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Versione attuale delle 18:44, 28 lug 2021

372 capitolo xx.

una fiamma d’incendio, alcune delle Nostre provincie; le quali commosse da quel funesto esempio, e spinte da esterni eccitamenti, si sottrassero dal paterno Nostro reggimento, cercando anzi, collo sforzo di pochi, di sottoporsi a quell’italiano governo, che in questi ultimi anni fu avverso alla Chiesa, ai legittimi suoi diritti ed ai sacri ministeri. Or mentre nei riproviamo e lamentiamo questi atti di ribellione, coi quali una sola parte del popolo in quelle sturbate province sì ingiustamente risponde alle paterne Nostre cure e sollicitudini; e mentre apertamente dichiariamo essere a questa Santa Sede necessario il civile principato, perchè senza alcun impedimento possa esercitare, a bene della religione, la sacra sua potestà (il quale civil principato si sforzano di strapparle i perversissimi nemici della Chiesa di Cristo); a voi, venerabili Fratelli, in sì gran turbine di avvenimenti, indirizziamo la presente lettera, per dare qualche sollievo al Nostro dolore.

E in questa occasione anche vi esortiamo che, secondo la provata Fota pietà, e l’esimia vostra sollecitudine per l’Apostolica Sede e la sua libertà, procuriate di compiere quello, che leggiamo aver già prescritto Mosè ad Aronne, supremo Pontefice degli ebrei (Num. cap. XVI): folle thuribulum et hausto igne de altari mitte incensum desuper, pergens cito ad populum, ut roges pro eis; iam enim egressa est îira a Domino et plaga desaevit. E parimente vi esortiamo a pregare, come già quei santi fratelli Mosè ed Aronne, i quali proni in faciem dixerunt: fortissime Deus spirituum universae carnis, num aliquibus peccantibus contra omnes ira tua desaevit? (Num. cap. XVI). A questo fine, venerabili Fratelli, vi scriviamo la presente lettera; dalla quale prendiamo non lieve consolazione, giacchè confidiamo che voi risponderete abbondantemente ai Nostri desiderii ed alle Nostre cure.

Del resto, Noi dichiariamo apertamente che vestiti della virtù che discende dall’alto, la quale Dio, supplicato dalle preghiere dei fedeli, concederà alla infermità Nostra, soffriremo qualunque pericolo e qualunque acerbità, piuttosto che abbandonare in veruna parte l’apostolico dovere e permettere qualunque cosa contraria alla santità del giuramento con cui ci siamo legati, quando, Dio così volente, salimmo benchè immeritevoli sopra questa suprema Sede del Principe degli Apostoli, rocca e baluardo della fede cattolica.

Ed augurandovi, venerabili Fratelli, ogni allegrezza e felicità nel compiere il vostro dovere pastorale, con ogni affetto compartiamo a voi ed al vostro gregge l’apostolica benedizione, auguratrice della celeste beatitudine.


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E a soli due giorni di distanza, il 20 giugno, tenne concistoro segreto, e, perdendo ogni misura, parlò ai cardinali, manifestando tutta la sua ingenua amarezza, perchè la rivoluzione si era compiuta, due anni dopo il suo viaggio in quelle provincie. Naturalmente la maggiore ira egli la sfogava contro la città di Bologna, della quale aveva diffidato sempre. L’allocuzione, cui venne