Don Chisciotte della Mancia/Capitolo XXVIII: differenze tra le versioni

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Ho più volte pensato quanto dovettero esser felici e fortunati i tempi nei quali visse l'arditissimo cavaliere don Chisciotte della Mancia; il quale, per aver preso la onorevole determinazione di far rivivere tra le genti l'ordine quasi estinto della cavalleria errante, è motivo a noi di godere in questa nostra misera età un qualche lieto trattenimento, non solo gustando le piacevolezze della sua storia, ma anche i racconti e gli episodi che s'incontrano in essa e che non sono meno dilettevoli.<ref>In qualche altra parte del suo libro il Cervantes trova poi degni di censura questi episodi.</ref> Riprendendo ora il filo di questa storia, veniamo a sapere che, mentre il curato si disponeva a consolare Cardenio, lo distolse una voce improvvisa:
- Oh Dio! — essa diceva — è possibile ch'io abbia trovato un luogo che possa servir di sepolcro al pesante fardello di questo corpo, che mi è tanto grave a sostenere? L'ho trovato, sì; e non può ingannarmi nelle mie speranze la solitudine di queste montagne. Ahi, sventurata! quanto meglio d'ogni vivente mi faranno dolce compagnia queste balze, per isfogare col ciclocielo la sciagura che tanto mi opprime! No, non c'è sulla terra persona da cui si possa sperare consiglio negli incerti eventi, sollievo e rimedio ai mali!
Il curato ed i suoi compagni udirono queste parole; e sembrando loro, com'era infatti, che chi si lamentava così non fosse lontano, si misero subito alla ricerca di quest'altra povera anima; e non avevano fatto più di venti passi, che videro dietro a un masso, seduto appiè di un frassino, un giovane in abito di contadino. Non ne scorsero subito il volto, giacché teneva la testa bassa per lavarsi i piedi nelle acque di un ruscelletto. Si avvicinarono a lui chetamente da non essere uditi, tanto egli era intento al suo lavacro, mettendo in vista due piedi di tanta bianchezza, che parevano frammenti cristallini misti alle terse pietruzze sparse sulle sponde di quel ruscello. Ne ammirarono il candore e la bellezza e pensarono che non fossero fatti per calpestar zolle, né per camminare fra l'aratro ed i buoi, come pareva esigere l'abito di cui il giovane era vestito. Si accorse il curato, che precedeva gli altri, di non essere stato veduto, e fé' cenno ai compagni che si mettessero in agguato, dietro un macigno lì presso. Tutti obbedirono, stando attenti ad ogni atto di quel giovane, il quale era vestito di una piccola zimarra bigia con una cintura bianca, un paio di calzoni larghi di panno nero e una monterà del medesimo panno. I suoi calzoni erano rimboccati su fino a mezza gamba, che pareva di alabastro. Quando ebbe finito di lavarsi i piedi, trasse un asciugatoio che teneva sotto alla ''montera'' e se li asciugò; poi, volendo sollevarsi dal volto i capelli, alzò la testa e scoperse una bellezza tale di lineamenti, che Cardenio disse al curato con bassa voce:
- Poiché non è Lucinda, non è nemmeno persona umana ma pare divina.
 
Il giovane si trasse la ''montera'',<ref> Specie di berretto usato dai contadini nella Mancia e nell'Andalusia.</ref> e scotendo la testa, fece mostra di una superba treccia di capelli biondi, da muover invidia ai raggi del sole. Capirono da tutto ciò che non era un contadino, ma una delicata fanciulla, e la più bella che avessero veduta fino a quel punto. Cardenio dichiarò ai suoi compagni che soltanto quell'incognita avrebbe potuto gareggiare in avvenenza con la belliliima sua Lucinda. Le trecce bionde non solo le coprivano le spalle, ma ondeggiavano da ogni parte, e la rivestivano tutta, quasi come un manto, rimanendo scoperti solo i piedi. Adoprava per pettinarsi due mani, che, se i piedi nell'acqua parevano di cristallo, quelle parevano fiocchi di neve appena caduta. Tutto ciò eccitava nei tre uomini il più vivo desiderio di sapere chi ella fosse. Si decisero alla fine di lasciarsi vedere; e al fruscio che fecero per alzarsi, la vezzosa giovane sollevò la testa, e spartendo con le sua dita gentili i capelli sugli occhi, che n'erano coperti, osservò d'onde venisse il rumore. Appena vedute quelle persone, balzò in piedi, e senza più badare a calzarsi, né a raccoglier le trecce, prese lesta un involto che aveva dappresso e si mise a fuggire tutta turbata e confusa. Ma dopo appena sei passi, non potendo i suoi piedi delicati tollerare l'asprezza delle piante, cadde in terra. I tre amici volarono a darle assistenza, e il curato fu il primo a dirle:
— Fermatevi, signora, chiunque voi siate, che noi tutti siamo qua per assistervi; né vogliate fuggire per causa nostra, perché né i vostri piedi lo potranno e neppur noi potremo acconsentirvi.
 
A tutto ciò ella non rispondeva, ma stava confusa ed attonita; se non che il curato, fattosi più vicino, la prese per la mano, dicendo:
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Mentre il curato così le diceva, la giovane travestita se ne stava come stupefatta, guardando ora l'uno ora l'altro senza proferire parola. Ma il curato riprese a parlare, adducendo nuove ragioni a poterla persuadere; finalmente essa mandò un profondo sospiro, ruppe il silenzio e disse:
- Poichè non riuscì a celarmi la solitudine di queste balze e i miei capelli sciolti e scomposti renderebbero evidente ogni mia menzogna, inutile mi sarebbe fingere più oltre. Dopo questo, o signori, mi dichiaro tanto obbligata alle vostre offerte, che non posso non soddisfare interamente alle domande che mi rivolgete. Temo per altro che il racconto che vi farò, abbia a ispirarvi noia oltre che compassione. Ma perché, intanto, la mia riputazione non iscapiti nel giudizio che potreste farvi di me, vedendomi giovane, sola e travestita, vi dirò quel che avrei desiderato di non rivelare a nessuno.
 
Tutto questo fu detto dall'avvenente giovane con tanta speditezza e con accento così soave, che gli astanti dovettero ammirare in lei il suo criterio non meno della sua bellezza. Insistettero essi perch'ella mantenesse la sua promessa, e la giovane, senza lasciarsi pregare più a lungo, si mise le calze con onesta disinvoltura, raccolse i capelli, si pose a sedere su di un sasso, e in mezzo al cerchio de' tre viandanti, sforzandosi di ritenere una lagrima che le spuntava dagli occhi, cominciò a narrare la sua storia con voce chiara e riposata:
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Appena la narratrice ebbe pronunziato il nome di don Fernando, Cardenio cambiò di colore in viso, e cominciò a sudare e a smaniare in modo, che il curato e il barbiere temettero fosse assalito da un accesso di pazzia, poiché già sapevano che soleva esserne assalito di tanto in tanto. Cardenio, però, non fece altro che sudare e rimase quieto, guardando la giovane senza battere palpebra e pensando chi potesse essere. Ella, senza avvedersi di nulla, proseguì la sua storia.
« Al primo vedermi, subito Fernando, come ebbiebbe poi a dirmi, restò preso di me. Voglio tacere, per non prolungare all'infinito la storia della mia disgrazia, le tante premure usate da lui per dichiararmi i suoi sentimenti. Corruppe tutti i miei famigli; diede e offrì regali e favori ai miei parenti; si faceva festa ogni giorno lungo la strada dov'io abitavo; le serenate impedivano il sonno ai casigliani; innumerevoli biglietti, senza saper come, giungevano alle mie mani e contenevano espressioni d'amore ed offerte, ed i giuramenti erano sempre più delle parole. Io però non mi sentivo commossa e intenerita; anzi, il mio cuore s'induriva come contro a un mortale nemico: e quanto egli faceva per piegarmi in suo favore, produceva in me un effetto contrario. Non mi offendeva, però, la gentilezza di don Fernando, e lungi dall'avere a sdegno le sue premure, provavo non so quale soddisfazione nel vedermi amata e stimata a quel modo da un sì gran cavaliere; né mi rincresceva di leggere le mie lodi nei suoi scritti; che, anche quando noi altre dònne siamo brutte, ci è sempre di grande compiacenza sentirci dire che siamo belle. Nondimeno l'onestà mia si opponeva a tutto, aiutata dai continui consigli dei miei genitori, che già conoscevano molto bene le intenzioni di don Fernando, il quale non aveva ormai più riguardo che il suo amore fosse palese a tutto il mondo. Mi dicevano che il loro onore e la loro riputazione riposava sulla mia sola virtù; che considerassi quale distanza era da me a don Fernando, ed avrei visto un giorno apertamente che le intenzioni di lui miravano più a contentare se stesso che al mio vantaggio. Aggiungevano che, se io avessi voluto sottrarmi alle sue insidie, essi mi avrebbero subito sposata a chi più mi fosse piaciuto, scegliendo un partito fra i più convenienti della nostra terra, oppure delle terre circonvicine. Incoraggiata da queste sicure promesse e dalle verità che mi esponevano, io mi ostinai nella mia fermezza, e non volli rispondere mai parola che potesse dare a don Fernando la più lontana speranza di venire a capo delle sue brame. Tutte le mie precauzioni par allontanarlo, interpretate da lui come segni di disprezzo, non fecero che infiammare i suoi perversi desiderii; che altro non era l'amore che fingeva di portarmi, e se fosse stato verace amore, non sarei ora qui a farvi questo racconto. Seppe finalmente don Fernando che i miei genitori avevano pensato di maritarmi, perché egli rinunziasse ad ogni speranza di possedermi, o almeno perch'io avessi uno scudo o una difesa contro di lui.
 
 
« Trovandomi una notte nella mia stanza con una sola cameriera, senza che io sapessi immaginar come e nonostante ogni scrupolosa precauzione, me lo vidi comparire davanti nella solitudine e nel silenzio del mio ritiro. Riavuta un poco dallo stupore di quell'improvvisa apparizione, mentre egli con dolci parole, accompagnate da lagrime e da sospiri, cercava di acquistar fede alle sue fallaci proteste d'amore, raccolsi i miei spiriti smarriti e con quanto coraggio era in me, gli dissi : " — Signore, se invece che fra le vostre braccia, fossi tra le zanne di un fiero leone e non potessi liberarmene se non a patto di far cosa contraria alla mia onestà, non sarebbe possibile che io m'inducessi a commetterla. Sono vostra vassalla, non però vostra schiava: e stimo tanto me stessa, contadina ed umile, quanto voi potete stimarvi per essere signore e cavaliere. Tutto questo vi dico, perché non isperiate mai di ottenere da me quella corrispondenza di affetto, ch'è riserbata soltanto a colui che potrà esser mio legittimo sposo. « — Se altro non brami, bellissima Dorotea (è questo il nome della sventurata che vi parla), se altro non brami, — disse lo sleale cavaliere — ecco che io ti do la mano in pegno della solenne promessa di essere tuo, e ne chiamo testimonio il cielo, a cui nulla si nasconde, e quella immagine santa di Nostra Signora che hai qui accanto. » Quando Cardenio intese ch'ella si chiamava Dorotea, cominciò a turbarsi di nuovo, confermandosi nella sua prima opinione: ma non volle interrompere il racconto, per vedere se combinava con ciò che sapeva egli stesso ; soltanto disse :
— Che! Dorotea vi chiamate, o signora? Altre volte udii parlare di qualcuna che portava lo stesso nome, e sofferse sventure che somigliano molto alle vostre. Continuate, che poi vi dirò cose che vi recheranno non so se più meraviglia o dolore.
 
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- Sia pure - rispose Dorotea; — io continuo la mia narrazione.
 
" Don Fernando, presa un'immagine santa che si trovava nella mia stanza, la volle per testimonio delle nostre nozze, e con parole efficacissime e con giuramenti straordinari protestò di voler essere mio consorte. Rimase incrollabile nel suo proponimento, nonostante fosse da me avvertito che badasse bene a quello che faceva, e pensasse allo sdegno di suo padre quando sapesse che si fosse accasato con una campagnola sua vassalla; che non lo accecasse la mia qualunque bellezza, perché non sarebbe bastata a scolparlo dell'errore commesso, e che se desiderava farmi qualche bene, per l'amore che mi portava, mi lasciasse a un destino conforme al mio stato, perché le unioni fra disuguali non godono della pace, né durano a lungo con la soddisfazione con cui cominciano. A tutte queste riflessioni altre ne aggiunsi, delle quali ora non mi ricordo; ma non per questo egli desistette. Debbo, però, confessarvi che io cominciai a dire fra me: Veramente, non sarei io la prima che, per via del matrimonio, è salita ad alto stato; né don Fernando sarebbe il primo a cui o la bellezza o un amore prepotente hanno fatto contrarre un matrimonio non adeguato alla sua grandezza. Mi pareva, quindi, che non fosse bene ostinarsi a respingere ciò che la fortuna mi offriva, mentre, insistendo con le ripulse, potevo espormi a un pericolo molto grave. Vinta, pertanto, da queste considerazioni, e dalle preghiere e dai giuramenti che don Fernando veniva ripetendo dinanzi all'immagine santa, e in presenza della cameriera, dichiarai di accettarlo come legittimo sposo. Disgraziata! da quel momento parve che si spegnesse tutto l'ardore dell'animo suo. Il giorno che seguì la notte della mia miseria cominciò a farsi chiaro quel che don Fernando bramava. Dico questo perché si affrettò a lasciarmi sola: e con la complicità della mia cameriera, che l'aveva già fatto entrare, prima di giorno uscì della mia stanza; non senza ripetere, benché con meno calore di prima, i suoi giuramenti, in pegno dei quali mi lasciò un ricco anello, che egli stesso mi pose in dito. Partì, ed io rimasi non so dire se mesta od allegra: so dire, bensì, che ero tutta confusa, pensosa e quasi fuori di me. Il tradimento di dar passo libero a don Fernando nella mia stanza fu opera, come dissi, della mia cameriera; eppur non ebbi il coraggio di rimproverarla, non sapendo se l'accaduto fosse stato un bene o un male. Avevo detto a don Fernando che collo stesso mezzo avrebbe potuto venire quando voleva a trovarmi, finché poi si potesse far pubblico il nostro matrimonio ; ma egli non ritornò più, né mi fu dato di rivederlo né in istrada, né in chiesa per oltre un mese, durante il quale fui occupata di questo solo pensiero. Sapevo ch'egli si trovava in un luogo vicino alla mia terra, e che andava spesso a caccia, di cui era appassionatissimo. Affannosi ed infausti furono i giorni e le ore che impiegai nelle indagini, e cominciai a buon diritto a temere della fede di lui e a rimproverare la cameriera della sua temerità con parole che non le avevo mai dette prima d'allora. So quanto ebbe a costarmi lo sforzo di ringoiar le lagrime e di conservare il volto composto, affinchè i genitori non mi chiedessero il perché di tanto mio rammarico, e non fossi costretta a mentire con loro. Ma ad un tratto, insieme colle speranze, furono distrutti anche i riguardi e i calcoli della prudenza; e fu quando si sparse per il paese la voce che don Fernando, in una città vicina, s'era fatto sposo ad una donzella bellissima quanto si può mai dire, e di nobilissimi genitori, quantunque non tanto grande di fortuna da poter aspirare a un così nobile matrimonio. Fu detto che si chiamava Lucinda, e aggiunsero altre circostanze, degne di maraviglia, dalle quali furono accompagnate quelle nozze ».
 
Udendo Cardenie il nome di Lucinda, non fece altro che stringersi nelle spalle, mordersi le labbra, inarcare le ciglia, e versare dagli occhi due fiumi di pianto. Ma non per questo tralasciò Dorotea di proseguire il suo racconto.