Don Chisciotte della Mancia/Capitolo XXXII: differenze tra le versioni

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Il primo libro era ''Don Cirongilio di Tracia'', l'altro ''Felismarte d'Ircania'', ed il terzo ''La Storia del gran capitano Gonzala Fernandez di Cordova'' con la ''Vita di Diego Garcia di Peredes''.
 
Quando il curato ebbe letto il titolo dei due primi, si volse al barbiere, e disse :
 
- Qui ci vorrebbe la nipote e la serva del nostro amico.
 
- Non importa — rispose il barbiere; — so anch'io buttarli in corte o metterli sotto il camino, dove arderà un buon fuoco.
 
— Che? vorrebbe forse vostra signoria bruciare i miei libri? - disse l'oste.
 
— Io brucerei — disse il curato — questi due solamente, cioè quello del don Girongilio e quello di Felismarte.
 
— Ma — replicò l'oste — questi libri sono forse eretici o flemmatici, che li volete abbruciare?
 
— Scismatici, dovete dire — soggiunse il barbiere — e non flemmatici.
 
— Questo appunto volevo dire — replicò l'oste: - ma se vossignoria ne vuole bruciare qualcuno, preferisco che vada alle fiamme quello del gran capitano e quello di Diego Garcìa, perché gli altri mi sono tanto cari, che lascerei bruciare piuttosto un figliuolo.
 
— Fratello, — disse il curato — questi due libri sono bugiardi e pieni zeppi di spropositi e di chimere, mentre quello del Gran capitano è storia vera, e racconta i fatti di Gonzalo Fernàndez di Córdova, che meritò, per le sue molte e grandi imprese, di essere chiamato da tutti il ''gran Capitano'', soprannome celebre, luminoso e adatto a lui solo. Quanto, poi, a Diego Garcìa di Paredes, egli fu un cavaliere fra i primi della città di Trujillo, nell'Estremadura, guerriero valorosissimo e dotato dalla natura di tanta forza, che riusciva a fermare con un sol dito la ruota di un mulino nel momento della sua maggior velocità; e fermo, con uno spadone in mano, all'ingresso di un ponte, impedì ad un esercito
innumerevole di passarlo; e fece inoltre tante altre prodezze, che se invece di scriverle egli stesso colla modestia di chi parla di sé, le avesse scritte qualcun altro
spassionatamente, avrebbero oscurato quelle di Ettore, di Achille e di Orlando.
 
- Oh, ma è bella — disse l'oste: - voi fate le maraviglie perché fu fermata una macina da mulino con un dito? Legga, per Bacco, la signoria vostra ciò che ho letto io di Felismarte d'Ircania, che con un solo manrovescio tagliò per mezzo cinque giganti, come se fossero stati di ricotta, o tanti di quei fratini che i ragazzi fanno coi baccelli di fave fresche. Un'altra volta assalì un grandissimo e poderosissimo esercito, composto di un milione e seicentomila soldati, armati tutti da capo a piedi, e li sbaragliò, e li fece fuggire tutti come mandre di pecore. E che diremo del buon don Cirongilio di Tracia? Fu tanto animoso e valente, che navigando per un fiume, ed essendo uscito dall'acqua un drago di fuoco, gli saltò in groppa, e gli strinse con le mani la gola per modo che, sentendosi il drago sul punto di morire strozzato, non trovò altro scampo che immergersi in fondo al fiume, trascinando seco il cavaliere, che tuttavia non volle staccarsi da lui, e quando fu al fondo, si trovò in un palazzo, con un giardino che era una meraviglia a vederlo. Colà il drago si trasformò in un vecchio decrepito e gli disse tante mai cose, che non si potrebbero neppure immaginare. Non dica di no vossignoria, che se leggesse queste imprese, impazzirebbe per il piacere. E venga il canchero al gran Capitano e al signor don Diego Garcìa.
 
Dorotea disse a Cardenio, con voce sommessa:
 
- Manca poco al nostr'oste di fare come don Chisciotte.
 
- Anche a me sembra così — rispose Cardenie; — perché, a quanto pare, egli crede che quei suoi libri siano vangelo, e tutti i predicatori del mondo non gli farebbero credere il contrario.
 
- Badate bene, fratello, — tornò a dire il curato — che né Felismarte né don Cirongilio di Tracia esistettero mai, né gli altri cavalieri di cui parlano i libri di cavalleria, tutti composti e immaginati da cervelli oziosi, intenti solo, come voi stesso diceste, a dar passatempo agli sfaccendati, come i vostri mietitori quando
li leggono. Io vi giuro che mai si videro al mondo simili Cavalieri, né si diedero mai simili prodezze e spropositi.
 
- A me non si vendono lucciole per lanterne, — rispose l'oste — come se io non sapessi quante dita ha una mano, o dove mi duole la scarpa: e non si creda la signoria vostra d'ingannarmi, perché, viva il cielo, so distinguere il nero dal bianco. È strano ch'ella voglia persuadermi che il contenuto di questi libri sia un impasto di menzogne, mentre sono stampati con licenza dei signori del Consiglio reale
 
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