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Versione delle 23:19, 16 ott 2019

Caìno Taciamci, o Abèle. Il genitor favella,
grave e pensoso, con se stesso.

Adamo

O figli,
già s’inoltra la notte; ite al riposo.
Vi benedice il padre: in Dio felici
dormite voi. Su la nascente aurora,
io desteròvvi dal fraterno strato.
Dormite or queti nel sonno profondo
dell’amena innocenza.

Abèle

Andiam; che omai,
dalla stanchezza, io più non posso.

Caino

Andiamo.
Ma tu pur, madre, pria dei benedirci.

Èva

Ed abbracciarvi, amati figli, a un tempo. ( fl )

SCENA TERZA


Adamo, Èva.


Adamo

Èva, dimmi; co’ figli mai parola
facevi tu del mio perduto bene?

Èva

Mai non la fei: tu l’inibisti: io tacqui.

Adamo

Ed io, mal cauto, e da mia doglia vinto,
io quasi or dianzi mi tradiva. Ah, noto
mai non sia lor tal fatto! io tema avrei,
ch’essi perciò ci amasser meno. Or, vieni;
posiam noi pure. — Onnipossente padre,
deh, su noi l’occhio tuo sempre mai vegli!
(a) Si ritirano i figli verso lo strato loro, opposto a quello che occuperanno
poi Èva ed Adamo dopo le ultime parole dell’atto.