La locandiera/Atto III: differenze tra le versioni
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Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA: Orsù,
FABRIZIO: Signora.
MIRANDOLINA: Fatemi un piacere. Portatemi il ferro caldo.
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FABRIZIO: Niente, signora. Finché io mangio il vostro pane, sono obbligato a servirvi. (Vuol partire.)
MIRANDOLINA: Fermatevi; sentite: non siete obbligato a servirmi in queste cose; ma so che per me lo fate volentieri ed io... basta, non dico altro.
FABRIZIO: Per me vi porterei
MIRANDOLINA: Perché gettato via? Sono forse
FABRIZIO: Voi non degnate i poveri uomini. Vi piace troppo la nobiltà.
MIRANDOLINA: Uh povero pazzo! Se vi potessi dir tutto! Via, via andatemi a pigliar il ferro.
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Mirandolina, poi il Servitore del Cavaliere.
MIRANDOLINA: Povero sciocco! Mi ha da servire a suo marcio dispetto. Mi par di ridere a far che gli uomini facciano a modo mio. E quel caro signor Cavaliere,
SERVITORE: Signora Mirandolina.
MIRANDOLINA: Che
SERVITORE: Il mio padrone la riverisce, e manda a vedere come sta!
MIRANDOLINA: Ditegli che sto benissimo.
SERVITORE: Dice così, che beva un poco di questo spirito di melissa, che le farà assai bene. (Le dà una boccetta
MIRANDOLINA: È
SERVITORE: Sì signora,
MIRANDOLINA: Perché non mi ha dato lo spirito di melissa, quando mi è venuto
SERVITORE: Allora questa boccetta egli non
MIRANDOLINA: Ed ora come
SERVITORE: Sentite. In confidenza. Mi ha mandato ora a chiamar un orefice,
MIRANDOLINA: Ah, ah,ah. (Ride.)
SERVITORE: Ridete?
MIRANDOLINA: Rido, perché mi manda il medicamento, dopo che son guarita del male.
SERVITORE: Sarà buono per
MIRANDOLINA: Via, ne beverò un poco per preservativo. (Beve.) Tenete, ringraziatelo. (Gli vuol dar la boccetta.)
SERVITORE: Oh! la boccetta è vostra.
MIRANDOLINA: Come mia?
SERVITORE: Sì. Il padrone
MIRANDOLINA: A posta per me?
SERVITORE: Per voi; ma zitto.
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SERVITORE: Eh via.
MIRANDOLINA: Vi dico che gliela portiate, che non la voglio.
SERVITORE: Gli volete fare
MIRANDOLINA: Meno ciarle. Fate il vostro dovere. Tenete.
SERVITORE: Non
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Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA: Uh, è cotto, stracotto e biscottato! Ma siccome quel che ho fatto con lui, non
FABRIZIO: Ecco qui il ferro. (Sostenuto, col ferro da stirare in mano.)
MIRANDOLINA: È ben caldo?
FABRIZIO: Signora sì, è caldo; così
MIRANDOLINA: Che cosa vi è di nuovo?
FABRIZIO: Questo signor Cavaliere manda le ambasciate, manda i regali. Il Servitore me
MIRANDOLINA: Signor sì, mi ha mandato una boccettina
FABRIZIO:
MIRANDOLINA: Sì, domandatelo al Servitore medesimo.
FABRIZIO: Perché
MIRANDOLINA: Perché... Fabrizio... non dica... Orsù, non parliamo altro.
FABRIZIO: Cara Mirandolina, compatitemi.
MIRANDOLINA: Via, andate, lasciatemi stirare.
FABRIZIO: Io non
MIRANDOLINA: Andatemi a preparare un altro ferro, e quando è caldo, portatelo.
FABRIZIO: Sì, vado. Credetemi, che se parlo...
MIRANDOLINA: Non dite altro. Mi fate venire la rabbia.
FABRIZIO: Sto cheto. (
MIRANDOLINA: Anche questa è buona. Mi faccio merito con Fabrizio
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CAVALIERE: (Eccola. Non ci volevo venire, e il diavolo mi ci ha strascinato!. (Da sé, indietro.)
MIRANDOLINA: (Eccolo, eccolo). (Lo vede colla coda
CAVALIERE: Mirandolina?
MIRANDOLINA: Oh signor Cavaliere! Serva umilissima. (Stirando.)
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MIRANDOLINA: Perché, signore? (Guardandolo un poco.)
CAVALIERE: Perché avete ricusato una piccola boccettina, che vi ho mandato.
MIRANDOLINA: Che voleva
CAVALIERE: Servirvene nelle occorrenze.
MIRANDOLINA: Per grazia del cielo, non sono soggetta agli svenimenti. Mi è accaduto oggi quello che mi è accaduto mai più. (Stirando.)
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MIRANDOLINA: Mi ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna, e mi ha fatto male. (Stirando con rabbia.)
CAVALIERE: Come? Possibile? (Rimane mortificato.)
MIRANDOLINA: È così
CAVALIERE:
MIRANDOLINA: Questo ferro è poco caldo. Ehi; Fabrizio? se
CAVALIERE: Fatemi questa grazia, tenete questa boccetta.
MIRANDOLINA: In verità, signor Cavaliere, dei regali io non ne prendo. (Con disprezzo, stirando.)
CAVALIERE: Li avete pur presi dal Conte
MIRANDOLINA: Per forza. Per non disgustarlo. (Stirando.)
CAVALIERE: E vorreste fare a me questo torto? e disgustarmi?
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MIRANDOLINA: Ah, ah, ah. (Ride forte, e stira.)
CAVALIERE: Ridete?
MIRANDOLINA: Non vuol che rida? Mi burla, e non vuol
CAVALIERE: Eh furbetta! Vi burlo eh? Via, prendete questa boccetta.
MIRANDOLINA: Grazie, grazie. (Stirando.)
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Fabrizio col ferro, e detti.
FABRIZIO: Son qua. (Vedendo il Cavaliere,
MIRANDOLINA: È caldo bene? (Prende il ferro.)
FABRIZIO: Signora sì. (Sostenuto.)
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FABRIZIO: Niente, padrona, niente.
MIRANDOLINA: Avete male? (Come sopra.)
FABRIZIO: Datemi
MIRANDOLINA: In verità, ho paura che abbiate male. (Come sopra.)
CAVALIERE: Via, dategli il ferro, e che se ne vada.
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CAVALIERE: Si vede che ne siete invaghita.
MIRANDOLINA: Io innamorata di un cameriere? Mi fa un bel complimento, signore; non sono di sì cattivo gusto io. Quando volessi amare, non getterei il mio tempo sì malamente. (Stirando.)
CAVALIERE: Voi meritereste
MIRANDOLINA: Del re di spade, o del re di coppe? (Stirando.)
CAVALIERE: Parliamo sul serio, Mirandolina, e lasciamo gli scherzi.
MIRANDOLINA: Parli pure, che io
CAVALIERE: Non potreste per un poco lasciar di stirare?
MIRANDOLINA: Oh perdoni! Mi preme allestire questa biancheria per domani.
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MIRANDOLINA: Sì signore, glielo diremo. (Stirando in fretta, si fa cadere un manicotto.)
CAVALIERE (leva di terra il manicotto, e glielo dà): Credetemi...
MIRANDOLINA: Non
CAVALIERE: Voi meritate di esser servita.
MIRANDOLINA: Ah, ah, ah. (Ride forte.)
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MIRANDOLINA: Tenga il suo spirito di melissa. (Gli getta con disprezzo la boccetta.)
CAVALIERE: Non mi trattate con tanta asprezza. Credetemi, vi amo, ve lo giuro. (Vuol prenderle la mano, ed ella col ferro lo scotta.) Aimè!
MIRANDOLINA: Perdoni: non
CAVALIERE: Pazienza! Questo è niente. Mi avete fatto una scottatura più grande.
MIRANDOLINA: Dove, signore?
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MIRANDOLINA: Fabrizio. (Chiama ridendo.)
CAVALIERE: Per carità, non chiamate colui.
MIRANDOLINA: Ma se ho bisogno
CAVALIERE: Aspettate... (ma no...) chiamerò il mio servitore.
MIRANDOLINA: Eh! Fabrizio... (Vuol chiamare Fabrizio.)
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MIRANDOLINA: Oh, questa è bella! Non mi potrò servire della mia gente?
CAVALIERE: Chiamate un altro; colui non lo posso vedere.
MIRANDOLINA: Mi pare
CAVALIERE: Compatitemi... son fuori di me.
MIRANDOLINA: Anderò io in cucina, e sarà contento.
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CAVALIERE: Lo confesso. Ho gelosia di colui. (Le va dietro.)
MIRANDOLINA: (Mi vien dietro come un cagnolino). (Da sé, passeggiando.)
CAVALIERE: Questa è la prima volta
MIRANDOLINA: Nessuno mi ha mai comandato. (Camminando.)
CAVALIERE: Non intendo di comandarvi: vi prego. (La segue.)
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MARCHESE: Mi meraviglio di voi.
CAVALIERE: Finalmente il vaso non vi ha colpito.
MARCHESE: Una gocciola
CAVALIERE: Torno a dir, compatitemi.
MARCHESE: Questa è una impertinenza.
CAVALIERE: Non
MARCHESE: Voglio soddisfazione.
CAVALIERE: Se non volete compatirmi, se volete soddisfazione, son qui, non ho soggezione di voi.
MARCHESE: Ho paura che questa macchia non voglia andar via; questo è quello che mi fa andare in collera. (Cangiandosi.)
CAVALIERE: Quando un cavalier vi chiede scusa, che pretendete di più? (Con isdegno.)
MARCHESE: Se non
CAVALIERE: Vi dico, che son capace di darvi qualunque soddisfazione.
MARCHESE: Via, non parliamo altro.
CAVALIERE: Cavaliere malnato.
MARCHESE: Oh questa è bella! A me è passata la collera, e voi ve la fate venire.
CAVALIERE: Ora per
MARCHESE: Vi compatisco, so che male avete.
CAVALIERE: I fatti vostri io non li ricerco.
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SCENA NONA
MARCHESE (solo): È innamorato, si vergogna, e non vorrebbe che si sapesse. Ma forse non vorrà che si sappia, perché ha paura di me; avrà soggezione a dichiararsi per mio rivale. Mi dispiace assaissimo di questa macchia; se sapessi come fare a levarla! Queste donne sogliono avere della terra da levar le macchie. (Osserva nel tavolino e nel paniere.) Bella questa boccetta! Che sia
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DEJANIRA: Ho io un segreto per cavar le macchie.
MARCHESE: Mi farete piacere a insegnarmelo.
DEJANIRA: Volentieri.
MARCHESE: Vi vuole uno scudo?
DEJANIRA: Sì, signore, vi pare una grande spesa?
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DEJANIRA: Sì, signore mi diletto di tutto.
MARCHESE: Brava, damina, brava. Così mi piace.
DEJANIRA: Sarà
MARCHESE: Non volete? È oro sicuro. (Non conosce
DEJANIRA: È sua, signor Marchese?
MARCHESE: È mia, e vostra se comandate.
DEJANIRA: Obbligatissima alle sue grazie. (La mette via.)
MARCHESE: Eh! so che scherzate.
DEJANIRA: Come? Non me
MARCHESE: Non è cosa da vostra pari. È una bagattella. Vi servirò di cosa migliore, se ne avete voglia.
DEJANIRA: Oh, mi meraviglio. È anche troppo. La ringrazio, signor Marchese.
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MARCHESE: Basta. Non so che dire. servitevi, se vi degnate. (Pazienza! Bisognerà pagarla a Mirandolina. Che cosa può valere? Un filippo?). (Da sé.)
DEJANIRA: Il signor Marchese è un cavalier generoso.
MARCHESE: Mi vergogno a regalar queste bagattelle. Vorrei che quella boccetta fosse
DEJANIRA: In verità, pare propriamente oro. (La tira fuori, e la osserva.) Ognuno
MARCHESE: È vero, chi non ha pratica
DEJANIRA: Anche al peso par che sia oro.
MARCHESE: E pur non è vero.
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Il Marchese, poi il Servitore del Cavaliere.
MARCHESE: Credo che se ne rida, perché mi ha levato con quel bel garbo la boccettina.
SERVITORE (cerca sul tavolo): Dove diamine sarà questa boccetta?
MARCHESE: Che cosa cercate, galantuomo?
SERVITORE: Cerco una boccetta di spirito di melissa. La signora Mirandolina la vorrebbe. Dice che
MARCHESE: Era una boccettina di princisbech?
SERVITORE: No signore, era
MARCHESE:
SERVITORE: Certo che era
MARCHESE: (Oh povero me!). (Da sé.) Ma come lasciar così una boccetta
SERVITORE: Se
MARCHESE: Mi pare ancora impossibile che fosse
SERVITORE: Era oro, gli dico.
MARCHESE: Io?... Non ho veduto niente.
SERVITORE: Basta. Le dirò che non la trovo. Suo danno. Doveva mettersela in tasca. (Parte.)
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Il Marchese, poi il Conte.
MARCHESE: Oh povero Marchese di Forlipopoli! Ho donata una boccetta
CONTE: Che dite, signor Marchese, della bellissima novità?
MARCHESE: Di quale novità?
CONTE: Il Cavaliere Selvatico, il disprezzator delle donne, è innamorato di Mirandolina.
MARCHESE:
CONTE: Ma se Mirandolina gli corrisponde?
MARCHESE: Ciò non può essere. Ella non farà a me questo torto. Sa chi sono. Sa cosa ho fatto per lei.
Riga 353:
CONTE: Perché non può essere?
MARCHESE: Vorreste mettere il Cavaliere a confronto di me?
CONTE: Non
MARCHESE: Come! A lui si fanno
CONTE: Ed io che ho speso tanto per lei?
MARCHESE: Ed io che la regalava continuamente? Le ho fino dato da bere di quel vino di Cipro così prezioso. Il Cavaliere non avrà fatto con costei una minima parte di quello che abbiamo fatto noi.
CONTE: Non dubitate, che
MARCHESE: Sì? Che cosa le ha donato?
CONTE: Una boccettina
MARCHESE: (Oimè!) (Da sé.) Come lo avete saputo?
CONTE: Il di lui servidore
MARCHESE: (Sempre peggio. Entro in un impegno col Cavaliere). (Da sé.)
CONTE: Vedo che costei è
MARCHESE: Sì, fate bene, andate.
CONTE: E voi che siete un cavaliere di tanta riputazione, dovreste partire con me.
MARCHESE: Ma... dove dovrei andare?
CONTE: Vi troverò io un alloggio. Lasciate pensare a me.
MARCHESE:
CONTE: Andremo in casa
MARCHESE: Basta, siete tanto mio amico, che non posso dirvi di no.
CONTE: Andiamo, e vendichiamoci di questa femmina sconoscente.
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MARCHESE: Ve li renderò quanto prima.
CONTE: Servitevi quanto vi piace. Danari a me non ne mancano; e per vendicarmi di costei, spenderei mille doppie.
MARCHESE: Sì, veramente è
CONTE: Voglio rovinare la sua locanda. Ho fatto andar via anche quelle due commedianti.
MARCHESE: Dove sono le commedianti?
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Camera con tre porte.
MIRANDOLINA (sola): Oh meschina me! Sono nel brutto impegno! Se il Cavaliere mi arriva, sto fresca. Si è indiavolato maledettamente. Non vorrei che il diavolo lo tentasse di venir qui. Voglio chiudere questa porta. (Serra la porta da dove è venuta.) Ora principio quasi a pentirmi di quel che ho fatto. È vero che mi sono assai divertita nel farmi correr dietro a tal segno un superbo, un disprezzator delle donne; ma ora che il satiro è sulle furie, vedo in pericolo la mia riputazione e la mia vita medesima. Qui mi convien risolvere quelche cosa di grande. Son sola, non ho nessuno dal cuore che mi difenda. Non ci sarebbe altri che quel buon uomo di Fabrizio, che in tal caso mi potesse giovare. Gli prometterò di sposarlo... Ma... prometti, prometti, si stancherà di credermi... Sarebbe quasi meglio
Riga 410:
Il Cavaliere batte per di dentro alla porta.
MIRANDOLINA: Battono a questa porta: chi sarà mai? (
CAVALIERE: Mirandolina. (Di dentro.)
MIRANDOLINA: (
CAVALIERE: Mirandolina, apritemi. (Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Aprirgli? Non sono sì gonza). Che comanda, signor Cavaliere?
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MIRANDOLINA: Favorisca andare nella sua camera, e mi aspetti, che or ora son da lei.
CAVALIERE: Perché non volete aprirmi? (Come sopra.)
MIRANDOLINA: Arrivano
CAVALIERE: Vado: se non venite, povera voi. (Parte.)
MIRANDOLINA: Se non venite, povera voi! Povera me, se vi andassi. La cosa va sempre peggio. Rimediamoci, se si può. È andato via? (Guarda al buco della chiave.) Sì, sì, è andato. Mi aspetta in camera, ma non vi vado. Ehi? Fabrizio. (Ad
FABRIZIO: Avete chiamato?
MIRANDOLINA: Venite qui; voglio farvi una confidenza.
Riga 445:
CAVALIERE: Apritemi. (Di dentro.)
MIRANDOLINA: Il Cavaliere. (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Che cosa vuole? (
MIRANDOLINA: Aspettate
FABRIZIO: Di che avete timore?
MIRANDOLINA: Caro Fabrizio, non so, ho paura della mia onestà. (Parte.)
Riga 461:
Il Marchese ed il Conte dalla porta di mezzo, e detti.
CONTE: Che
MARCHESE: Che rumore è questo? (Sulla porta.)
FABRIZIO: Signori, li prego: il signor Cavaliere di Ripafratta vuole sforzare quella porta. (Piano, che il Cavaliere non senta.)
Riga 471:
MARCHESE: (Se vedo niente niente, me la colgo). (Da sé.)
(Fabrizio apre, ed entra il Cavaliere.)
CAVALIERE: Giuro al cielo,
FABRIZIO: Chi cercate, signore?
CAVALIERE: Mirandolina
FABRIZIO: Io non lo so.
MARCHESE: (
CAVALIERE: Scellerata, la troverò. (
CONTE: Con chi
MARCHESE: Cavaliere, noi siamo amici.
CAVALIERE: (Oimè! Non vorrei per tutto
FABRIZIO: Che cosa vuole, signore, dalla padrona?
CAVALIERE: A te non devo rendere questi conti. Quando comando, voglio esser servito. Pago i miei denari per questo, e giuro al cielo, ella avrà che fare con me.
FABRIZIO: V.S. paga i suoi denari per essere servito nelle cose lecite e oneste: ma non ha poi da pretendere, la mi perdoni, che una donna onorata...
CAVALIERE: Che dici tu? Che sai tu? Tu non entri
FABRIZIO: Le ha ordinato di venire nella sua camera.
CAVALIERE: Va via, briccone, che ti rompo il cranio.
Riga 510:
CAVALIERE: Intendete voi di che parli? (Alterato, al Marchese.)
MARCHESE: Amico, io non so niente.
CONTE: Parlo di voi, che col pretesto di non poter soffrire le donne, avete tentato rapirmi il cuore di Mirandolina,
CAVALIERE: Io? (Alterato, verso il Marchese.)
MARCHESE: Io non parlo.
CONTE: Voltatevi a me, a me rispondete. Vi vergognate forse
CAVALIERE: Io mi vergogno
CONTE: A me una mentita?
MARCHESE: (La cosa va peggiorando). (Da sé.)
Riga 525:
CAVALIERE: Sì, vi renderò conto... Datemi la vostra spada. (Al Marchese.)
MARCHESE: Eh via, acquietatevi tutti due. Caro Conte, cosa importa a voi che il Cavaliere ami Mirandolina?...
CAVALIERE: Io
MARCHESE: Mente? La mentita non viene da me. Non sono io che lo dico.
CAVALIERE: Chi dunque?
Riga 546:
CAVALIERE: Eccola. (Cava la spada, e vede essere mezza lama.) Che è questo?
MARCHESE: Mi avete rotta la spada.
CAVALIERE: Il resto
MARCHESE: Sì, è vero;
CAVALIERE: Lasciatemi provveder
CONTE: Giuro al cielo, non mi fuggirete di mano.
CAVALIERE: Che fuggire? Ho cuore di farvi fronte anche con questo pezzo di lama.
MARCHESE: È lama di Spagna, non ha paura.
CONTE: Non tanta bravura, signor gradasso.
CAVALIERE: Sì, con questa lama. (
CONTE: Indietro. (Si pone in difesa.)
Riga 570:
CONTE: Eccolo lì il signor Cavaliere. È innamorato di voi.
CAVALIERE: Io innamorato? Non è vero; mentite.
MIRANDOLINA: Il signor Cavaliere innamorato di me? Oh no, signor Conte, ella
CONTE: Eh, che siete voi pur
MIRANDOLINA: Si, si vede...
CAVALIERE: Che si sa? Che si vede? (Alterato, verso il Marchese.)
MARCHESE: Dico, che quando è, si sa... Quando non è, non si vede.
MIRANDOLINA: Il signor cavaliere innamorato di me? Egli lo nega, e negandolo in presenza mia, mi mortifica, mi avvilisce, e mi fa conoscere la sua costanza e la mia debolezza. Confesso il vero, che se riuscito mi fosse
CAVALIERE: (Ah! Non posso parlare). (Da sé.)
CONTE: Lo vedete? Si confonde. (A Mirandolina.)
MARCHESE: Non ha coraggio di dir di no. (A Mirandolina.)
CAVALIERE: Voi non sapete quel che vi dite. (Al Marchese, irato.)
MARCHESE: E sempre
MIRANDOLINA: Oh, il signor Cavaliere non
CAVALIERE: Sono dunque finte le lagrime delle donne, sono mendaci gli svenimenti?
MIRANDOLINA: Come! Non lo sa, o finge di non saperlo?
CAVALIERE: Giuro al cielo! Una tal finzione meriterebbe uno stile nel cuore.
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, non si riscaldi, perché questi signori diranno
CONTE: Sì, lo è, non lo può nascondere.
MARCHESE: Si vede negli occhi.
Riga 593:
CAVALIERE: (Non posso più). (Da sé.) Conte, ad altro tempo mi troverete provveduto di spada. (Getta via la mezza spada del Marchese.)
MARCHESE: Ehi! la guardia costa denari. (La prende di terra.)
MIRANDOLINA: Si fermi, signor Cavaliere, qui ci va della sua riputazione. Questi signori credono
CAVALIERE: Non vi è questo bisogno.
MIRANDOLINA: Oh sì, signore. Si trattenga un momento.
CAVALIERE: (Che far intende costei?). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Signori, il più certo segno
CAVALIERE: Di chi volete voi essere?
MIRANDOLINA: Di quello a cui mi ha destinato mio padre.
FABRIZIO: Parlate forse di me? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Sì, caro Fabrizio, a voi in presenza di questi cavalieri
CAVALIERE: (Oimè! Con colui? non ho cuor di soffrirlo). (Da sé, smaniando.)
CONTE: (Se sposa Fabrizio, non ama il Cavaliere). (Da sé.) Sì, sposatevi, e vi prometto trecento scudi.
MARCHESE: Mirandolina, è meglio un uovo oggi, che una gallina domani. Sposatevi ora, e vi do subito dodici zecchini.
MIRANDOLINA: Grazie, signori, non ho bisogno di dote. Sono una povera donna senza grazia, senza brio, incapace
CAVALIERE: Sì, maledetta, sposati a chi tu vuoi. So che tu
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CONTE: Dica ora di non essere innamorato.
MARCHESE: Se mi dà
MIRANDOLINA: Zitto, signori zitto. È andato via, e se non torna, e se la cosa passa così, posso dire di essere fortunata. Pur troppo, poverino, mi è riuscito
FABRIZIO: La mano? Piano un poco, signora. Vi dilettate
MIRANDOLINA: Eh via, pazzo! È stato uno scherzo, una bizzarria, un puntiglio. Ero fanciulla, non avevo nessuno che mi comandasse. Quando sarò maritata, so io quel che farò.
FABRIZIO: Che cosa farete?
Riga 637:
MIRANDOLINA: Signori miei, ora che mi marito, non voglio protettori, non voglio spasimanti, non voglio regali. Sinora mi sono divertita, e ho fatto male, e mi sono arrischiata troppo, e non lo voglio fare mai più. Questi è mio marito...
FABRIZIO: Ma piano, signora...
MIRANDOLINA: Che piano! Che cosa
FABRIZIO: Vorrei che facessimo prima i nostri patti.
MIRANDOLINA: Che patti? Il patto è questo: o dammi la mano, o vattene al tuo paese.
FABRIZIO: Vi darò la mano... ma poi...
MIRANDOLINA: Ma poi, sì, caro, sarò tutta tua; non dubitare di me ti amerò sempre, sarai
FABRIZIO: Tenete, cara, non posso più. (Le dà la mano.)
MIRANDOLINA: (Anche questa è fatta). (Da sé.)
CONTE: Mirandolina, voi siete una gran donna, voi avete
MARCHESE: Certamente la vostra maniera obbliga infinitamente.
MIRANDOLINA: Se è vero
CONTE: Dite pure.
MARCHESE: Parlate.
FABRIZIO: (Che cosa mai adesso domanderà?). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Le supplico per atto di grazia, a provvedersi di
FABRIZIO: (Brava; ora vedo che la mi vuol bene). (Da sé.)
CONTE: Sì, vi capisco e vi lodo. Me ne andrò, ma dovunque io sia, assicuratevi della mia stima.
MARCHESE: Ditemi: avete voi perduta una boccettina
MIRANDOLINA: Sì signore.
MARCHESE: Eccola qui.
MIRANDOLINA: Queste espressioni mi saran care, nei limiti della convenienza e
Fine della Commedia
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