notte sono arrivati a squadre molti insorti, armati di doppiette da caccia e di picche bizzarre. Parecchi vestono pelli di pecora sopra gli altri abiti, tutti paiono gente risoluta, e si sono messi con noi.<br />
Quando movemmo dal campo di Rampagallo, eravamo aggranchiti per aver dormito là senza tende, senza coperte, come capitammo, colla gran guazza che viene giù queste notti. Ma ci liberammo dal freddo assai presto e dopo
Quella salita scomunicata ci ha fatto rompere il petto, ma pazienza. Arrivando, fummo accolti da una folla
Una donna, con un panno nero giù sulla faccia, mi stese la mano, borbottando.<br />
- Che cosa? dissi io.<br />
- Staio morendo de fame, Eccellenza!<br />
- Che ci si canzona qui? - esclamai: e allora un signore diede alla donna un urtone, e mi offerse da bere, in un gran boccale di terra. Fui lì per darglielo in faccia; ma accostai le labbra per creanza, poi piantai lui per raggiungere quella donna Non mi riuscì di trovarla. Ma subito una giovane dagli occhi grandi, soavi, e smunta, malata, mi porse un cedro colla destra, e colla sinistra tesa mi disse: - Signorino! - Un cencio di gonnella le dava a mezzo stinco, e aveva i piedi ignudi. Le posi in mano due prubbiche, monetuccie di qui che paion farfalle; essa le prese e corse via. La veggo ancora, colle gambe scarne, battute dai brandelli della veste lurida e corta, fuggire non so se lieta o vergognosa.<br />
Quando giunse il Generale, fu proprio un delirio. La banda si arrabbiava a suonare; non si vedevano che braccia alzate e armi brandite; chi giurava, chi
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Ho fatto un giro per la città.
Gli abitanti, non scortesi, sembrano impacciati se facciamo loro qualche domanda. Non sanno nulla, si stringono nelle spalle, o rispondono a cenni, a smorfie, chi capisce è bravo.<br />
Entrai stanco in una taverna, profonda quattro o cinque scalini dalla via.
Salemi, 14 maggio.
Il Generale ha percorsa la città a cavallo. Il popolo vede lui e piglia fuoco: magia
Il Generale ha assunta la Dittatura in nome
Le squadre arrivano da ogni parte, a cavallo, a piedi, a centinaia, una diavoleria. E hanno bande che suonano
Piove dirotto. Del nemico notizie diverse o contraddittorie. Sono quattromila; no, diecimila, con cavalli e cannoni. Si fortificano sui tali monti: no, sui tali altri: si avanzano, si ritirano rapidamente. Questa notte staremo ancora qui: e intanto finiranno
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Grazioso! Ieri
Poi un taglio dei nostri al filo telegrafico e silenzio.
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Salemi, 15 maggio. 5 ore ant.
Ho spalancato le finestre di questa cella di monaco, e ho dato
Margarita e Bozzani lunghi e distesi lì su
- Sergente Raccuglia, che tempo avremo oggi?<br />
- Bisognerà vedere il Generale in faccia; ma sarà bello, perché vedete là? Gatti si ravvia i capelli. Sempre lindo e attillato. lui!<br />
Lì, fuori della porta, due milanesi stavano ragionando dei fatti nostri, uno più dottore
- Ehi? tuonò un vocione dal corridoio, che ci siete venuti per fare codesti conti?<br />
I due si tacquero.<br />
Suona la sveglia. E Simonetta viene a dirci che si parte. Gran giovane Simonetta! Non si cura di nulla per sé, non vive che per gli altri.
Ha lasciato a Milano il padre vedovo e solo.
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Fra minuti si parte.<br />
Il nemico è davvero a nove miglia. Abbiamo riposato due giorni e due notti su
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Sarà bello, se camperò, rileggere fra molti anni questi sgorbi. Avessi avuto tempo, da ieri mattina ne avrei fatto cento pagine!<br />
Tutta Salemi era fuori a salutarci. «Benedetti! Benedetti!»: E quando da piè della discesa mi volsi a guardare in su, tesi le braccia alla città e a quella gente, che avrei voluto stringere al petto tutta. Venivano giù le nostre compagnie di passo allegro e cantando. Garibaldi ad una svolta della via, veduto dal basso, grandeggiava sul suo cavallo nel cielo; in un cielo di gloria, da cui pioveva una luce calda, che insieme al profumo della vallata ci inebriava. E con noi, giù dal monte venivano le squadre dei siciliani; una processione che non vidi finire, perché la mia compagnia si inoltrò per la campagna, bella, sempre più bella, sino al villaggio di Vita, dove
Intanto la gente di Vita fuggiva. Fuggivano portando le masserizie, trascinando i vecchi e i fanciulli, un pianto. Attraversammo il villaggio attristati, e quella povera gente ci guardava, ci faceva cenni di compassione, ci diceva: Meschini! <br />
Dopo breve tratto sostammo. E allora vidi la nostra bella bandiera portata al centro della settima, quel centinaio e mezzo di giovani quasi tutti
A GIUSEPPE GARIBALDI<br />
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1855
Lessi queste parole, trapunte a caratteri grandi
Io contemplava la bandiera, pensando che in quelle terre lontane dove fu fatta, tra quei patriotti donatori, vive un fratello del padre mio; e intanto vedeva un gran correre di ufficiali e di Guide. Poi comparve il Generale, le trombe squillarono, lasciammo la strada consolare, ci mettemmo pei campi e su per la collina brulla, una compagnia incalzando
- Come? Calzoni rossi? I Napoletani hanno già i Francesi con loro? - sclamarono alcuni sdegnati, vedendo il rosso nelle file nemiche: ma i Siciliani che udirono li quetarono, rispondendo che anche gli ufficiali napoletani portano calzoni rossi.<br />
Ci ponemmo a giacere, ed erano quasi le undici. Mi parve che fossimo stati a guardarci coi regi pochi minuti, eppure la prima schioppettata non fu tratta che
- Non rispondete, non rispondete al fuoco! - gridavano i Capitani; ma le palle dei cacciatori passavano sopra di noi con un gnaulìo così provocante, che non si poteva star fermi. Si udì un colpo, un altro, un altro; poi fu suonata la diana, poi il passo di corsa: era il trombetta del Generale.<br />
Ci levammo, ci serrammo, e precipitammo in un lampo al piano. Là ci copersero di piombo. Piovevano le palle come gragnuola, e due cannoni dal monte già tutto fumo, cominciarono a trarci addosso furiosamente. La pianura fu presto attraversata, la prima linea di nemici rotta; ma alle falde del colle chi guardava in su!...<br />
Là vidi Garibaldi a piedi, colla spada inguainata sulla spalla destra, andare innanzi lento e tenendo
- Generale, così volete morire?<br />
- Come potrei morire meglio che pel mio paese? - rispose il Generale, e scioltosi dalla mano di Bixio, tirò innanzi severo. Bixio lo segui rispettoso.<br />
Goro da Montebenichi e Ferruccio a Gavinana: pensai tra me, rallegrandomi del ricordo; ma subito mi tremò il core; credei di indovinare che al Generale paresse impossibile il vincere, e cercasse di morire.<br />
In quel momento, uno dei nostri cannoni tuonò dalla strada. Un grido di gioia da tutti salutò quel colpo, perché ci parve di ricevere
Il primo, il secondo, il terzo terrazzo, su pel colle, furono investiti alla baionetta e superati: ma i morti e i feriti, che raccapriccio! Man mano che cedevano, i battaglioni regi si tiravano più in alto, si raccoglievano, crescevano di forza.
A
Già tutta
Frattanto i nostri arrivavano a ingrossarci, rinascevano le forze. I Capitani si aggiravano tra noi, confortandoci. Sirtori e Bixio erano venuti a cavallo fin lassù.<br />
Sirtori vestito di nero, con un
Bixio compariva da ogni parte, come si fosse fatto in cento, braccio di ferro del Generale. Lassù lo rividi vicino a lui un altro istante.<br />
- «Riposate, figliuoli, riposate un altro poco; - diceva il Generale - ancora uno sforzo e sarà finita!». - E Bixio lo seguiva per le file.<br />
In quella il sottotenente Bandi veniva a salutarlo, lì per cadere sfinito. Non ne poteva più. Aveva toccate parecchie ferite, ma
Il grande, supremo cozzo, avvenne mentre la bandiera di Valparaiso, passata da mano a mano a Schiaffino, fu vista agitata alcuni istanti, di qua di là, in una mischia stretta e terribile e poi sparire. Ma Giovan Maria Damiani delle Guide potè afferrarne uno dei nastri e strapparlo; gruppo michelangiolesco lui e il suo cavallo impennato, su quel viluppo di nemici e di nostri. Mi rimarrà dinanzi agli occhi fin che avrò vita.<br />
In quel momento i regi tiravano
Quasi sulla vetta, vicino alla casina, mentre io passava, riconobbi ai panni più che al viso il povero Sartori. Certo era morto fulminato, perché cinque minuti prima lo avevo visto salire, e mi aveva salutato a nome. Giaceva sul lato sinistro, tutto attrappito e coi pugni chiusi. Era stato ferito nel petto. Caddi sopra di lui, lo baciai e gli dissi addio. Povero morto! Negli occhi spalancati, nella fisonomia spenta, gli era rimasto come un desiderio di respirare una ultima fiatata di
I Napoletani morti, che pietà a vederli! Morti di baionetta molti; quelli che giacevano sul ciglio del colle quasi tutti erano stati colti nel capo. Là un mostricciattolo, che ai panni mi parve un villano di queste parti, inferociva su
Macchiette nel quadro grande, veggo quei francescani che combattevano per noi. Uno
Durante la battaglia, sulle alte rupi che sorgevano intorno a noi, si vedevano turbe di paesani intenti al fiero spettacolo. Di tanto in tanto, mandavano urli, che mettevano spavento ai comuni nemici.<br />
Quando questi cominciarono a ritirarsi protetti dai loro cacciatori, rividi il Generale che li guardava e gioiva. Gli inseguimmo un tratto; disparvero in una fondura! riapparvero fuori di tiro, nella montagna, in faccia, seguiti da un centinaio di loro cavalli, che stati in agguato sino a quel momento, li raggiunsero a briglia sciolta. Dal campo, stemmo a vedere la lunga colonna salire a Calatafimi, grigia lassù a mezza costa del morite grigio, e perdersi nella città. Ci pareva miracolo aver vinto. Si mise un vento freddo gelato. Ci coricammo. Era un silenzio mestissimo. Si fece notte in un momento, ed io con Airenta e Bozzani ci addormentammo in un campicello di grano, accarezzati dalle spighe curve sui nostri corpi.<br />
Stamane, quando suonarono la sveglia, rompeva appena
Ritrovai Sartori là ancora
Ora, di qui, io veggo il colle quieto e deserto. Ieri fin le pietre parevano là vive ad aiutarci! I nostri morti che giacciono su quei dossi, sono più di trenta. Gli ho quasi tutti dinanzi agli occhi, come erano due giorni or sono, baldi, confidenti, allegri. Ma un
Meno da rimpiangere i morti, perché i poveri feriti, raccolti in quel misero villaggio di Vita, soffrono Dio sa come, soli, senza cure,
Tramonta il sole. Giù nella città le bande empiono
Stasera leggerò alla compagnia
«Soldati della libertà Italiana, con compagni come voi io posso tentare ogni cosa». Che grido quando la compagnia udirà
Veggo su per
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