Rime (Alberti)/9: differenze tra le versioni
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Agilitta, fanciulla molto ornata
da molti chiesta e da molti amata,
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Misere noi, sole sfortunate,
che
Convienci amar che ci sentiamo amate.{{R|15}}
Misere noi! E quanto male offende
nostra quiete! Aimè, qual morte
non sente el cor in cui amor
Sospetti e cure sono al petto accorte,
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Troppo felice se mai alcun valse
vincer sé stesso o ben reggersi amando!
Costui su in cielo fra
Io meschina pur seguo aspreggiando
me e chi
amo ed ho in odio, e me vivo onteggiando.
io dubïosa sempre stimo el peggio:{{R|35}}
io fuggo ciò che dal mio mal mi stoglia.
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non dispettare a chi me ama, e darmi
lieta e ioconda a quanto Amor
né fuggir cosa qual
Che
Stolta me, troppo stolta! E che
cosa aspettar maggior qual mio duol chiede?
Costui me pregia, e sono a lui suo idio:
questo me serve troppo, e io, doh, il strazio.{{R|50}}
Mie colpa, adonque, piango
Iniurio, e mai di vendicar mi sazio;
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duolmi esser vinta e convenir certare.
e chi
stolta chi altri cerca ed ha ciò che vuole.{{R|60}}
che util me ne viene, o qual merto?
Straziar chi me ama dà biasmoso vanto.
Che dirai, Agilitta, adunque? Certo
sdegnare quel
Ma che non
e sempre disputar contro a me stessi?
Se
durar più giorni in questi miei tormenti,
non so qual morte io non mi eleggessi.
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Tu stessa al tuo dolor sempre acconsenti.{{R|75}}
E io mi
a ravedermi quale io sia suggetta
a quanto ogni mio sforzo aresta e tarda.
Sia
tu, tu quel
O sfortunata me! Misera oimei!
A che son io, a che son io condutta,
Vorrei
ma non so come in me ogni mia impresa
sol poi dolermi e pentirmi vi frutta.
non però posso, Archilago, odiarti;
e duolmi ingiuriar chi non
Ma come
Archilago, o tu sei un dio in terra;
in te contende ogni laude ad ornarti.
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ora che cruccio Amor fra noi disserra.
Ah quanto, stolta! aspettar duol
se io vinta arò poi a pentirmi
di mie parole e di mie lieve ingegno.
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Un guardo, un riso dolce, un sol gradirmi{{R|100}}
che Archilago mi porga sì amoroso,
può me
Io con mie ingiurie
che già suo ingegno sempre fu quieto,
facile, umano verso me e piatoso.{{R|105}}
E io che
sciocca mai resto, mai,
ogni sua grazia a me stessa vieto.
Ma chi sa qui
Anzi, me trista, che non so odiarlo.
Ma lascia pur,
Amor ti strugge, Archilogo; amore
non men che me, ben veggo, ancor te strugge.
E che a me
Anzi me duol veder
con un mie sdegno tormentar lui e me.
Così più fiamme al mio seno apporto.{{R|120}}
contro
e
Tutto vedo, tutto odo, ben
sola, deserta. E che
di poi la notte
Ed anche
sì, e più
Mai sì
Agilitta, Agilitta, e dove ène{{R|130}}
in te la fede e intera fermezza?
Qual tu accusi in altri in te
Tu dubiti di lui, ma egli ha certezza
di te palese che tu
Ed
Né ancora sono le sue pene tante
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e son le prece di chi ama sante.
Ma stolta, non
chi
di più infuriar. Sì certo io infurio.
Un solo me sospetto tiene in guai,
Ma venne amor sanza sospetto mai?
Ma lui, ove se vede oltreggiato{{R|145}}
da me, e scorge
a questo e a quello, vive adolorato.
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Oimè, che sdegno ed amor mi gitta
or su or giù fra mille onde
né scorgo ove sie mai mia voglia addritta.
E tu, o Archilogo,
ah, non ti vien pietate.
e per te sono in me questi
Noi imprudenti ambo e dui erramo,{{R|160}}
poi che da troppo amor sospetto nacque,
che
Archilogo mio, subito avisarlo:{{R|165}}
che lui in pruova so sempre a me piacque.
Né
con mie ingiurie e sdegno a vendicarsi,
ma con dolcezza a molto amarmi attrarlo.
Queste gare fra noi, questo adirarsi{{R|170}}
quanto
poi che indarno
Finiamo, adunque, ogni cruccio e lamento,
Agilitta,
non declinarmi ad amar
Ama, Agilitta, e quanto ha sempre chiesto
Archilogo, si sia
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