Brani di vita/Libro primo/Come baciai il piede a Pio IX: differenze tra le versioni
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Capivamo anche noi collegiali che il Sovrano non era accolto a Ravenna col desiderato entusiasmo e che ci mandavano in giro per far numero. Col vestito a coda di rondine, il cappello a staio ed un alto cravattone bianco, bimbi mascherati da uomini, ci conducevano sempre per vie semideserte di dove il Pontefice doveva passare. Benedetti e ribenedetti da quei crocioni che di italiani erano diventati austriaci, ignoranti di ogni cosa per ragione di età e di clausura, accettavamo con molto piacere le passeggiate straordinarie in cui simulavamo alla meglio la folla assente; quando ci dissero che saremmo stati presentati al Sovrano nel pomeriggio.
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Ma quale? I pareri furono molti e la discussione vivace, finchè vinse il partito di domandargli
In quei tempi, la miseria
Così, malcontenti, ci fecero scendere nella sala maggiore
Non mi pare che ci fossero donne.
In fondo, nella penombra, sopra un trono rosso, era un fantasma bianco, {{
La calzatura mi sembrò di velluto, ma mi ricordo solamente che
Risaliti, ci disposero in due file, sempre in ginocchio, lungo un ampio corridoio, di dove il Pontefice doveva passare. Parlavamo sotto voce dolendoci della supplica andata a male, quando il mio vicino, meno letterato, ma più animoso di me, disse: farò la domanda io. Non gli credemmo.
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E il Papa venne, sempre accompagnato da quello strano silenzio che sorprendeva. Allora lo vidi bene, tutto bianco, un
— Santità, non usciamo che due volte
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— Due volte sono anche troppo!
E col suo sorriso invariabile, con la testa sempre alta, passò senza benedire. Il corteggio, fermato un momento, riprese taciturno la via e noi ci levammo avviliti e sgomenti. Aspettavamo una punizione, ma nessuno ci parlò
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La sera ci condussero alla illuminazione.
Dove il canale Candiano piega a destra, era eretto un enorme impalcato carico di bicchierini variopinti ed accesi, le cui linee volevano rappresentare la ricostruzione del sepolcro di Teodorico. Noi avevamo un palco sulle mura e il palco del Papa, in faccia
Qualche banda suonava in lontananza e la folla era enorme.
Giunse il Sovrano, salì nel suo palco
Noi, per quanto incitati dai superiori, tacemmo; un poco per la irritazione della ripulsa ricevuta, un poco perchè suggestionati, dominati, dalla gigantesca unanimità del silenzio. Non sapevamo allora di tradurre in atto il celebre detto: il silenzio dei popoli è la lezione dei Re.
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Il Pontefice irritato non attese la fine dello spettacolo e il giorno dopo partì da Ravenna. Noi ritornammo ai latinucci ed alle pratiche religiose che riempivano le nostre noiose giornate e non se ne parlò più.
Quanto tempo è trascorso da quei desolati giorni della nostra puerizia! Degli antichi compagni parecchi sono morti, altri lontani e solo due o tre frugano meco nei ricordi del passato negli amichevoli colloquii e andiamo notando che nessuno, di tanti che eravamo, nessuno seguì nella vita quei principii di reazione e di devozione che ci erano instillati con tanta assidua cura. Certo gli entusiasmi
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