Divina Commedia/Paradiso/Canto XXX: differenze tra le versioni

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< [[Autore:Dante Alighieri]] <br/>
== CANTO XXX ==
< [[La Divina Commedia - Paradiso]] <br/>
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'''Paradiso - CANTO XXX'''
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''Canto XXX, ove narra come l'auttore vidde per conducimento di Beatrice li splendori de la divinità e le seggie de l'anime de li uomini, tra le quali vide già collocata quella de lo imperadore Arrigo di Lunzimborgo con la sua corona.''
Forse semilia miglia di lontano <br>
ci ferve l'ora sesta, e questo mondo <br>
china già l'ombra quasi al letto piano, <br>
quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, <br>
comincia a farsi tal, ch'alcuna stella <br>
perde il parere infino a questo fondo; <br>
e come vien la chiarissima ancella <br>
del sol più oltre, così 'l ciel si chiude <br>
di vista in vista infino a la più bella. <br>
Non altrimenti il trïunfo che lude <br>
sempre dintorno al punto che mi vinse, <br>
parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, <br>
a poco a poco al mio veder si stinse: <br>
per che tornar con li occhi a Bëatrice <br>
nulla vedere e amor mi costrinse. <br>
Se quanto infino a qui di lei si dice <br>
fosse conchiuso tutto in una loda, <br>
poca sarebbe a fornir questa vice. <br>
La bellezza ch'io vidi si trasmoda <br>
non pur di là da noi, ma certo io credo <br>
che solo il suo fattor tutta la goda. <br>
Da questo passo vinto mi concedo <br>
più che già mai da punto di suo tema <br>
soprato fosse comico o tragedo: <br>
ché, come sole in viso che più trema, <br>
così lo rimembrar del dolce riso <br>
la mente mia da me medesmo scema. <br>
Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso <br>
in questa vita, infino a questa vista, <br>
non m'è il seguire al mio cantar preciso; <br>
ma or convien che mio seguir desista <br>
più dietro a sua bellezza, poetando, <br>
come a l'ultimo suo ciascuno artista. <br>
Cotal qual io la lascio a maggior bando <br>
che quel de la mia tuba, che deduce <br>
l'ardüa sua matera terminando, <br>
con atto e voce di spedito duce <br>
ricominciò: «Noi siamo usciti fore <br>
del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: <br>
luce intellettüal, piena d'amore; <br>
amor di vero ben, pien di letizia; <br>
letizia che trascende ogne dolzore. <br>
Qui vederai l'una e l'altra milizia <br>
di paradiso, e l'una in quelli aspetti <br>
che tu vedrai a l'ultima giustizia». <br>
Come sùbito lampo che discetti <br>
li spiriti visivi, sì che priva <br>
da l'atto l'occhio di più forti obietti, <br>
così mi circunfulse luce viva, <br>
e lasciommi fasciato di tal velo <br>
del suo fulgor, che nulla m'appariva. <br>
«Sempre l'amor che queta questo cielo <br>
accoglie in sé con sì fatta salute, <br>
per far disposto a sua fiamma il candelo». <br>
Non fur più tosto dentro a me venute <br>
queste parole brievi, ch'io compresi <br>
me sormontar di sopr' a mia virtute; <br>
e di novella vista mi raccesi <br>
tale, che nulla luce è tanto mera, <br>
che li occhi miei non si fosser difesi; <br>
e vidi lume in forma di rivera <br>
fulvido di fulgore, intra due rive <br>
dipinte di mirabil primavera. <br>
Di tal fiumana uscian faville vive, <br>
e d'ogne parte si mettien ne' fiori, <br>
quasi rubin che oro circunscrive; <br>
poi, come inebrïate da li odori, <br>
riprofondavan sé nel miro gurge, <br>
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. <br>
«L'alto disio che mo t'infiamma e urge, <br>
d'aver notizia di ciò che tu vei, <br>
tanto mi piace più quanto più turge; <br>
ma di quest' acqua convien che tu bei <br>
prima che tanta sete in te si sazi»: <br>
così mi disse il sol de li occhi miei. <br>
Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi <br>
ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe <br>
son di lor vero umbriferi prefazi. <br>
Non che da sé sian queste cose acerbe; <br>
ma è difetto da la parte tua, <br>
che non hai viste ancor tanto superbe». <br>
Non è fantin che sì sùbito rua <br>
col volto verso il latte, se si svegli <br>
molto tardato da l'usanza sua, <br>
come fec' io, per far migliori spegli <br>
ancor de li occhi, chinandomi a l'onda <br>
che si deriva perché vi s'immegli; <br>
e sì come di lei bevve la gronda <br>
de le palpebre mie, così mi parve <br>
di sua lunghezza divenuta tonda. <br>
Poi, come gente stata sotto larve, <br>
che pare altro che prima, se si sveste <br>
la sembianza non süa in che disparve, <br>
così mi si cambiaro in maggior feste <br>
li fiori e le faville, sì ch'io vidi <br>
ambo le corti del ciel manifeste. <br>
O isplendor di Dio, per cu' io vidi <br>
l'alto trïunfo del regno verace, <br>
dammi virtù a dir com' ïo il vidi! <br>
Lume è là sù che visibile face <br>
lo creatore a quella creatura <br>
che solo in lui vedere ha la sua pace. <br>
E' si distende in circular figura, <br>
in tanto che la sua circunferenza <br>
sarebbe al sol troppo larga cintura. <br>
Fassi di raggio tutta sua parvenza <br>
reflesso al sommo del mobile primo, <br>
che prende quindi vivere e potenza. <br>
E come clivo in acqua di suo imo <br>
si specchia, quasi per vedersi addorno, <br>
quando è nel verde e ne' fioretti opimo, <br>
sì, soprastando al lume intorno intorno, <br>
vidi specchiarsi in più di mille soglie <br>
quanto di noi là sù fatto ha ritorno. <br>
E se l'infimo grado in sé raccoglie <br>
sì grande lume, quanta è la larghezza <br>
di questa rosa ne l'estreme foglie! <br>
La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza <br>
non si smarriva, ma tutto prendeva <br>
il quanto e 'l quale di quella allegrezza. <br>
Presso e lontano, lì, né pon né leva: <br>
ché dove Dio sanza mezzo governa, <br>
la legge natural nulla rileva. <br>
Nel giallo de la rosa sempiterna, <br>
che si digrada e dilata e redole <br>
odor di lode al sol che sempre verna, <br>
qual è colui che tace e dicer vole, <br>
mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira <br>
quanto è 'l convento de le bianche stole! <br>
Vedi nostra città quant' ella gira; <br>
vedi li nostri scanni sì ripieni, <br>
che poca gente più ci si disira. <br>
E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni <br>
per la corona che già v'è sù posta, <br>
prima che tu a queste nozze ceni, <br>
sederà l'alma, che fia giù agosta, <br>
de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia <br>
verrà in prima ch'ella sia disposta. <br>
La cieca cupidigia che v'ammalia <br>
simili fatti v'ha al fantolino <br>
che muor per fame e caccia via la balia. <br>
E fia prefetto nel foro divino <br>
allora tal, che palese e coverto <br>
non anderà con lui per un cammino. <br>
Ma poco poi sarà da Dio sofferto <br>
nel santo officio; ch'el sarà detruso <br>
là dove Simon mago è per suo merto, <br>
e farà quel d'Alagna intrar più giuso».
 
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