Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo LXVIII: differenze tra le versioni

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{{Intestazione letteratura
|Nome e cognome dell'autore=Mastro Titta
|Titolo=Mastro Titta, il boia di Roma<br />Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
|Iniziale del titolo=M
|Nome della pagina principale=Mastro Titta, il boia di Roma
|Eventuale titolo della sezione o del capitolo=Capitolo sessantottesimo - Una forosetta eccentrica
|Anno di pubblicazione =
|Eventuale secondo anno di pubblicazione =
|Secolo di pubblicazione=XIX secolo
|Il testo è una traduzione?=no
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|Nome e cognome del traduttore=
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|Abbiamo la versione cartacea a fronte?=no
|URL della versione cartacea a fronte=
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Geltrude Pellegrini era la perla di Monteguidone, la perla e la stella insieme, perché alla virtù più scrupolosa accoppiava una bellezza incomparabile. Persona superba dalle forme slanciate e dense ad un tempo, capelli neri, morbidi, lucidi e lunghi per modo che quando li scioglieva sulle spalle, pareva avvolta in un peplo greco; occhi morati, pieni di languori misteriosi e di iridescenze abbaglianti; un profilo meraviglioso di purezza e di attraenza insieme; bocca sanguigna, denti bianchissimi, con lievi interstizi fra l'uno e l'altro, labbra tumidette e sensuali, pelle fine e vellutata, di quel bruno dorato pallido, che forma la disperazione dei pittori, incapaci a ritrarlo.
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