Epistolario di Renato Serra/A Luigi Ambrosini - gennaio 1905: differenze tra le versioni

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Tutto per altro non finisce di piacermi in quel pezzo che v'hai innestato dal componimento<ref>Il "componimento dell'estate scorsa", cioè del giugno 1904, deve essere allusione al lavoro scritto che noi, del terzo anno di lettere alla scuola del Carducci, dovevamo in un breve periodo di tempo preparare a casa, e consegnarlo poi al Maestro, che lo correggeva, lo postillava, e lo discuteva con noi all'esame orale del triennio. Nel maggio-giugno 1904 (e l'Ambrosini finiva appunto il terzo anno) il tema fu press'a poco questo: "Il Seicento e la prosa italiana" (cfr. <small>ALFREDO GRILLI</small> ''Note di varia letteratura'', p.31, Imola, Galeati, 1907). Il Serra, in quell'anno laureando, ricordo bene che lesse e corresse i temi dei suoi più cari amici.</ref>, se la memoria non m'inganna, dell'estate scorsa. Non ti pare che le figure dei prosatori italiani sian dintornate troppo generalmente e senza speciale convenienza col soggetto di Carducci? Invece di dirne generalmente le lodi dovevi forse calcare più su certe note che preparassero e facesser quasi aspettare il passaggio: io C. è un po' figliuolo, un po' fratello di questi.
 
Pedanterie. Ma io credo che nulla dia più forza all'ingegno come la cusacura e il travaglio di scrutare e fermare il disegno logico dei pensieri; di aggiungere, se posso dir così, la coscienza piena di tutti li aspetti delle idee.
 
In ciò è, credo, la virtù eterna dell'arte e dello stile classico; che non cede all'onda delle parole e delle imagini l'una l'altra rievocantisi nei congiungimenti fatti tenaci dal comune uso; ma rompe, rilavora e ripensa tutta quanta la materia ideale così da dare alle cose fuggitive la vita eterna. Virgilio o Dante non son mai così grandi e nuovi come in dire certe cose comuni nella lingua di tutti, ma sviluppate dai nodi della volgarità così signorilmente, da scoprire tutta l'altezza e la libertà dello spirito.
{{Centrato|<small>Per le fessure della pietra piatti</small>}}
nel primo verso che mi ritorna a mente io sento quel ripensamento originale di una imagine e di parole così profondo da dar loro una vita indimenticabile. Oppure
{{Centrato|<small>Quae picis modo digitis lentescit habendo</small>}}
(della terra grassa fra le dita)<ref>Dopo il {{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno/Canto XIX#75|v.75 del canto XIX dell' ''Inferno''}}, Serra cita il v.250 del libro II delle ''Georgiche''</ref>
{{Sezione note}}