Brani di vita/Libro secondo/Polemiche intorno al Leopardi: differenze tra le versioni

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Ho detto, a proposito della cantica sull'''{{TestoCitato|Appressamento della morte|Appressamento della Morte}}'', edita umoristicamente dal signor Giovannino Volta, che se il Leopardi fu infelice in vita, fu infelicissimo dopo morte. Tanta sventura supera la pietà volgare e, quasi quasi, atterrisce; certo gli uomini celebri viventi debbono qualche volta provar disgusto per la celebrità, pensando che anche su loro può infierire una simile sventura. Si è giunti a questo, che un celebre autore, ora morto, non scriveva una lettera dove non ricorressero qua e là alcune parole oscene. I suoi costumi e i suoi discorsi erano corretti e gentili, ma scriveva così perchè dopo morto non gli stampassero l’epistolario.
E, per quel che riguarda l’infelice Leopardi, la cosa comincia a diventare scandalosa. Pare che tra la vedova ed erede di {{Ac|Carlo Leopardi|Carlo}}, ed il figlio o i figli di Pier Francesco, sia una di queste lotte di famiglia cieche e ferocissime, come pur troppo avvengono spesso nelle famiglie italiane delle piccole città. Non importa cercare da che motivi venga questa divisione: intanto tutti i giorni si fa più profonda e più aspra; ha diviso Recanati e oramai gli studiosi delle cose leopardiane. Certo gli eredi legittimi e diretti dei Leopardi debbono vedere con rammarico la pingue eredità dell’avarissimo Carlo distratta alla famiglia a vantaggio della vedova e dei figliastri di lui. Certo la signora Teresa Teia, prima vedova Pautas e poi vedova Leopardi, ha molti torti, non fosse altro, quello scusabile di voler fare l’apoteosi del defunto marito per quanto la meriti poco, e quello inescusabile di far servire queste tristissime polemiche alle rabbie clericali e fratesche; ma mentre i primi non dovrebbero dimenticare che al postutto si tratta di una signora, questa non dovrebbe dimenticare che si tratta anche di una famiglia alla quale essa è, si può dire, estranea. Da ambedue le parti sarebbero necessari molti riguardi, e nessuna delle due parti ne usa.
Queste ire poco decenti diedero origine ad un nuovo volume di cose leopardiane, cui il Piergili prepose una lunga prefazione apologetica.
Premetto che, se dovessi scegliere un partito, starei col Piergili e non coll’Aulard. {{Ac|Carlo Leopardi|Carlo}}, la più antipatica e falsa figura di casa Leopardi, che ebbe tutti i difetti e nessuno dei meriti del fratello maggiore, deve ispirare simpatia a ben pochi che non abbiano interesse a farlo. Questo Arpagone, senza cuore come un clericale e senza dignità come un prestatore su pegno a grassi frutti, mi è sempre sembrato meno stimabile dello stesso Monaldo, la cui fama è oramai monda dalle brutte macchie d’un tempo. La condotta poi di chi tenne da lui ed abusò del suo nome di famiglia per miserabili intenti di partito e di sagrestia, mi nausea addirittura. Tuttavia ciò non toglie che in fondo sia da disapprovare questo strazio che dalle due parti si fa pel povero Giacomo, il quale serve di pretesto alla lotta. Fa pietà vedere i combattenti scaraventarselo l’un l’altro addosso come un cencio sudicio e rimandarselo come una palla a suon d’ingiurie, di improperi e d’insulti. A Recanati si rappresentano gli ''Héritiers Rabourdin'', e come di solito il pubblico fischia.
Pur troppo è vero che lo studio dell’Aulard intorno a Giacomo Leopardi trovò in Italia un popolo di lodatori. Il nostro amor proprio nazionale era soddisfatto vedendo che dalla Francia, da quella stessa Francia dove le cose nostre sono così profondamente ignorate, ci veniva il riconoscimento cosciente di una delle nostre massime glorie. A chi non legge, o legge superficialmente, bastò il frontespizio per tenersi contento. Chi invece non legge i libri colla leggerezza con cui si leggono i giornali, scosse il capo e tacque. Meno che gli errori, spiegabili se non perdonabili, colpivano in quel lavoro gli intenti partigiani che l’avevano dettato. Il peggio fu quando la vedova di Carlo Leopardi stampò in francese un maligno libro — ''Leopardi et sa famille'' — dove, ripetendo notizie vecchie, si cerca di tirarle a danno dei parenti avversari e si fanno insinuazioni poco dignitose e poco generose a carico di parecchi. Quel libro, scritto in servigio di odii domestici e di ire clericali, passò in Italia in meritato silenzio: ma in Francia, dove i migliori ignorano la nostra lingua, sarà tenuto per vangelo. Questo bel servigio hanno fatto al povero Giacomo le rabbie de’ suoi!