Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/44: differenze tra le versioni

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<noinclude>petuità </noinclude>del mio stato infelice, e che volgendomi disperatamente e freneticamente per ogni dove, non trovava rimedio possibile, né speranza nessuna; in luogo di cedere, o di consolarmi colla considerazione dell’impossibile, e della necessità indipendente da me, {{ZbPagina|506}} concepiva un odio furioso di me stesso, giacché l’infelicità ch’io odiava non risiedeva se non in me stesso; io dunque era il solo soggetto possibile dell’odio, non avendo né riconoscendo esternamente altra persona colla quale potessi irritarmi de’ miei mali, e quindi altro soggetto capace di essere odiato per questo motivo. Concepiva un desiderio ardente di vendicarmi sopra me stesso e colla mia vita della mia necessaria infelicità inseparabile dall’esistenza mia, e provava una gioia feroce ma somma nell’idea del suicidio. L’immobilità delle cose contrastando colla immobilità mia; nell’urto, non essendo io capace di cedere, ammollirmi e piegare; molto meno le cose; la vittima di questa battaglia non poteva essere se non io. Oggidí (eccetto nei mali derivati dagli uomini) non si riconosce persona colpevole delle nostre miserie, o tale che la Religione c’impedisce in tutti i modi di creder colpevole, e quindi degna di odio. Tuttavia anche nella Religione di oggidí, l’eccesso dell’infelicità indipendente {{ZbPagina|507}} dagli uomini e dalle persone visibili, spinge talvolta all’odio e alle bestemmie degli enti invisibili e superiori: e questo, tanto piú quanto piú l’uomo (per altra parte costante e magnanimo) è credente e religioso. Giobbe si rivolse a lagnarsi e quasi bestemmiare tanto Dio, quanto se stesso, la sua vita, la sua nascita ec (15 gennaio 1821).
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|505}}--><noinclude>petuità </noinclude>del mio stato infelice, e che volgendomi disperatamente e freneticamente per ogni dove, non trovava rimedio possibile, né speranza nessuna; in luogo di cedere, o di consolarmi colla considerazione dell’impossibile, e della necessità indipendente da me, <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|506}} concepiva un odio furioso di me stesso, giacché l’infelicità ch’io odiava non risiedeva se non in me stesso; io dunque era il solo soggetto possibile dell’odio, non avendo né riconoscendo esternamente altra persona colla quale potessi irritarmi de’ miei mali, e quindi altro soggetto capace di essere odiato per questo motivo. Concepiva un desiderio ardente di vendicarmi sopra me stesso e colla mia vita della mia necessaria infelicità inseparabile dall’esistenza mia, e provava una gioia feroce ma somma nell’idea del suicidio. L’immobilità delle cose contrastando colla immobilità mia; nell’urto, non essendo io capace di cedere, ammollirmi e piegare; molto meno le cose; la vittima di questa battaglia non poteva essere se non io. Oggidí (eccetto nei mali derivati dagli uomini) non si riconosce persona colpevole delle nostre miserie, o tale che la Religione c’impedisce in tutti i modi di creder colpevole, e quindi degna di odio. Tuttavia anche nella Religione di oggidí, l’eccesso dell’infelicità indipendente <section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|507}} dagli uomini e dalle persone visibili, spinge talvolta all’odio e alle bestemmie degli enti invisibili e superiori: e questo, tanto piú quanto piú l’uomo (per altra parte costante e magnanimo) è credente e religioso. Giobbe si rivolse a lagnarsi e quasi bestemmiare tanto Dio, quanto se stesso, la sua vita, la sua nascita ec (15 gennaio 1821).




{{ZbPensiero|507/1}} Gli adulatori e gli amici dei tiranni non guadagnano altro se non di essere esclusi dalla misericordia che le generazioni future porteranno all’età e generazioni loro. E di partecipare all’odio senza essere
{{ZbPensiero|507/1}} Gli adulatori e gli amici dei tiranni non guadagnano altro se non di essere esclusi dalla misericordia che le generazioni future porteranno all’età e generazioni loro. E di partecipare all’odio senza essere<section end=3 />