Dio ne scampi dagli Orsenigo/Capitolo undicesimo: differenze tra le versioni

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|Nome e cognome dell'autore=Vittorio Imbriani
|Titolo=Dio ne scampi dagli Orsenigo
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|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Dio ne scampi dagli Orsenigo/Capitolo dodicesimo
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Quella notte, la Radegonda riposò tranquillissima; e,
la dimane, si svegliò allegra, come un fringuello Ed abbigliandosi
e pettinandosi, con la cameriera; e, quindi, a
colezione, col Salmojraghi e con la Clotilduccia sfringuellò,
sfringuellò, ch’era un gusto a sentirla.
 
Ottenne, dal marito, ch’e’ lascerebbe una carta di visita
al capitano, nell’andare alla borsa; ed uscí e passeggiò,
a lungo, sotto colore di condurre a spasso la bimba,
ma, per non vi dir bugia, nella speranza unica d’incontrare
Maurizio.
 
Il qual Maurizio, passata quella ilarità fittizia, mero
effetto del vino, ricaduto nella ipocondria solita, chi sa,
s’e’ si sarebbe rammentato, neppure, di tornar, dalla
Salmoiraghi! Ma gliel consegnarono, i camerieri dell’Albergo,
quel biglietto di visita del suo buon Gabrio, finita
la tavola rotonda. Pioveva a catinelle! Nessuno spettacolo
attraente era annunziato, per la sera. E non sapeva
dove altro cascar morto; e preferí acculattare una poltrona,
in casa di lei, allo scaldare il canapè d’un caffè.
Cosí, prese il vezzo d’andar, ogni giorno, in via Fate-bene-fratelli. Eh, si sa! Piace a tutti, piace a’ mici, piace a’
micci l’esser lisciati, grattati, accarezzati e non piacerebbe
ad un uomo? Massime, poi, quando la lisciatrice, la
grattatrice è donna? e donna leggiadra, giovane, patita:
un boccone ghiotto e prelibato? Quando si può parlare,
con lei, di cose, che si negherebbero a tutti gli altri?
quando si ha un segreto comune? Chi fosse di gesso! Ma
come potrebbe darsi, che un capitanaccio di cavalleria
Italiano, rinnovasse le ritrosie del casto Giuseppe e
d’Ermafrodito verso la Putifarre o la Salmace? che s’arretrasse
da chi gli dice o dà ad intendere: «Io t’amo, e
son disposta esser tua ferma preda» per adoperare un bel
verso di Baldassarre Olimpio degli Alessandri da Sasso-ferrato, poetucolo del cinquecento, che Vossignoria, lettore,
non avrà, mai, inteso nominare, ch’io creda.
 
La Radegonda, se non gliel disse, gliel diede ad intendere.
Lo amava, davvero davvero, oltre ogni dire. E
que] riveder Maurizio e quel trattar Maurizio, onde male
avea sperato appagamento del desiderio suo, valeva,
solo, a rinfocolarlo ed attizzarlo, come ogni altra piú maliziosa
avrebbe saputo o sospettato, da prima. Il Della-
Morte non era sprovvisto di mancanze, di mende, di difetti,
di tare; non era, certo, uomo di gran levatura;
l’ingegno suo non aveva altra bellezza, se non quella
dell’asino e del diavolo. Ma, di questo, l’accecata giovane,
non si accorgeva; ned è, al postutto, l’ingegno ciò,
che una donna vagheggia o cerca, nell’amante. In fondo
all’ideale femminile, ci è, sempre, un po’ del facchino. E
poiché i costumi, le consuetudini, il decoro, le fisime
rendono impossibile l’innamorarsi de’ facchini propriamente
detti, che stanno alle cantonate; poiché fan sí, che
una signora ammodo non possa pensare a gettar le braccia
al collo del camallo e del bazzariota: chi negherà, che
un giovanotto, cavallerizzo, napolitano, alto sei in sette
palmi, spalle quadrate, petto sporgente, fianchi sgaggiati,
muscoli di ferro, tendini, che pajon funi, non sia, fra’
gentiluomini ed i signoroni, quello, che piú s’avvicina al
facchino? Aggiungi: le femmine han cari gli uomini capaci
di grandi e forti passioni; e tale la Radegonda stimava
Maurizio. Scambiava, per saldezza e perseveranza
dell’animo di lui, ciò, che, al fondo, era, semplicemente,
fiacchezza: quel non sapersi liberare dal molesto pensiero
dell’Almerinda, quel non saper fare punto e basta,
prefiggendosi uno scopo degno. La Radegonda custodia,
ancora, quel carteggio (ehm! ehm!) che le due parti
le avevano cosegnato, per distruggerlo col fuoco. Le style
c’est l’homme, pensava essa, credendo ripetere una
frase del Buffon, che ha detto, invece, e meglio: Le style
est l’homme meme. Indi, aveva attinto il suo concetto di
amore. Sentirsene ripetere le parole ardenti, suscitare
quelle vampe di desiderio, essere tentata in quel modo
li, ecco il suo sogno. E, naturalmente, non valeva ad immaginar
quelle parole, que’ desideri, se non nella bocca,
nell’animo di colui, dove sapeva, che erano suti. Poi, le
donne hanno la smania di consolar gli afflitti, e provviste
inesauribili di carità da profondere, a destra ed a sinistra,
come un fiume profonde le acque agli assetati, senza
sentirsene diminuito! Ecco, quest’uomo, cosí abbattuto,
scorato, mesto, farlo rivivere, allietarlo, rianimarlo,
colmarlo d’ogni piacere, appagarne tutti i voti, suscitargliene
de’ nuovi, per, quindi, soddisfarli, anche: non è,
forse, generoso e bello? Quando, poi, si è contribuito ad
infelicitare uno, quando si è stato lo strumento fatale,
che gli ha tolto ogni pace, è riparazione doverosa, che
diamine! Finalmente (scendiamo, proprio, nell’ultimo
strato dell’anima della Salmojraghi) finalmente, se l’Almerinda
era bella di un dato genere di bellezza, grossolana,
materiale, sangue e ciccia, lei Radegonda, al postutto,
non era da disprezzare, non era niente di meno;
anzi poteva, ragionevolmente, pretender di essere piú
vaga. O non sarebbe giusta soddisfazione di amor proprio
legittimo, il vedersi apprezzata, da chi, prima, tutto
assorto in quell’altra, sembrava non aver occhi per lei? il
vedersene, anzi, preferita? il cancellare l’immagine precedente
e sostituirvi la propria?
 
Ed il signor Salmojraghi? Lui? Eh eh, va bene, la capiva,
che, se gli accadesse di risaper qualcosa, s’indispettirebbe,
butterebbe fuoco e fiamma! Ma, o che i doveri
non cominciano da noi stessi? Prima, il dente; e poi, il parente.
Che la Radegonda amasse Maurizio, era un fatto,
là, innegabilissimo: e deperiva e si struggeva, per questo
amore infelice. Lascerebbesi morire? Non cercherebbe
procacciarsi quanto, pure, via, senza vanità, poteva supporre
non essere per tornarle difficiletto, cioè, di farsi
riamare? Perché, poi? Insomma, era giovane; era stata
arcifedelissima, per anni, al marito: ned, ora, la movevan
propositi villani, ma cura della propria salvezza, ma il debito di conservarsi alla figliuola. Scender nella tomba,
brrrr! e prematuramente scendervi e scioccamente? A
quale oggetto? Che gioverebbe a Gabrio la sua morte?
Oh no, no! E, poniamo, che sia colpa. Ebbene? Ella voleva,
pur, conoscere, un po’, le quinte della vita: sapere,
per pruova, che sia passione, voluttà, rimorso, dubbio,
paura, vergogna, tutto, tutto ciò, che s’incontra e che
può incontrare, a chi s’arrischia per mari burrascosi!
Nulla ora, le piaceva piú! Non ne aveva gusto, dai piú
ricchi giojelli, che il marito le comperava, ostentabili; ma
quanto avrebbe trionfato di un solo, misero anelletto
d’oro, d’un modesto cerchiellino, infilzatole, di soppiatto,
da un giovane amato! Onde le bisognasse mentire, arrossendo,
l’origine! E, cosí, di tutto. Perch’ella consentisse
a vivere, perché tutto non le increscesse al mondo,
conveniva dare, ad ogni cosa, nuovo valore e nuovo contenuto.
Come poteva farsi? Amando.
 
Tutto questo il sentiva, nol pensava. Certe cose, chi le
prova, non può, freddamente, ragionarle; ma ne ha,
d’istinto, una percezione confusa, torbida. Nessuno pone,
a sé medesimo, alcuni quesiti, con franchezza; nessuno
risolve, a sangue freddo, di commettere ciò, che un
pregiudizio annoso, che l’educazione religiosa, che la
morale chiaman peccato, cattiva azione, turpitudine, delitto.
Ohibò! quando si vuol fare una siffatta cosa, se ne
rivolge altrove il pensiero; ma le si cammina incontro.
La donna, sempre, ferma a non far, piú, un passo innanzi,
una concessione fa. pure. ogni giorno, un nuovo passo,
una nuova concessione, giurando, a sé stessa, che
sarà l’ultima. Cosí la Radegonda andò, piú che a mezza
strada, incontro a Maurizio; gli porse la mano per attirarlo
a sé, egli fece capire d’essere amato e che non
avrebbe incontrato rifiuto..., prima ch’egli avesse, neppure,
a desiderarla, una volta.
 
Diecimila lire di mancia, a chi scavizzola un tanghero,
che sdegni l’invito d’una bella donna, che sia schivo approfittarne! La razza n’è spenta, fra noi. Bisognerebbe andarne
a dissotterrare qualche avanzo, fra’ ghiacci della Siberia,
come l’elephas primigenius! Anche non amando,
chi si farebbe scrupolo di chiedere, di accettare e di dare
un’ora di piacere? Un bel pomeriggio, non è comperato
troppo caro, corteggiando tale, che, in fondo, ci è indifferente,
protestando sensi, che non nutriamo, giurando
quattro bugie. Si sa, che certe parole (amore, sentimento,
passione) servono, solo, per mascherare le brutalità de’
capricci e del senso. Non ci si attacca idea, per convenzione
universale. Queste cose, si sa, come le cominciano; e si
sa, come le finiscono, da tutti. Ma, dalla Radegonda, non
si sapeva bene; ed ella prese, per denaro contante, le parole
melate di Maurizio. Non poteva, conscia del valor
suo, immaginare, che le si rivolgesse un detto d’amore,
senza sentirlo profondamente. Si credette amata: e le
piacque; e ne fu piú bella. Onde, torre il coraggio di rinunziare
a quel fascino? di riaffliggere (come supponeva)
chi avea, già, crudelmente, afflitto, una volta? Eppoi, inesperta
del lubrico sentiero della civetteria, non sapeva fissarsi
limiti da non oltrepassarsi; non adescare, allettare,
promettere, per, poi, farsi indietro e negare. Anzi, considerava,
con lealtà ingenua, ogni promessa come impegno,
ogni concessione come irremeabilis unda. Una stretta di
mano, caldamente corrisposta, una destra, lungamente
abbandonata, ad un premuroso cupido bacio, erano, agli
occhi suoi, come una solenne promessa, perché aveva
consentito mentalmente. E, dalla mano, si passa al braccio;
e, dal braccio, alle labbra. E chi non sa resistere, non
si esponga; né dia poste al giardino pubblico, chi non
vuol accompagnare, in casa, l’amico, eppure non ha l’animo
di contrastarlo, di respingerne le insistenze. Summa
summarum: fu di lui. Non le costò neppure: o l’amasse
tanto, da non riflettere, oppure, anche di piú, tanto, da
non calcolare le conseguenze, possibili, probabili, immancabili.
Non credette e non volle far credere, di consumare un sacrificio; non aggiornò, non procrastinò, non
accampò scuse ed ostacoli. Non temé, neppure, il giudizio
dell’impronto Maurizio, sulla sua tanta facilità: o per
la coscienza del lungo combattimento interno, non cedendo
ella, alla prima richiesta di Maurizio, se non perché,
due anni, una cura secreta l’aveva bersagliata; o per
la coscienza del proprio valore, che non poteva permettere,
al possessore, di arzigogolare sul come aveva ottenuto
una tal donna, troppo pago di averla, pure, ottenuta. Già,
se una fortezza s’ha da arrendersi, a che tanti ghirigori? e
di fortezze inespugnabili, o che ce n’è?
 
Vennero, dunque, i giorni tanto desiderati: i giorni della
passione corrisposta, condivisa (in apparenza, almeno);
delle poste secrete; delle letterine trafugate; delle occhiate
consapevoli; delle subite paure! Provò, ora, sa sé, tutti gli
episodi presentiti, leggendo il carteggio de’ due, dell’Almerinda
e di Maurizio. Si abbandonò, senza alcun ritegno,
alla passione soverchiante; non mercanteggiò, non limitò
l’arrendevolezza; precorse i voleri dell’amante. Anzi,
tante ne fece, delle imprudenze, che la nuova relazione
non poté non avvertirsi da molti: con quel suo caratterino,
era donna, credo, da non negarla, se qualcuno l’avesse
interrogata in proposito. Milano è un pettegolo paese;
non so piú quel giornalucolaccio, se non erro, il Gazzettino
Rosa, pubblicò articoletti, in cui si alludeva, chiaro,
chiarissimo alla pratica della Radegonda con Maurizio.
N’ebbe copia, segnata, in margine, col lapis rosso, il signor
Salmojraghi. Il quale, dapprincipio, non voleva capire;
ma, poi, dovette capire e persuadersi della verità
dell’accusa. Gabrio amava calda e saldamente la moglie,
ma ci vedeva; e non era, ancora, ridotto a passare le giornate,
sonnecchiando, come il marito dell’Almerinda.
 
. . . Oh rabbia!
 
Dunque, il sospetto? – È, ornai, certezza! – E inulto
 
Filippo è, ancor? . . .
 
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