Fu il fuoco o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano?/Lettera seconda: differenze tra le versioni

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Il marchese [[:w:Marcello Venuti|Marcello Venuti]] (''Descrizione delle prime scoperte dell'antica città d'Ercolano'') alla pagina 46 parla così: «Dirò solo che benissimo si vede, che dopo l'eruzione, dalla quale Ercolano fu sepolta, se ne contano altre ventisei. Dalle lave, che sono nella maggior parte passate sopra questa disgraziata città, proviene che tra essa ed il piano di Portici vi sia presentemente una volta (''monte'') di circa 80 palmi di pendio».
Ma questo monte è, precisamente, quello ch' io chiamo ''monte d'alluvione volcanico'', in cui non vi è un sol [[:w:atomo|atomo]] di [[:w:lava|lava]], come dirò in seguito.
 
Gli [[:w:Accademia Ercolanese|Accademici Ercolanesi]] inoltre (ed io nel citare quest'illustre Società di letterati, i quali hanno sicuramente scartabellato quanto è stato scritto su quest'argomento, do la dimostrazione dell'opinione generale di tutti gli altri scrittori, analoga a quella degli autori riferiti finora, poiché se altri avesse scritto altrimenti e ragionevolmente intorno alla distruzione e sotterramento delle due nostre rinomate città, i detti Accademici lo avrebbero senza dubbio riferito) sono perfettamente d'accordo con tutti gli altri autori intorno alla distruzione di Pompei. Infatti i signori [[:w:Accademia Ercolanese|Accademici]] credono, che fu questa città sotterrata dalla pioggia di ceneri volcaniche, lanciate per aria dal Vesuvio nell'anno 79; ma riguardo alla desolazione d'Ercolano i detti Accademici si sono appartati dall'opinione comune, e ne hanno pubblicata un'altra, che per rispetto non voglio confutare, ma che disgraziatamente si ritrova abbattuta dalla mia scoperta.
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Sicché vediamo qual è la fiaccola, colla quale essi accorrono in queste tenebre, per fugare le conghietture degli antichi; rileviamo qual è la loro opinione intorno alla distruzione d'Ercolano; e cerchiamo di vedere quanto si appartan essi da quelli e dai moderni, i quali nulladimeno fedeli agli antichi scrittori, non han voluto seguire affatto i dotti Accademici.
 
Per conto dunque d'Ercolano gli Accademici Ercolanesi parlano in questa guisa<ref>Cap. IV. §. IV. pag. 18. In primis igitur nosse oportet totum illum terrae tractum, quem in mappa expressimus, sub Tito Vesuviana adgestione aeque obrutum fuisse, non quidem liquescenti materie, quae torrentis instar fluit, et mox repente solidescit, sed ignito lapillorum, sive pumicum, cinerisque volumine, quod praeceps se<!--ctrl--> se per montis declive devolvens ad mare usque tetendit, ut infra docebimus; quodque temporis tractu in tophaceum lapidem passim coaluit, quem hodie vulgo adpellant ''pappamonte''. Hujusmodi enim materiem, qualis Herculaneo superimponi cernitur, undique in eo regionis tractu effoderis<!--Ctrl--> invenies</ref>: «Primieramente bisogna sapere, che tutto quel tratto di terreno da noi segnato nella carta, fu egualmente coperto dall'eruzione del Vesuvio al tempo di Tito» (ciò ch'è falso, perché vedremo or ora che tuttetutto
 
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{{Indent|0|il circondario d'Erodano è un terreno d'alluvione, N.d.A.), «non già da una materia liquida, che scorre a guisa di torrente, e che poi repentinamente si consolida (''cioè le lave''), ma da un volume infocato di lapilli, di pomici e di ceneri, che scorrendo precipitosamente in giù pel declivio del monte, pervenne sino al mare, siccome qui appresso verrà da noi insegnato, qual volume col passar del tempo si rappigliò in una pietra tufacea, che vien oggi volgarmente chiamata ''pappamonte''. Difatti questa tal materia, dalla quale vediamo coperto Ercolano, s'incontra in tutto il circondario, allorchè vi si fanno degli scavamenti.»}}
 
Ed in seguito delle lettere di [[:w:Gaio Plinio Cecilio Secondo|Plinio il giovane]] a [[:w:Publio Cornelio Tacito|Tacito]], che parla della cenere caduta sulle navi, i signori Accademici conchiudono così<ref>''Cap. XI. 5- X. pag. 70. E quibus verbis manifesto eruimus igneum illum torrentem, a quo Herculanum et adjacens Retina periere, cinere et ignitis lapidibus constitisse, quorum leviores vento impulsi supervolarunt, et navibus inciderent, major vero pars spissitudine sua gravior, praeceps per decliva volveretur ad mare usque, adeout vadum subitum efformaret, et lilora<!--Ctrl--> navibus obstarent ob montis ruinam.''</ref>: «Da quali parole si deduce manifestamente, che quel torrente di fuoco, che distrusse Ercolano e la vicina Retina, era formato da ceneri e lapilli infocati, de' quali i più leggieri, spinti dal vento, caddero sulle navi, la più gran parte, poi, come più
 
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{{Sezione note}}