Mantova e Urbino/II. 1490-1501: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Alebot (discussione | contributi)
Correzione via bot
Riga 15:
| succ = {{{succ|}}}
}}</onlyinclude>
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=I. 1471-1489
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Mantova e Urbino/1471-1489|I. 1471-1489
|CapitoloSuccessivo=III. 1502-1503
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Mantova e Urbino/1502-1503|III. 1502-1503
}}
 
{{Centrato|<big>II.</big>}}
Line 26 ⟶ 21:
 
 
Le nozze di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este furono celebrate a Ferrara il 12 febbraio 1490<ref><small>{{AutoreCitatoAc|Ludovico Antonio Muratori|MURATORI}}</small>, ''Rerum Ital. Script.'', <small>XXIV</small>, 281; <small>{{AutoreCitatoAc|Antonio Frizzi|FRIZZI}}</small>, ''{{TestoCitato|Memorie per la storia di Ferrara|Storia di Ferrara}}'', Ferrara, 1848, <small>IV</small>, 161-62.</ref>. Dopo la cerimonia, la sposa fu condotta per la città secondo il costume, accompagnata da tutta la Corte. Essa aveva alla sua destra il Duca d’Urbino ed alla sinistra l’ambasciatore di Napoli<ref>Da relazione inedita di Girolamo Stanga, in data Figarolo, 13 febbraio ’90.</ref>. fu accompagnata a Mantova dai parenti più prossimi e v’entrò per porta Pradella il 15 febbraio. Grandiose furono le accoglienze e le feste: rappresentazioni, concerti, pranzi e danze, che durarono fino all’ultima notte di carnevale. Si calcolò che circa diciassette mila forestieri concorressero a Mantova in quell’occasione<ref>Cfr. <small>VOLTA</small>, ''Storia di Mantova'', <small>II</small>, 230-31 e <small>D’ARCO</small>, ''Notizie d’Isabella Estense'', Firenze, 1845, p. 31.</ref>. Tra i più cospicui figuravano il Duca e la Duchessa d’Urbino, dai quali, seguendo un uso comune a quel tempo, il Marchese s’era fatto prestare tappezzerie ed argenti, per meglio apparare il palazzo ed ornare le mense<ref>Nel copialettere del Marchese, L. 134, v’è la seguente notevole lettera:
 
{{ms}}Ill.<sup>mo</sup> ecc.
Line 53 ⟶ 48:
Venne finalmente l’aspettata e desiderata Elisabetta nel marzo del 1493, quantunque i soliti dolori di stomaco la avessero di nuovo molestata proprio in quella che stava per partire.<ref>Lett. al Marc. 7 marzo ’93. <small>FERRATO</small>, pp.81-82.</ref> Già vedemmo come la Gonzaga le inviasse incontro, per rallegrarla, ''il poeta''. Per desiderio della Marchesa mossero pure ad incontrarla i più cospicui cittadini, e lei stessa, Isabella, si recò fino a Rovere. Il 19 marzo a Mantova fu accolta "cum universale dimostratione de alegreza".<ref>Copialett. d’Isabella, L. III; 16 e 20 marzo ’93.</ref> Poco appresso, il 23 marzo, la Marchesa partecipava alla madre di stare deliziosamente insieme con la cognata, "quale spero cum la conformità de quest’aere a la natura sua et copia de boni medici debba revalersi, et già me pare che la cominci a sentire la virtù de l’aere et le careze ch’io gli facio".<ref>Copialett., L. III.</ref>
 
Stettero insieme tutto l’aprile, in una beata comunanza di aspirazioni e di occupazioni, ma ai primi di maggio Isabella doveva portarsi, per desiderio del marito, a Venezia passando per Ferrara<ref>Il Marchese era a Venezia in marzo e poi di nuovo in aprile, e là si occupava anche degli affari del Duca d’Urbino. Vedi in proposito la lettera d’Elisabetta, 26 aprile, da Mantova, che non è già diretta a lui, come sbadatamente pone il <small>FERRATO</small> nel pubblicarla (''Op. cit.'', pp. 82-83), ma al comun fratello Giovanni.</ref>, ed era suo interesse che il viaggio si compisse presto per prevenire l’andata del Moro e non sfigurare al confronto dello sfarzo della sorella Beatrice.<ref>Di ciò distesamente nelle nostre ''Relazioni con gli Sforza'', pagina 70 e segg.</ref> Il 4 maggio giungeva a Ferrara, noiata questa volta assai pel tempo poco favorevole, e per l’abbandono della dolce compagna. "Appena - le scriveva - me ritrovai in barca senza la sua dulcissima compagnia venni tanto bizarra, che non sapeva che volesse. Havendo per mio conforto aqua et vento sempre contrario... molte volte me agurai in camera de V.S. a giochare a ''scartino''"<ref>Copialett., L.III. Questo documento producemmo già nelle citate ''Relazioni'', p. 73m ''n''. 1. Che cosa veramente fosse lo ''scartino'', per cui le due dame avevano singolare predilezione, non sapremmo dire con sicurezza, benchè ci sorrida il pensiero che potesse essere qualcosa di simile all’attuale ''ècartè''. Certo era un giuoco favorito a Mantova in quel tempo. Da Padova, il 20 maggio ’93, la Marchesa ordina a Francesco Bagnacavallo "duo para de carte ''da scartino''" accusa al medesimo ricevuta il 1° dicembre di quell'annoquell’anno (Copialett., L.<small>IV</small>). Il 7 settembre 1495 il Marchese, dal campo, chiede alla moglie di fargli avere "fino a due para de ''scartini'', a ciò possiamo passare el tempo cum mancho pensero". Il 9 luglio 1509 Tolomeo Spagnoli comunica da Mantova che la Marchesa "sta molto bene e si spassa il caldo dil dì "giocando a ''scartino''". Tali esempi si potrebbero moltiplicare. L'anonimoL’anonimo autore del ''Diario Ferrarese'', parlando di giuochi che costumavano in Ferrara nel dicembre 1499, scrive: "Si usa et costuma di giocare a carte molto, come a falsinelli, a rompha, a risuscitare li morti, ''a scartare'' et a mille diavolamenti". (<small>{{AutoreCitatoAc|Ludovico Antonio Muratori|MURATORI}}</small>, ''Rerum Ital. Script.'', <small>XXV</small>, 376). Borso da Correggio, riferendo il 28 agosto '93’93 i giuochi cui prendeva parte Beatrice Sforza, dice: "L'esercitioL’esercitio nostro è questo. La matina si cavalca un poco, al dopo disinare, ''a scartino'', a resuscitar morti e imperiale fin a l'horal’hora de dormire". (''Relazioni con gli Sforza'', p.84). Nel 1495 Ludovico il Moro pregava Ercole d'Ested’Este d'inviarglid’inviargli a volta di corriere 12 paia di ''scartini'' e due anni dopo si doleva col cardinale Ippolito, che don Alfonso non "li havesse mandato certe carte da ''scartino'' ch'elch’el ge haveva promesso". (<small>VENTURI</small>, in ''Arch. stor. lombardo'', XII, 254). A Ferrara infatti ed a Mantova, l'industrial’industria delle carte da giuoco dipinte a mano era assai progredita nel secolo XV, e verso la fine di quel secolo e nel successivo a Ferrara facevansi anche molte carte impresse. Cfr. <small>CAMPORI</small>, ''Le carte da giuoco dipinte per gli Estensi'', pp. 11-12. Che lo ''scartino'' si giocasse con le ''carticelle'' e non coi ''naibi'' o ''trionfi'' (<small>CAMPORI</small>, ''op. cit.'', p.13 e <small>RENIER</small>, ''Tarocchi di M.M.Boiardo'', Modena, 1889, pp.7-8 e 9, ''n.'' 1) ci sembra quasi indubitabile. Isabella, del resto, si dilettava anche di giuochi meno innocenti dello ''scartino'', come il ''flusso''. Battista Guarino in certa sua lettera del 2 febbraio 1493 le dice: "Ma la V.S. farà pensiero di avere perso qualche posta a ''fluxo'', over a ''scartino''" (<small>LUZIO</small>, ''Precettori d'Isabellad’Isabella'', Ancona, 1887, p.22). Il 16 novembre 1502, Tolomeo Spagnoli scrive al Marchese: "La ill.<sup>ma</sup> M<sup>a</sup> ha convertito il tempo che ''la giocava a fluxo'' in vedere giocare a scacchi, ma lei non giocha mai, il che procede perchè la ne scià molto pocho". In seguito divenne valente anche in quel difficile giuoco, e meritò che il Vida le dedicasse il suo noto poema. Il ''flusso'' era giuoco assai rischioso; Stazio Gadio il 31 ottobre 1515 comunicava alla Marchesa che a Milano Lorenzo de'de’ Medici (poscia duca d'Urbinod’Urbino) giuocando a ''flusso'' col re di Francia e con altri "in pochi giorni tirò circha 600 scudi". Il ''flusso'' è frequentissime volte nominato nei documenti e nelle opere a stampa del Rinascimento (Vedi ''Crusca'' sotto ''flusso'' e ''frussi''). ''Giuoco maladetto'' lo chiamano i ''Canti carnascialeschi''. Il confonderlo con la ''primiera'', che la Marchesa preferiva nell'etànell’età avanzata (ne abbiamo documenti del 1527 e 1538), non è giusto, quantunque vi fosse realmente una figura della ''primiera'' chiamata ''flusso''. Vedi su ciò specialmente il Commento al ''{{TestoCitato|Rime (Berni)/XIV. Capitolo della primiera|Capitolo sul giuoco della primiera}}'' del {{AutoreCitatoAc|Francesco Berni|Berni}}, in <small>BERNI</small>, ''Rime, poesie latine lettere'', ediz. Virgili, Firenze, 1885, pp. 365 e 393. Ma in quello stesso tanto fortunato Commento il ''flusso'' è nominato, col ''trentuno'', come giuoco da donne, diverso dalla ''primiera'' (p. 377), sicchè crediamo poterne concludere che oltre alla menzionata figura della ''primiera'', il nome ''flusso'' significasse un altro giuoco, affatto distinto. Come appunto distinti indica i due giuochi l'l’<small>{{AutoreCitatoAc|Pietro Aretino|ARETINO}}</small> nel ''Ragionamento del gioco'' (''Terza parte dei Ragionamenti'', Venezia, 1589, c.91''r'', 148''v'' e 149''r'', 161''r''); come distinti li nomina il <small>RABELAIS</small>, in ''Gargantua'', L.<small>I</small>, cap.22 (''flux'' e ''prime'') ed anche il <small>GARZONI</small>, ''Piazza universale'', Venezia, 1617, c. 244''r''. A Isabella piaceva anche di giuocare a ''nichino''. Giangiacomo Calandra informava Federico il 16 nov. 1516: "Gli exercitii de S. Ex. (''vostra madre'') sono le littere a le hore consuete, le solite orationi ed hore, et qualche volta spassa il tempo con gioco con questi S. et gentilhomini, et alle volte ''a nichino'' per spasso con questi gentilhomini, ecc". Di questo giuoco non ci riuscì di trovare indizio altrove. Sarebbe forse il giuoco ''à la nicuqe nocque'', che compare nel luogo menzionato del ''Gargantua''? In questo caso sarebbe giuoco di tavoliere.</ref>. Alla sua volta Elisabetta, angustiata per l'intemperiel’intemperie nella quale la Marchesa era incorsa, le scriveva con molto affetto il giorno medesimo (4 maggio) "affinchè - diceva - almeno, essendo priva de la dolce sua conversatione, lo intendere nova di quella me habi a dare alcuna recreatione, advisando V.S. che dall'oradall’ora quella si partì non mi son sentita troppo bene, et per li continuati cattivi tempi maj sono uscita di camera, dove senza V.S. mi pare essere mezza"<ref><small>FERRATO</small>, pp. 83-84. Egli stampa "mi pare esser mossa"!</ref>. A Ferrara Isabella assisteva frattanto alle nozze della figliuola di Ludovico Uberti, che si maritava in casa Strozzi<ref>"M.Tito [Strozzi] se fece grande honore de representatione, apparati et feste", scrive il 10 maggio alla Duchessa (Copialett., <small>L.</small>III). E'E’ noto come Tito Vespasiano Strozzi, che fu giudicato il miglior poeta latino di Ferrara al suo tempo, fosse in rapporti cordialissimi con gli Estensi, dai quali ottenne segnalati favori. Vedasi ora la diligente biografia che ne scrisse <small>R. ALBRECHT</small>, ''Tito Vesp. Strozza'', Leipzig, 1891. La sposa era Simona degli Uberti, e lo sposo Guido, figlio di Tito Vespasiano. Cfr. <small>LITTA</small>, ''Famiglie'', Strozzi di Firenze, tav. <small>V.</small></ref>, nella quale occasione Ercole Strozzi fece rappresentare una sua commedia<ref>Al marito, 10 maggio: "Dopo disnar fu representata una comedia novamente composta per M. Hercule Strozo, cum certe moresche in mezo, che fu veramente de gran piacer, et ritrovosseli el S. mio patre cum gran populo". (Copialett., <small>L.</small> III). Questa commedia, di cui non s'has’ha altra notizia, registra anche il <small>D'ANCONAD’ANCONA</small>, ''Origini del teatro'', <small>II</small>, 131, ''n.''3, il quale per altro prende equivoco nel credere che fosse rappresentata pel Moro, che allora non era peranco a Ferrara. Tito Strozzi era particolarmente amico (come il suo signore) degli spettacoli scenici, onde un suo congiunto ebbe a dire: "fu ancora splendido e magnifico in fare spettaculi comici nella sua propria abitazione, con apparati e conviti regi, e presente il signor Duca e tutto il populo di Ferrara: per il che si vide quanto fosse liberale". <small>{{AutoreCitatoAc|Lorenzo Strozzi|LOR. STROZZI}}</small>, ''Vite degli uomini illustri della Casa Strozzi'', ediz. P.Stromboli, Firenze, 1892, pp. 59-60.</ref>. Il 15 maggio era a Venezia, ove si trattenne solo quattro o cinque giorni, uggita dagli interminabili ricevimenti ufficiali, che non permettevano alla sua giovinezza espansiva e vivace la libertà che avrebbe voluta<ref>Per questo viaggio vedi le ''Relazioni con gli Sforza'', pp. 73-77.</ref>. Benedetto Capilupo informava di tutto la Duchessa, la quale, continuando ad annoiarsi sola a Mantova (il Marchese stava a Marmirolo, d'onded’onde veniva solo qualche volta a trovarla) diceva col suo adorabile garbo alla cognata: "spesso mi ritrovo in fra dui gran desiderii, uno che continuo voria intendere quella ritrovarsi in triomphi et letitie et in li meriti onori; l'altrol’altro che voria continuo potermi godere la dulcissima conversatione sua, et quella ritornasse a reintegrare la separata nostra conversatione, senza la quale io confesso non sapere pigliare alcuno compìto piasere, et altro non desidero che essere cum V.S.: quale prego voglia far bono ritorno et accellerato quanto sia possibile, chè ho dispiasere questi caldi ve diano molestia, et desidero veniate in le comodità et che che possiamo godere insieme"<ref>18 maggio '93’93. <small>FERRATO</small>, p. 85.</ref>. S'imagineràS’imaginerà quindi di leggieri la gioia dell'eccellentedell’eccellente Duchessa quando ricevette dalla quasi sorella una lettera da Vicenza, del 23 maggio, in cui la invitava ad andarle incontro a Porto Mantovano "a ciò che de compagnia godiamo quello aere bono et stiamo in consolatione a rendere conto l'unal’una a l'altral’altra de quanto c'èc’è occorso doppo siamo state separate". La Duchessa attendevala infatti il 27 e le due dame si fermarono nel palazzo di Porto, "per fugire lo cativo aere del castello"<ref>Copialett., <small>L.</small>III; alla Duchessa e al marito, 28 maggio.</ref>.
Durò tuttto il giorno quel dolce sodalizio. Ai primi di luglio la Marchesa dovette tornare a Ferrara presso la madre che la bramava, e vi stette fino al 10 d'agostod’agosto. Dalla corrispondenza d'allorad’allora noi trasceglieremo quest'affettuosaquest’affettuosa letterina di Isabella:
 
{{ms|font=0.7pc}}
Ill<sup>me</sup> D<sup>ne</sup> Ducisse Urbini,
 
Ill<sup>ma</sup>, etc. Hozi ho una lettera de V. Ex. de XXIII instantis per la quale me avisa del suo ben stare, dil desiderio che la tene de sentire el simile di me et del presto ritorno mio. Respondendoli dico che al presente non haveria potuto recevere cosa più grata, perchè essendo stata molti dì senza lettere sue et da me ogni hora desiderate, tanto magiore contenteza me ha addutto questa, quanto sia venuta cum magiore expectatione. De la sua bona valitudine ho singular piacere et sono più che certa che la desideri la mia, per vicissitudine de l'animol’animo et affecto mio verso essa. Questo interviene anche circa l'optatol’optato suo de vedermi retornare presto, perchè se ben sono in loco dove debitamente debbo desiderare stare longamente, nondimeno la dolcissima compagnia de V.S., ultra el rispecto de l'illl’ill<sup>mo</sup> S<sup>r</sup> mio consorte me fa spesso pensare al ritorno, qual anchora non può sequire cum bona satisfactione de la ill<sup>ma</sup> M<sup>a</sup> mia matre che va intertenendomi più che la può. In questo mezo non agravarà a V.S. ad commettere che spesso me sia scripto, ecc.
 
Ferrarie, 26 julij 1493</font></div><ref>Copialett. <small>L.</small>III.</ref>.
 
Nella disgrazia che doveva seguire poco appresso, la morte della madre (11 ottobre 1493)<ref>Vedi su di ciò le citate ''Relazioni con gli Sforza'', pp. 85-86.</ref>, fu certo di grande conforto alla desolata Marchesa l'averel’avere al fianco una così tenera e devota amica come Elisabetta. La quale poi ebbe ad assistere, verso la fine dell'annodell’anno, alle prime gioie materne di Isabella, poichè il 31 dicembre 1493 nasceva appunto la sua primogenita Leonora<ref>Atto di nascita: "Die ult. Decembris hora xvj jam pulsata nata est infans femina Elionora, Violantes et Maria nominata, que baptizata fuit ecc. Fuerunt compatres Mag.<sup>eus</sup> Dom. Paulus Barbus Patricius Venetus capit. Verone pro Ser.<sup>mo</sup> Domino Venet., Mag.<sup>eus</sup> Dom. Lud.<sup>eus</sup> de Fogliano pro D.L.<sup>co</sup> Sfortia, ecc".</ref>, dei cui progressi noi abbiamo qui a tener conto, perchè essa pure era destinata un giorno a divenire Duchessa d'Urbinod’Urbino. In lei, secondo un pietoso costume del tempo, rifaceva Isabella il nome della madre estinta<ref>Il 14 febbraio '94’94, dando notizia di sè e della bimba alla zia, la Regina d'Ungheriad’Ungheria, dice: "Renovarò in lei el nome de la felice memoria de la mia ex<sup>ma</sup> matre, quando se baptizarà" (Copialett., <small>L.</small>IV). Il battesimo solenne non aveva ancora avuto luogo. Il 9 gennaio '94’94 il Marchese invitava come padrino Lorenzo di Pierfrancesco de'de’ Medici, il quale rispondeva con questa lettera:
{{ms}}
Ill<sup>me</sup> D<sup>ne</sup> mi max. hon. - Non potrei exprimere quanta consolatione et piacere habbia presa della nata figliuola ad V. Ill.<sup>ma</sup> S., nè quanto io me li reputi obligato degnandosi quella per ineffabile sua benignità da servitore assumermi in suo compatre. Alla quale solemnità, se come serìa mio debito et desiderio, non serò presente excusimi appresso V.S. la mala valitudine, che per occasione di scesa calda et sottile con una febbre accidentale continua m'ham’ha distenuto in casa dall'entratadall’entrata del mese in quà. Della quale benchè per gratia de Dio sia alquanto alleggerito, et ogni segno tenda ad liberatione et bona fine, pure per esser la infermità contratta di verno in questa aria sottile contraria alle scese, mi serà necessario stare in buona guardia bon spatio di giorni. Ma quello che non potrò io penso satisfaccia Gioanni mio unico fratello, al quale scriverò che doppo il votivo cammino di S.M. dell'Oretodell’Oreto ove al presente si ritrova pigli la volta di Mantua. Il che ad epso serà car.<sup>mo</sup> per far suo debito et per vedere le vostre regione; nè io potrei substituire vicario più ad me adherente, nè ad V.S. più caro et accepto. Ringrazio summamente V.S. dello avviso et della assumptione, pregando N.S. Dio ve ne conceda de maschij, et della presente figliuola vi doni quella contentezza che la S.V. desidera. Così la supplico si degni raccomandarmi et offerire alla Ill<sup>ma</sup> sua consorte mia hon.<sup>da</sup> madonna et comatre.
 
Del ritratto al naturale della città di Parigi se è con ogni diligentia investigato, nè si truova in Fiorenza chi lo habbia; di che per amore di V.S. mi dispiace assai. Agnolo del Tovaglia vostro servitore ha tolto carico scriverne al suo cugnato, et io ancora per questa causa ad altri amici mei ne scriverò me lo mandino per il primo corrieri, et ad V.S. subito che lo haremo se invierà. Alla quale m'offerom’offero parat.<sup>mo</sup> se in altra cosa posso compiacerli, quam Deus ex sententia fortunare dignetur.
 
Flor. die <small>XVI</small> jan. 1498 (st. fiorent.; st. com. 1494).
Line 75 ⟶ 70:
S<sup>r</sup> Laurentius de Medicis.</div>
 
Le ragioni politiche per cui in quell'annoquell’anno il Gonzaga stimò opportuno rivolgersi a quei Medici nemici a Piero s'intendonos’intendono facilmente (vedi <small>LITTA</small>, ''Famiglie'', Medici, tav. <small>XII</small>, e <small>{{AutoreCitatoAc|Gino Capponi|CAPPONI}}</small>, ''{{TestoCitato|Storia della Repubblica di Firenze}}'', <small>III</small>, 4 e 39). Giovanni de'de’ Medici (il futuro padre di Giovanni da le Bande Nere), delegato dal fratello, veniva a Mantova alla fine di febbraio (Vedi lettera di Lorenzo 23 febbraio '94’94). Il 2 marzo Isabella comunicava al marito: "El mag.<sup>co</sup> Johanne di Medici è venuto questa mattina quà a disnar: l'hol’ho facto allogiare in corte et .... dopo disnare è venuto a visitarme, io l'hol’ho acarezato et factoli vedere la camera et Triumphi .... et anche la nostra puttina" (Copialett. L:<small>IV.</small>). I ''Trionfi'' sono naturalmente quelli del Mantegna. Quanto al "ritratto al naturale della città di Parigi", nominato nella lettera di Lorenzo, sarà agevole vedervi uno di quei disegni topografici, di cui i Gonzaga amavano tanto ornare le pareti dei loro palazzi (cfr. <small>LUZIO</small>, in ''Archivio storico dell'artedell’arte'', <small>I</small>, 276 e segg.). Per avere il disegno di Parigi nel 1497 il Marchese si rivolse a Giovanni Bellini (<small>LUZIO</small>, ibid., p.277). Anche Isabella, molto più tardi (nel 1523) desiderava disegni di Costantinopoli e del Cairo. <small>BERTOLOTTI</small>, ''Architett., ingegn. e matemat. in relaz. coi Gonzaga'', Genova, 1889, p. 28; estratto dal ''Giornale Linguistico''.</ref>; ma avrebbe di gran lunga preferito un maschio<ref>Vedi nel lib. <small>IV</small> del copialettere d'Isabellad’Isabella le lettere alla sorella ed al padre, 1 e 2 gennaio '94’94. Nella prima dice "L'haveràL’haverà inteso como ho parturito una putta, la quale insieme cum mi sta bene, avenga che la non sia stata secondo el mio desiderio. Pur doppo cussì è piaciuto a Dio l'haveròl’haverò cara". Maggiore fu il suo dispiacere allorchè il 13 luglio 1496 partorì una seconda femmina, nella quale rinnovò il nome della madre del marito, Margherita (v. copialettere, lib.<small>VI</small>). Il Marchese quella volta mostrò prendersela con più spirito della moglie, poichè rallegrandosi il 29 luglio del parto felice, aggiungeva: "Nè accade che per essere stata femmina noi nè altri ne restino freddi, però che se mai patre si chiamò contento di figlia, noi se chiamiamo et di questa et de l'altral’altra, sperando che N.S. Dio, como ne ha concesso de le femine, ne darà ancora de li maschi, et noi siamo ben acti a posserne fare". La piccola Margherita, ciò nonostante, pensò meglio di volarsene al cielo la notte che precedette il 23 settembre, ond'èond’è che i genealogisti ignorarono affatto la sua esistenza. Il buon Capilupo la lodava molto, e il 21 luglio, scrivendo al Marchese, dicevagli: "questa putina ... è nasciuta più bella che non fece la ill<sup>ma</sup> M<sup>a</sup> Eleonora et ha qualche similitudine di V.Ex.". Leonora cominciava già ad invidiarla e sfoggiava, con compiacenza dei circostanti, il suo spirito infantile.</ref>. Nonostante i dolori morali sopravvenuti negli ultimi tempi della gravidanza, il parto riuscì felice se non agevole<ref>Il 2 febbraio 1494 la Marchesa rimanda a Ferrara una ''pietra de Aquila'' e scrivendo al Prosperi dice che sebbene quella pietra la si vanti "molto a proposito a facilitare il parto", non ha punto mostrato per lei "la virtù sua", perchè "nui senza grandissima difficultà non se ne scaricassimo". (Copialett., lib.<small>IV.</small>). Ciònonpertanto non intepidì la fede di Isabella in quel genere di pietre, dacchè sul principio della seconda gravidanza (19 dic. '95’95) partecipava al marito: "De le due petre de l'Aquilal’Aquila che ho, una ne porto de continuo adosso, l'altral’altra mando a la Ex. V. secundo che me la recercha". La credenza superstiziosa nei vantaggi, per le partorienti, della cosidetta ''pietra aquilina'' o ''etite'' vive ancor oggi tra i nostri volghi. Quel curioso amuleto suole essere una pietra vuota di dentro, che ne contiene un'altraun’altra. Cfr. <small>{{AutoreCitatoAc|Caterina Pigorini-Beri|C. PIGORINI-BERI}}</small>, ''{{TestoCitato|Costumi e superstizioni dell'Appennino Marchigiano}}'', Città di Castello, 1889, p. 268-70. Tale credenza trovasi pure oggi nel Veneto ed in Sicilia e fu dottrina medica nei secoli scorsi, come ci scrive il dotto quanto gentile dottore G. Pitrè. Cfr. <small>F. MARZOLO</small>, ''I pregiudizi in medicina'', Milano, 1879, p. 25: "L'etiteL’etite, o pietra dell'aquiladell’aquila, ha virtù di facilitare il parto e d'impedired’impedire l'abortol’aborto, a seconda che si applica alla parte inferiore o superiore del corpo".</ref>; onde nel gennaio del 1494 Elisabetta, rimessa di nuovo in salute, riprese la via di Urbino<ref>Vedi ''Diario ferrarese'', in ''R.I.S.'', <small>XXIV</small>, 287. Nel dicembre '93’93 era andato a prenderla Guidubaldo.</ref>. Ed Isabella ad accompagnarla col pensiero, a scriverle teneramente: "Non posso già preterire che non la certifichi ch'ioch’io sento grande perturbatione d'animod’animo quando penso che sono priva de cussì dolce et amorevole conversatione quanto era quella de V.S. Mentre ch'ioch’io son sta in lecto me n'èn’è parso stranio, ma molto più me ne parerà como usisca de casa"(<ref>Questa lettera è del 2 gennaio (copialettere). Il puerperio era stato felicissimo e la Marchesa girava già nel palazzo. Uscì per recarsi alla messa il 27 gennaio. "El doppo disnare sentendosi bene et desiderosa pigliare de l'aierel’aiere, montò a cavallo et andò fin sul Te a solazo, et doppo voltezando un pocho per la terra, che fu de gran recreatione ad tutto el populo, se ne tornò de bona voglia al castello. Domane matina vole andare a S<sup>ta</sup> Maria de gratia ad desfare un suo voto". Così Beatrice de'de’ Contrari al Marchese.</ref>)... V.S. presso a me non ha pare d'amored’amore se non la unica mia sorella M<sup>a</sup> Duchessa de Barrj". Il 7 febbraio informa la cognata d'essered’essere a Marmirolo, ove si trastulla con la caccia e attende una rappresentazione che si farà in fin di carnevale<ref><small>D'ANCONAD’ANCONA</small>, ''Origini'', <small>II</small>, 365.</ref>.
 
I Duchi frattanto erano giunti ad Urbino, e tutti mostravansi lieti di veder la Duchessa "bella, sana et salva". Feste cordiali furono fatte loro dai sudditi: "Tutti li putti li andorono incontra fino a li confini cum le olive in mano gridando: "''Feltro, Feltro'', et ''cinctura, cinctura'', et similiter tutte le donne meglio ornate che possevano ... Non pretermetterò certe representatione che furono facte infra via. Et prima, discosto da Urbino circa quatro miglia, in uno pianetto de una collina se scoversono a l'improvisol’improviso li cantori a cavallo in forma de cazatori cum alcune nymphe vestite a l'antichal’anticha cum li cani a lasso, li quali subito disciolti presono alcune lepore portate vive a posta, cantando certe canzone al proposito de la tornata de loro S<sup>rie</sup> et aproximandosi a la terra, aparve la Dea de l'alegrezal’alegreza, la quale congratulandosi del suo tornare li pronosticò molte felicitade et prospera fortuna". Guidubaldo, superata la minorità, si svincolò compiutamente dalla tutela dell'Ubaldinidell’Ubaldini, ed è bello il vederlo nella dignità mite e serena, nella, quasi diremmo, patriarcalità del suo governo. "Questo S<sup>re</sup> ha preso totalmente l'administrationel’administratione del governo del Stato, cum una incredibile satisfactione de li suoi populi, dimonstrando a ciascuno tanta humanità, clementia et gratia, che più non porieno desiderare, tenendo sua S<sup>ia</sup> uno optimo ordine. La matina depò la messa, la quale mai abandona, escie fora in lo salotto et mettesi a sedere a tavola, et lì ascolta tutte quelle persone che sono di qualche gravità, et expedite queste, se mette andare intorno a le logie prestando audientia a contadini et ad altre povere zente, et tutte le suplicatione de un dì che li sono porte, l'altrol’altro dì, prima che vada fora de cammera, insieme cum li cancellieri et uno doctore, che è m. Alexandro de Arezo de Lombardia, expedisce"<ref>Sono brani di lettere, che Sigismondo Golfo scrisse da Urbino il 22 e il 23 gennaio '94’94.</ref>.
 
Qualche mese dopo Elisabetta aveva il conforto d'ospitared’ospitare essa la cognata, che, per un voto fatto nel parto, compieva un pellegrinaggio a Loreto<ref>Del voto e del viaggio toccammo brevemente anche nelle ''Relazioni con gli Sforza'', pp. 94-95.</ref>. Quando Isabella partì il 10 marzo da Mantova e recossi prima a Revere, poi a Ferrara, ove si trattenne alcuni giorni, aveva intenzione d'andared’andare prima ad Urbino, per "stare in devotione la septimana sancta", e di là a Loreto e ad Assisi.
{{Sezione note}}
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=I. 1471-1489
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Mantova e Urbino/1471-1489|I. 1471-1489
|CapitoloSuccessivo=III. 1502-1503
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Mantova e Urbino/1502-1503|III. 1502-1503
}}
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}