Agricoltura biologica: le fondamenta nella scienza, o le radici nella superstizione?: differenze tra le versioni

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==Una relazione inquieta==
 
L’agricoltura moderna è creatura della scienza, o, più propriamente, di un articolato novero di scienze: se è vero, infatti, che il suo pilastro fondamentale, la metodologia delle rotazioni, viene fissato, durante una irripetibile stagione di esperienze empiriche, dagli agronomi inglesi del Settecento, senza il supporto di alcuna nozione di fisiologia vegetale e di chimica del suolo, è altrettanto vero che essa inizia il cammino verso i più straordinari successi produttivi quando, all’alba dell’Ottocento, Théodore de Saussure spiega il meccanismo della nutrizione vegetale, un complesso insieme di scambi chimici tra sostanze aeriformi e sostanze in soluzione acquosa, una scoperta che sarà integrata, nei decenni successivi, da quelle sulle esigenze chimiche delle specie agrarie, le conquiste che suggellano [[w:Justus Liebig|Justus Liebig]], Henry Gilbert, John Lawes e George Ville, quindi dalla scoperta dell’attività dei microbi, il legato degli studi di [[w:Louis Pasteur|Louis Pasteur]], che traspone sul terreno della pedologia un emulo russo del biologo francese, [[w:Serghiei Nicolaevič Winogradsky|Serghiei Nicolaevič Winogradsky]]. Contesto tecnologico costituente la traduzione applicativa di un compendio molteplice di discipline scientifiche, l’agronomia moderna attinge elementi capitali dalla genetica, dall’entomologia, dall’idraulica, dalla fisica, dall’economia.
 
Corpus di cognizioni polimorfo, quindi, tanto da poter essere considerato eclettico, l’insieme delle conoscenze in cui si sostanzia l’agronomia moderna dimostra la coerenza di edificio unitario a chi ne consideri la corrispondenza alla finalità essenziale, l’apprestamento degli strumenti per consentire alle società umane lo sfruttamento razionale delle risorse impiegate per produrre alimenti, bevande, fibre vegetali e, in alcune società, forza di traino. Sfruttare razionalmente le risorse naturali per produrre derrate agrarie è la finalità che accomuna l’opera degli agronomi operanti sui sei continenti, cui l’identità degli obiettivi operativi consente di verificare, ad ogni occasione di incontro, una comunanza capace di tradursi nel dialogo più fecondo nonostante le differenze di cultura e la diversità dei percorsi formativi seguiti nelle istituzioni scientifiche di paesi appartenenti a aree di civiltà diversa.
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I primi impulsi alla creazione di un’agricoltura alternativa a quella fondata sulle conquiste naturalistiche e tecnologiche dell’Ottocento sono gli stimoli alimentati, nel terzo quarto del Novecento, dall’allarme lanciato da voci della scienza sui pericoli incombenti sugli equilibri naturali del Pianeta ove proseguisse lo sfruttamento indiscriminato delle risorse sospinto dall’economia moderna. Le società umane pretendono una crescita incessante delle attività economiche, ma sviluppo incessante significa impiego sempre più intenso di risorse fisiche limitate, significa, soprattutto, immissione nell’ambiente naturale di quantità crescenti di rifiuti, in specie i composti creati dalla chimica sintetizzando molecole prive di analogie in natura, che alterano i processi fisiologici degli organismi viventi, il cui metabolismo non può reagire alle nuove molecole, che i batteri, demandati, in natura, di ridurre i composti organici agli elementi primitivi, non sono, generalmente, in grado di degradare.
 
La prima tra le voci della scienza che denunciano i rischi di un impiego della chimica realizzato senza valutarne le conseguenze sugli equilibri naturali è quella della biologa americana [[w:Rachel Carson,|Rachel Carson]]che nel 1962 pubblica un libro la cui tesi è enucleata in un titolo suggestivo, ''Silent spring'', la primavera privata del canto degli uccelli, a conseguenza, secondo Carson, dell’impiego indiscriminato degli insetticidi di sintesi, primo tra tutti il d.d.t., negli anni Sessanta ampiamente diffuso per la straordinaria efficacia contro parassiti esiziali dell’uomo e delle colture, un’efficacia dovuta anche alla stabilità della molecola, che gli agenti naturali non sono in gradi di decomporre che molto lentamente, la ragione della sua facile traslocazione in paesi e in mari lontani migliaia di chilometri dai luoghi di irrorazione.
 
La seconda voce a proclamare i pericoli dello sviluppo economico fondato sulla manipolazione, da parte dell’uomo, delle materie prime con la loro trasformazione in composti inesistenti in natura è quella di [[w:Barry Commoner|Barry Commoner]], ancora un biologo, che nel 1972 pubblica ''The closing circle'', il testo in cui stigmatizza l’incessante ricerca, da parte dell’industria chimica, di sostanze con cui sostituire i composti di impiego tradizionale: i detergenti che eliminano il sapone, la plastica che elimina il legno, le fibre polimeriche che eliminano cotone e lino. Per Commoner la sostituzione non recherebbe alcun vantaggio al consumatore, che ricavava le medesime utilità dalle sostanze tradizionali, ma consentirebbe la moltiplicazione degli utili dei produttori, per il ricercatore americano la sola motivazione della sostituzione.
 
La pubblicazione dei volumi della Carson e di Commoner apre la stagione di una pubblicistica che in pochi anni occuperà scaffali interi nelle biblioteche scientifiche. Su quegli scaffali possiamo identificare la terza delle voci che ripropongono l’allarme sul pericolo di alterazione degli equilibri naturali, quello che un vocabolo di successo repentino definisce l’allarme “ecologico”, nel Club di Roma, un sodalizio di personalità della scienza, della politica, della cultura, che incarica il prestigioso [[w:Massachusetts Institute of Technology|Massachusetts Institute of Technology]] di due studi successivi, il primo, ''The limits of growth'', pubblicato nel 1972, il secondo, ''Toward global equilibrium'', pubblicato l’anno successivo. Oltre all’autorevolezza del sodalizio e all’originalità dei procedimenti impiegati dall’istituto americano, le procedure di calcolo fondate sulla dinamica dei sistemi rese possibili dall’impiego dei nuovi calcolatori, contribuisce alla risonanza del messaggio del Club di Roma l’eloquenza della metafora che l’estensore del rapporto, Dennis Meadows propone, nel primo dei due volumi, per illustrare la meccanica dei processi esponenziali, quali la crescita della popolazione o quella della produzione industriale
 
E’ la metafora della crescita di una pianta acquatica che si riproduca raddoppiando di entità ogni giorno, che si stabilisca in un lago dove si sviluppi, progressivamente, nel tempo. Supponendo che non venga assunta alcuna misura per arrestarne la proliferazione quanto tempo resterà per evitare la completa occlusione del lago, chiede lo studioso americano ai lettori, quando la pianta avrà occupato metà della sua superficie? I lettori che abbiano colto la dinamica del fenomeno saranno sorpresi di constatare che non mancherà che un giorno solo. Identificando nella proliferazione della pianta letale l’insieme dei processi che, innescati dall’uomo, stanno alterando gli equilibri del Pianeta, la metafora esprime con efficacia la previsione che quando quei processi avranno prodotto, incontrollati, le proprie alterazioni, superando la soglia delle possibilità del controllo, l’umanità potrebbe non disporre più del tempo per ristabilire una convivenza con le risorse naturali capace di perdurare nel tempo.
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==Saggezza orientale e abbandono alle forze naturali==
 
Presenta una singolare sineresi di rigetto della scienza sperimentale e di impiego dei canoni della più rigorosa sperimentazione agronomica, in una commistione singolare di scienza e di filosofia, la dottrina di [[w:Masanobu Fukuoka|Masanobu Fukuoka]], il ricercatore giapponese che dopo avere operato in un laboratorio di fitopatologia a fianco di un maestro famoso decide, a seguito di un mancamento-illuminazione, di abbandonare la scienza per tornare a coltivare il podere del padre, sul quale definirà, in lunghi anni di ricerca, un sistema di coltura che riduce, fino quasi ad eliminarli, gli interventi agronomici, aratura, zappature, sarchiature, ed esclude completamente quelli chimici, il sistema che propone, nel 1975, in un volumetto destinato a suscitare interesse nei sei continenti, nella traduzione italiana ''La rivoluzione dello stelo di paglia''.
 
I mancamenti-illuminazione hanno svolto un ruolo ingente nella storia spirituale e politica dell’umanità: fu a seguito di un oscuramento della presenza cosciente, e di un’escursione nel mondo soprasensibile, che [[w:Gauthama Siddartha|Gauthama Siddartha]] concepì la dottrina di ascesi che avrebbe orientato la storia spirituale delle due nazioni più popolose del Globo, fu dopo un evento similare che Maometto concepì la religione la cui carica guerriera avrebbe modifica l’assetto geopolitico di due continenti, che René Descartes intuì i principi della filosofia che avrebbe segnato, con la nascita del pensiero moderno, il fato dell’Occidente.
 
Per prossimità geografica, nella storia delle estasi decisive per la storia umana quella di Fukuoka fu più vicina a quella di Budda che a quelle degli altri grandi del pensiero e della mistica. Riavutosi dall’obnubilamento, il ricercatore giapponese comprende di avere acquisito una verità capitale: l’uomo sarebbe incapace di comprendere la natura, la scienza sperimentale, una forma di conoscenza tipicamente occidentale, adottata dalla cultura asiatica nonostante l’incompatibilità con la propria tradizione filosofica, non offrirebbe quella chiave di comprensione del mondo naturale che pretenderebbe di assicurare, le pratiche tecnologiche derivate, per sfruttare le risorse naturali, dalla scienza occidentale, costituirebbero violazione imperdonabile dell’ordine del Cosmo. Tornato al podere paterno “ai piedi della montagna” si dedica alla ricerca di metodi di coltivazione in cui siano i vegetali e gli animali a produrre, con il grado minore di interferenze umane, le derrate necessarie ai bisogni alimentari.
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==L’azienda agricola organismo biologico==
 
Nel novero dei maestri impegnati a offrire le coordinate conoscitive per apprestare pratiche agronomiche che possano prescindere dagli strumenti della chimica deve essere incluso un agronomo italiano, Francesco Garofalo, un passato, anch’egli, di ricercatore nelle istituzioni della sperimentazione agraria, quindi il ripudio dell’agricoltura tradizionale e la conversione ad un’agronomia alternativa, la sperimentazione di nuovi metodi e un’appassionata opera di proselitismo, svolta pubblicando la rivista Suolo e salute e costituendo, con la medesima denominazione, il primo movimento italiano per un’agricoltura senza fertilizzanti e senza antiparassitari di sintesi.
 
La dottrina agronomica di Garofalo costituisce, sostanzialmente, la riproposizione delle idee che Alfonso Draghetti, direttore della Stazione agraria di Modena tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, ha raccolto in un volume che può essere considerato manifesto postumo della rivoluzione agraria moderna, La fisiologia dell’azienda agraria. Nata in Inghilterra, a metà del Seicento, all’affermarsi di una pratica che stabiliva legami indissolubili tra le coltivazioni e gli allevamenti attraverso le colture foraggere, demandate della duplice funzione di migliorare la fertilità dei campi grazie alle peculiari proprietà biologiche e attraverso la disponibilità di letame che assicuravano come sottoprodotto delle derrate zootecniche, la nuova agricoltura fondata su quell’integrazione consentiva un incremento dei rendimenti cerealicoli tale da moltiplicare la produzione di frumento e orzo nonostante i due cereali fossero seminati su superfici minori, assicurava, mediante l’abbondanza di foraggi durante l’intero arco dell’anno, la produzione di derrate animali che l’azienda poteva dirigere ai nuovi mercati urbani, in Inghilterra famelici di burro, di carne di agnello e di maiale.
 
Sospinta, in Inghilterra, dal contributo di decine di agronomi, ciascuno impegnato a confrontare i risultati di cento esperienze empiriche, l’agricoltura delle rotazioni trovava il proprio alfiere in [[w:Arthur Young|Arthur Young]], protagonista, nell’ultimo scorcio del Settecento, di un’irrefrenabile serie di viaggi tra le contee del Paese, nelle quali verificava la sostituzione delle nuove pratiche a quelle della tradizione. Animato dallo spirito empirico tipico della cultura britannica, Young era incapace di ricavare dalla miriade di esperienze registrate nelle proprie relazioni una teoria organica delle rotazioni, la meta che perseguiva il suo continuatore tedesco, [[w:Albrecht Thaer|Albrecht Thaer]], che, animato dalla venerazione per il maestro britannico, ma in possesso delle attitudini peculiari della cultura germanica, sistematica e teorizzante, pubblicava, tra il 1809 e il 1812, i quattro libri delle ''Grundsätze der rationellen Landwirtschaft'', il capolavoro teorico con cui la scienza agronomica identificava gli obiettivi della rivoluzione agraria moderna, ne enucleava i principi, ne analizzava le procedure.
 
Thaer formulava la propria dottrina prima che le conoscenze chimiche permettessero di misurare gli scambi di sostanze fertilizzanti tra la stalla e i campi, le asportazioni delle colture cerealicole, gli apporti di quelle foraggere: maturate, nella prima metà dell’Ottocento, quelle conoscenze, affrontavano l’esame quantitativo di quegli scambi i dioscuri della sperimentazione inglese negli anni del primato economico, manifatturiero e scientifico della Gran Bretagna, Henry Gilbert e John Lawes, i protagonisti dell’epopea sperimentale della Stazione di Rothamsted, sede del più famoso piano di indagini sulle rotazioni della storia dell’agronomia.
 
Dopo avere protratto per un cinquantennio, sui medesimi appezzamenti, le stesse colture in successione continua e, su altri appezzamenti, le medesime colture in rotazione, i due agronomi inglesi potevano definire con misure rigorose, in un volume pubblicato nel 1895, le quantità di ogni elemento chimico asportate da ciascuna coltura per ogni diverso livello di produzione, quelle degli elementi chimici restituiti al suolo mediante il letame, componendo, per ogni rotazione, la sommatoria algebrica degli apporti chimici effettuati mediante i fertilizzanti, dei contributi positivi dovuti alla fissazione di azoto da parte delle leguminose, delle asportazioni operate dalle colture, delle sottrazioni prodotte dalle piogge, dell’asportazione che consegue la vendita delle derrate. Nel volume che enucleava i risultati di cinquant’anni di ricerche, i dioscuri della sperimentazione britannica enucleavano il significato del proprio lavoro suggerendo di considerare l’azienda agricola autentico organismo vivente, che si alimenta delle risorse del terreno e degli apporti fertilizzanti, rinnovando la fertilità da cui ne dipende la vitalità nel processo circolare tra le colture foraggere, la stalla, la concimaia, le colture cerealicole.
 
E’ l’idea dell’azienda-organismo, che Alfonso Draghetti fa propria a metà del Novecento, quando si manifestano i primi segni delle trasformazioni economiche che ridurrà drasticamente, nelle campagne europee, la molteplicità e la complessità delle rotazioni a favore della più radicale semplificazione culturale, elidendo, con le rotazioni, quella complementarità tra colture e allevamenti che ha costituito il cardine della rivoluzione agraria. Sospinge la storica trasformazione il trionfo dell’economia industriale, che, elevando il costo della manodopera, e comprimendo il valore delle derrate agricole nei confronti di quelle industriali, impone la meccanizzazione di tutti i processi produttivi, rendendo economicamente impossibile il mantenimento di una piccola stalla in ogni azienda, costringendo le aziende che non si specializzino nell’allevamento, convertendosi in allevamenti industriali, a rinunciare al bestiame, quindi al letame.
 
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Tra le scuole dell’agricoltura alternativa affermatesi in Europa titoli di particolare prestigio vanta quella fondata da Raoul Lemaire, un docente di discipline agronomiche che matura, all’alba degli anni Sessanta, il rifiuto delle tecniche dell’agricoltura moderna facendosi alfiere del ritorno alle pratiche della tradizione. Contribuisce a trasformare le intuizioni del maestro in metodologia agronomica organica il primo collaboratore di Lemaire, anch’egli docente di materie agrarie, Jean Boucher. Codifica in un libro di successo, all’alba degli anni Settanta, la dottrina dei dioscuri dell’agricoltura “biologica” francese il più brillante dei discepoli, Antoine Ayrault de Saint Hénis.
 
Il volume di Saint Hénis, Guide pratique de culture biologique, non è solo il manuale che illustra una nuova tecnica agronomica, è il manifesto per la creazione di un movimento che si opponga alla trasformazione dell’agricoltura francese nel sistema tecnologico e mercantile di cui alla fine degli anni Sessanta si intravede già chiaramente la fisionomia. Di quel manifesto sarebbe difficile comprendere il significato ignorando la solidità delle tradizioni del mondo rurale francese, da secoli fiero della propria cultura, una cultura non meno carica di valenze spirituali che di conoscenze tecniche, ignorando, insieme, l’orgoglio con cui quel mondo rurale è impegnato, dagli anni Sessanta, a rinnovare pratiche agronomiche e strutture commerciali, sospinto dall’ambizione di imporre l’agricoltura dell’Esagono come la più possente macchina produttiva del quadro europeo.
 
Ma la conversione che Nation ha intrapreso nel segno della grandeur agricole rivestirebbe, per Lemaire e Boucher, i caratteri dell’autentica catastrofe. Di fronte a un contesto rurale in cui valori e tradizioni della paysannerie sono rigettati con la trasformazione degli antichi fermiers in imprenditori che usano macchine poderose e calcolano il profitto di ogni coltura, i due docenti francesi, genuini spiriti tradizionalisti, sono assaliti dall’orrore: assistono con raccapriccio all’allargamento senza limiti delle aziende, all’abbandono della campagna da parte degli agricoltori che quell’allargamento non riescono ad operare, alla dilatazione degli appezzamenti, osservano con sgomento la sostituzione dell’antica molteplicità di produzioni aziendali con una sola, al massimo due colture, l’abbandono delle antiche sementi per le nuove varietà ibride, la selezione di bestiame sempre più produttivo, il trionfo della chimica, che riversa sui campi quantità crescenti di fertilizzanti e antiparassitari. I traguardi che i ministri dell’agricoltura, i tecnici e i responsabili sindacali menzionano come prove del successo di una strategia di progresso sono, per i due paladini del passato rurale, le prove della deluge che avanza inesorabile.
 
Alfiere appassionato del pensiero dei maestri, nel proprio volume Saint Hénis proclama, a dimostrazione dei danni del progresso, che le nuove procedure avrebbero diffuso nei campi piante tanto sensibili ai parassiti che le produzioni non risulterebbero superiori a quelle delle varietà tradizionali, sostiene che la maggiore produzione non assicurerebbe agli agricoltori alcun vantaggio economico, siccome le spese per macchine e fertilizzanti fagociterebbero ogni maggiore ricavo, denuncia l’infierire, tra gli animali allevati secondo i nuovi criteri, di malattie incontrollabili Sono tre asserzioni frutto, palesemente, di incubi millenaristici, in evidente contrasto con la realtà di un sistema agricolo che ha consentito ad un numero senza misura minore di agricoltori di assicurare ai cittadini francesi uno dei tenori alimentari più ricchi al mondo, dirigendo sui mercati internazionali un flusso di esportazioni, cereali, latticini, vini e frutta, che costituisce per il Paese fonte preziosa di valuta.
 
Seppure dichiari che il cardine del metodo dei maestri consiste essenzialmente nel ritorno alle pratiche della tradizione, l’apostolo della filosofia rurale di Lemaire e Boucher si impegna ad attribuire a quella filosofia un blasone scientifico dichiarando che i fondamenti della dottrina dei due agronomi risalirebbero al pensiero di Pasteur, il fondatore della microbiologia moderna, i cui scritti il tenore delle citazioni rivela che Saint Hénis non ha mai letto. Padre dei vaccini impiegati per combattere le più gravi malattie infettive degli animali, Pasteur deve essere ritenuto il fondatore dell’allevamento moderno basato sugli strumenti della veterinaria, la tecnologia che provoca l’orrore dei due agronomi francesi.
 
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Piuttosto che a Pasteur, che di fertilità del suolo e di rotazioni agrarie non ebbe mai ad occuparsi, sarebbe più pertinente identificare il predecessore di Lemaire e Boucher in Thaer, il precursore ideale di Draghetti e di ogni teoria agronomica che fissi il proprio caposaldo nelle rotazioni, che non si sa decidere se Saint Henis non citi perché ne ignori l’opera o perché un autore francese non riconoscerà mai i titoli di precursore delle proprie idee ad uno scienziato tedesco, preferendo la citazione impropria di un connazionale a quella pertinente di un autore straniero.
 
Sul piano agronomico Lemaire e Boucher ricalcano, dopo quindici decenni, le orme del grande tedesco propugnando la stessa integrazione perorata da Thaer della coltura dei cereali e dell’allevamento, le cui esigenze di foraggio propongono di soddisfare, come il predecessore, con la coltura di una molteplicità di specie foraggere, fonti di fertilità sulla duplice strada degli apporti diretti di azoto al suolo, da parte delle leguminose, e di quelli indiretti che si realizzano dopo la trasformazione, nella stalla, dei foraggi in letame. Alla ricca gamma delle colture foraggere che suggeriscono ricalcando il precursore che ignorano, i paladini francesi dell’agricoltura alternativa associano il suggerimento dell’impiego del litotannio, un’alga tradizionalmente impiegata come fertilizzante dai contadini bretoni, cui i due autori attribuiscono proprietà prodigiose sulla fertilità, sulla salute del bestiame, sulle qualità biologiche delle derrate prodotte per il consumo umano, di cui Lemaire avrebbe intrapreso il commercio in modo egualmente benefico per i propri conti bancari.
 
Un’annotazione finale, a commento del volume di Saint Hénis, non può non imporre la reiterazione, da parte dell’autore, dell’attribuzione, al primo dei due maestri, del titolo di disinteressato apostolo della verità in un mondo scientifico pervaso dall’errore, una reiterazione che ripropone una constatazione che la storia delle scienze ripresenta in più di uno dei propri capitoli: chi proclami il possesso esclusivo della verità, denunciando l’errore di chi professi ogni convincimento diverso, è, assai spesso, salvo il caso dei titani che hanno mutato, incompresi, il corso del pensiero umano, lo pseudoscienziato, se non l’imbonitore, che denigrando gli avversari cerca diffondere i propri sogni e le proprie chimere, offrendo, a chi voglia provarne il potere, sementi e preparati che ne incorporino le virtù taumaturgiche.
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Se il rigetto della chimica che accomuna gli alfieri delle agricolture “alternative” non costituisce, generalmente, che espressione di un orrore incapace, per la mancanza di competenze scientifiche, di articolarsi in argomentazioni quantitative, propone l’eccezione più significativa il volume con cui offre il proprio contributo alla fondazione della nuova agricoltura Claude Aubert, un agronomo dalle significative esperienze applicative, critico di notevole acume di tutta la pubblicistica chimica nella sfera agraria, autore di un volume, L’agriculture biologique, cui la lucidità espositiva ha assicurato il successo testimoniato dalla pluralità delle edizioni.
 
A differenza dei proclami contro la chimica della maggioranza dei paladini di un’agricoltura nuova, comunemente meri saggi di retorica antiscientifica, il volume di Aubert propone contro la chimica un’autentica arringa, articolata in capi d’accusa consistenti ciascuno di una serie di argomentazioni fondate sui risultati di ricerche operate nei laboratori di un novero cospicuo di paesi. Nell’ordine, dopo un’introduzione sulla qualità biologica degli alimenti, il primo dei capitoli di quell’arringa raccoglie gli elementi di colpa a carico di antiparassitari, insetticidi e diserbanti, il secondo quelli a carico dei fertilizzanti, il terzo quelli a carico delle creature della nuova genetica vegetale, sementi di piante annuali e varietà di specie frutticole, e quelli a carico degli animali modificati dalle moderne metodologie di selezione.
 
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Ancora più semplicistici appaiono i rilievi dell’agronomo francese contro i prodotti della selezione animale, quelle linee di polli, suini e bovini nel cui organismo Aubert denuncia alterazioni biologiche tanto radicali da farne entità incapaci di sopravvivere senza il costante ricorso alla veterinaria, un’osservazione non priva di fondamento, siccome il perseguimento della produttività più intensa induce gli allevatori a evitare agli animali il più banale stato patologico, persino lo stato di sofferenza subclinico, ma che viene proposta da Aubert supponendo la sanità degli animali di un tempo e la salubrità dei loro prodotti. Una sanità, e una salubrità, che può proclamare solo chi ignori i dati più sicuri della storia dell’allevamento, una storia di epidemie, di malattie endemiche, di carni e latticini pullulanti di parassiti.
 
==Tra pseudoscienza e stregoneria==
 
Tra sette e tribù dei cultori di un’agricoltura alternativa a quella nata dalla scienza moderna una menzione particolare impone quella i cui adepti professano il credo predicato da [[w:Rudolf Steiner|Rudolf Steiner]], il dotto tedesco che si proclamò fondatore di una filosofia nuova, che definì “antroposofia”, che la materia dell’innumerabile messe di opuscoli e saggi del vate impone di includere nell’antico, inesauribile fiume della letteratura occultistica, teosofica, magica e cabalistica, un genere che dall’inizio dell’arte della stampa ha ricolmato intere biblioteche, e le tasche di stampatori e librai.
 
Nel proprio lucido, arguto volume sui fondatori delle più stravaganti dottrine pseudoscientifiche degli ultimi cento anni Martin Gardner, matematico e storico della scienza, ha tracciato un profilo di straordinaria penetrazione dell’alfiere di una nuova dottrina scientifica, della logica delle sue elucubrazioni, della premura di circondarsi di una scuola che è insieme setta religiosa e azienda editoriale, impegnata a sfruttare la credulità di quanti siano sedotti da un’idea che annulli le nozioni accumulate dalla conoscenza umana dal tempo di Eraclito. Integra il profilo l’immancabile proclama del profeta della nuova dottrina di essere perseguitato dalla scienza accademica, che lo escluderebbe, per invidia, dai propri ranghi. L’esclusione pare accendere l’estro del genio incompreso, che si rimette al giudizio dei posteri, che non potranno che rigettare le conoscenze accumulate da Bacone a Boyle, da Pasteur ad Einstein, per professare la dottrina enunciata dal maestro ignorato dai contemporanei.
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I trenta anni trascorsi hanno convertito l’opzione di pratiche agrarie alternative da impegno etico di pionieri dalle vigorose motivazioni ideali, paladini della ricomposizione degli equilibri tra l’uomo e le risorse, che le ragioni ideali anteponevano ad ogni calcolo economico, in attività produttiva dai solidi risultati economici. Ad assicurare quei risultati sono stati due eventi dagli esiti convergenti: il varo, da parte dell’Unione Europea, di un programma di significativi incentivi a favore dell’agricoltura “biologica”, il diffondersi tra i consumatori di istanze salutistiche sempre più affannose. Da un lato, cioè, le erogazioni dell’Unione Europea hanno convertito l’agricoltura alternativa in uno dei terreni più fertili di contributi della sussidiata agricoltura europea, dall’altro consumatori sempre più sazi, adusi a devolvere agli acquisti alimentari una percentuale del proprio reddito insignificante di fronte alle quote del reddito destinate al cibo da tutte le società della storia, sempre più ansiosi dei possibili effetti nocivi di alimenti “contaminati”, sono stati sospinti a premiare con liberalità, pagandoli prezzi maggiori, alimenti che si proclamano in possesso di requisiti salutistici più certi delle derrate ottenute con le pratiche consuete.
Trasformata da impegno etico di tutela degli equilibri tra l’uomo e le risorse agrarie in ordinaria attività produttiva, condotta da una pluralità di operatori per ricavarne, come tutti gli imprenditori, contributi pubblici e i più elevati guadagni possibili, senza rinnegare i principi cardinali, in primo luogo il bando della chimica, l’agricoltura alternativa ha rigettato le istanze teoriche, ha rinunciato ad elaborare una dottrina da contrapporre alle teorie agronomiche classiche, si è immersa nei problemi della tecnica produttiva.
 
I quali sono tutt’altro che semplici. Avvicinare le produzioni dell’agricoltura alternativa, realizzate senza antiparassitari, anticrittogamici e diserbanti, alle rese produttive dell’agricoltura ortodossa non è impegno agevole: è solo grazie ad estrema perizia che il divario può essere ridotto. Se ridurlo risultasse tecnicamente troppo arduo, la tentazione degli adepti conquistati alla nuova pratica dai sussidi pubblici ad impiegare, surrettiziamente, gli strumenti della chimica, diverrebbe irresistibile. E, si deve sottolineare, il sotterfugio sarebbe di identificazione impossibile: i fertilizzanti, e molte delle molecole antiparassitarie più moderne, non lasciano traccia, ed è arduo supporre che gli organismi di certificazione, che suggellano la produzione “biologica” con uno-due sopraluoghi annuali, traendo il proprio utile dal numero delle aziende cui rilasciano i propri attestati, sarebbero interessati a scoprire le frodi.
Per scongiurare il pericolo che l’intero ordito dell’agricoltura alternativa, ormai florido sistema economico, sia pervaso dalla tara della frode, i suoi alfieri debbono assicurare agli adepti la disponibilità di pratiche sicure, che applicate con meticolosità producano risultati non troppo remoti da quelli dell’agricoltura ortodossa, dai quali deve separarli un divario che possa essere compensato dalle sovvenzioni e dal più elevato prezzo di vendita dei prodotti. Ma risolvere, senza l’impiego di fertilizzanti, insetticidi, anticrittogamici e diserbanti, tutti i problemi tecnici nelle sfere diverse della produzione agricola non è obiettivo agevole: alla soluzione dei cento quesiti in cui l’imperativo si rifrange nella molteplicità delle colture e degli allevamenti la seconda generazione degli alfieri dell’agricoltura alternativa ha dedicato tutte le proprie energie.
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Conclusa la rassegna degli alfieri della nuova agricoltura protesi a fondare la metodologia che propugnano su originali fondamenta filosofiche, una pretesa i cui coloriti risultati hanno suggerito, sensatamente, il ripudio di ogni ambizione teorica e l’adesione al più pratico credo tecnicistico, una considerazione particolare ed una riflessione conclusiva sono dovute ad un testo redatto secondo un’ispirazione radicalmente diversa, il proposito di comporre l’inventario più completo delle esperienze di agricoltura eterodossa per di verificare il contributo che ciascuna può prestare a definire il quadro dell’agricoltura del futuro, di cui lo stesso testo mira a delineare i caratteri generali, raccogliendo le cento esperienze che considera entro una cornice scientifica unitaria.
 
E’ il volume ''Alternative agriculture del National Research Council'' degli Stati Uniti, un consesso scientifico di prestigio internazionale che ha affidato l’indagine delle metodologie agronomiche estranee ai canoni ordinari ad un comitato di agronomi, genetisti, biologi ed economisti, che nel 1989 hanno enucleato, nell’ampio volume, l’inventario delle esperienze innovative identificate su tutto il territorio dell’Unione. Hanno definito quelle esperienze esempi di “agricoltura alternativa”, un termine scelto rifiutando, significativamente, quelli più ambiziosi di “agricoltura biologica”, “biodinamica”, di “agroecologia”, una scelta in cui è trasparente il rigetto di opzioni filosofiche che trascendano il terreno agronomico. Escluse, peraltro, pretese filosofiche, il lavoro del comitato del National Research Council rivela intenti di sintesi dalle palesi ambizioni scientifiche: al pragmatismo filosofico si compone la lucidità dei propositi conoscitivi.
 
Negli ultimi tre quarti di secolo l’agricoltura americana ha conseguito, riconoscono i membri del comitato, traguardi straordinari di produttività, ma quei traguardi non sono stati realizzati senza costi, che debbono identificarsi nell’inquinamento delle falde freatiche provocato da fertilizzanti e antiparassitari, nei rischi alla salute di chi esegue i trattamenti antiparassitari e di chi consumi prodotti trattati impropriamente, nel ricorso sistematico e parvasivo ai farmaci negli allevamenti, un ricorso che può condurre alla creazione di ceppi batterici resistenti, potenzialmente nocivi non solo agli animali ma anche all’uomo Di fronte alle conseguenze nocive delle pratiche moderne vi sono agricoltori che hanno reagito cercando di evitare, o di limitare, l’impiego di fertilizzanti e antiparassitari nei propri campi e nei propri frutteti, di antibiotici nelle proprie stalle. Quelle esperienze hanno raggiunto un numero tanto consistente da imporre un’analisi che verifichi quali contributi esse possano prestare, generalizzandone le pratiche, al superamento dei problemi creati dalla tecnologia agraria moderna.
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==Bibliografia==
 
*-Altieri Miguel A., ''Agroecologia'', Muzzio § c., Padova 1991
*-Aubert Claude, ''L’agriculture biologique. Pourquoi et comment la pratiquer'', Le courrier du livre, Paris 1977
*-Carson Rachel, ''Primavera silenziosa'', Feltrinelli, Milano 1963
*-Commoner Barry, ''Il cerchio da chiudere'', Garzanti, Milano 1972
*-Costantini Enos, ''Agricoltura biologica: la “mia” storia'', in “Cirignicule” 20 agns. Quattro lustri di Agricoltura Biologica in Friuli, “La Cirignicule”, cooperativa agricola a. r. l., Gemona del Friuli 1999
*-De Saint Hénis Antoine Ayrault, ''Guide pratique de culture biologique'', Agriculture et vie, Angers 1972
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