Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 9, Torino, 1925.djvu/3: differenze tra le versioni

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Non parrà strano che io qui mi metta a risuscitare i termini d’un’antica questione, compresa ormai nella storia delle polemiche e delle idee, e anzi lontana tanto dal notro tempo e dalle nostre voglie, che nessuno è tratto a rinfrescarla con lo studio de’ suoi documenti. Che, se si è sentito questi ultimi anni parlare di neoclassicismo, bisognerebbe anche determinare su quale delle due parole, aggettivo e sostantivo, i suoi fautori ponevano l’accento. Sarà facile convenire, inoltre, che avesse o non avesse quel tentativo saldezza e organicità, non mirava a una conquista o a una riedificazione, non s’opponeva ad un nemico da abbattere; sforzandosi anzi a epurare il ciclo letterario e a ripristinare un gusto che (se si può dire) delibasse e si suggesse una per una le locuzioni e le parole, sprezzava la confusione dei problemi e svalutava la volontà mistica, propagandista, profetica che adopera le lettere a un fine violento verso la vita. Non riteneva, insomma, d’avere a combattere un romanticismo.
Non parrà strano che io qui mi metta a risuscitare i termini d’un’antica questione, compresa ormai nella storia delle polemiche e delle idee, e anzi lontana tanto dal notro tempo e dalle nostre voglie, che nessuno è tratto a rinfrescarla con lo studio de’ suoi documenti. Che, se si è sentito questi ultimi anni parlare di neoclassicismo, bisognerebbe anche determinare su quale delle due parole, aggettivo e sostantivo, i suoi fautori ponevano l’accento. Sarà facile convenire, inoltre, che avesse o non avesse quel tentativo saldezza e organicità, non mirava a una conquista o a una riedificazione, non s’opponeva ad un nemico da abbattere; sforzandosi anzi a epurare il ciclo letterario e a ripristinare un gusto che (se si può dire) delibasse e si suggesse una per una le locuzioni e le parole, sprezzava la confusione dei problemi e svalutava la volontà mistica, propagandista, profetica che adopera le lettere a un fine violento verso la vita. Non riteneva, insomma, d’avere a combattere un romanticismo.


In Francia, invece, tale combattimento perdura, o si rinnova. Le sue forme, le sue condizioni, furon diverse, anche al principio, da quelle cui sottostette in Italia; variarono poi rispetto al loro stesso inizio, si ripeterono nei successivi momenti parteggiandosi diversamente il campo; scomparvero a volte i nomi. Sotto altri nomi rifiorirono le stesse idèe, sotto altre idèe militarono le stesse tradizioni e «posizioni»; e per difender meglio quel che parve importante, i primi insorti, i primi romantici furono dagli stessi per così dire loro seguaci rinnegati, scavalcati. Se oggi i primitivi nomi, in qualche senso, o per ironia, o per rimprovero, o per smania nobilitatrice ritornano, e dovere che ogni accusa o difesa clic a quei nomi s’accompagna sia bene esaminata, e rivoltata contrariamente al senso esplicito delle parole, prescindendo dalla volontà e dall’ostentazione dei campioni in patata. Per anticipare quelcheduno dei cenni con cui si potrà concludere, diciamo che si trova, come presupposto della tenzone, una implicita e pregiudiziale necessità di parteggiare: quasi che senza «principi», senza aiuti — e di quelli che suscitano intorno rispetto, di cui si può dunque menar vanto — i critici, o anche gli scrittori non potessero tenersi sicuri. Col tentare appoggi e aggrapparsi a puntelli, chiudono meglio, più legittimamente, le fila dei loro argomento; e quasi quasi il vero sta per loro non in una propria esperienza di certezza ma nel potersi muovere di conserva con gli spiriti magni; o anzi secondo una speciale tradizione clic spersonalizza fino gli individui più rappresentativi e dalle loro opere trae una sorta di formulario pratico. Queste considerazioni posson valere per le due parti mosse a rumore, benché si abbia da insistere princi¬ palmente sulle ragioni di una di esse.
In Francia, invece, tale combattimento perdura, o si rinnova. Le sue forme, le sue condizioni, furon diverse, anche al principio, da quelle cui sottostette in Italia; variarono poi rispetto al loro stesso inizio, si ripeterono nei successivi momenti parteggiandosi diversamente il campo; scomparvero a volte i nomi. Sotto altri nomi rifiorirono le stesse idèe, sotto altre idèe militarono le stesse tradizioni e «posizioni»; e per difender meglio quel che parve importante, i primi insorti, i primi romantici furono dagli stessi per così dire loro seguaci rinnegati, scavalcati. Se oggi i primitivi nomi, in qualche senso, o per ironia, o per rimprovero, o per smania nobilitatrice ritornano, e dovere che ogni accusa o difesa che a quei nomi s’accompagna sia bene esaminata, e rivoltata contrariamente al senso esplicito delle parole, prescindendo dalla volontà e dall’ostentazione dei campioni in parata. Per anticipare quelcheduno dei cenni con cui si potrà concludere, diciamo che si trova, come presupposto della tenzone, una implicita e pregiudiziale necessità di parteggiare: quasi che senza «principi», senza aiuti — e di quelli che suscitano intorno rispetto, di cui si può dunque menar vanto — i critici, o anche gli scrittori non potessero tenersi sicuri. Col tentare appoggi e aggrapparsi a puntelli, chiudono meglio, più legittimamente, le fila dei loro argomento; e quasi quasi il vero sta per loro non in una propria esperienza di certezza ma nel potersi muovere di conserva con gli spiriti magni; o anzi secondo una speciale tradizione che spersonalizza fino gli individui più rappresentativi e dalle loro opere trae una sorta di formulario pratico. Queste considerazioni posson valere per le due parti mosse a rumore, benché si abbia da insistere principalmente sulle ragioni di una di esse.


La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimulate dei loro scritti; la dirittura della loro espressione può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco «li polemisti che nella lotta toccano sul vivo e pure rispettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono malagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spianarlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.
La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimulate dei loro scritti; la dirittura della loro espressione può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco di polemisti che nella lotta toccano sul vivo e pure rispettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono malagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spianarlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.


Ma, si può allora dire: val la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Importa, fuori dei suoi confini e degl’interessi che la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nell’opera; e anzi nella miglior condizione dell’opera, togliendo quel che di troppo particolare e momentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo precisi, le minuzie, le vòglie o le ubbie dell artista; come «l’un amico non si ricordano neppure i difetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarebbee meglio trascurarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, a partigianerie non richieste?
Ma, si può allora dire: val la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Importa, fuori dei suoi confini e degl’interessi che la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nell’opera; e anzi nella miglior condizione dell’opera, togliendo quel che di troppo particolare e momentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo precisi, le minuzie, le vòglie o le ubbie dell artista; come d’un amico non si ricordano neppure i difetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarebe meglio trascurarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, a partigianerie non richieste?


Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.
Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.
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Per lui, invece, non sono da accettarsi; sono ombre vane, illusioni, menzogne o anche di peggio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, elemento morale: e, sottolineamo, nuovo. Si sta con lui infatti fuori della retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sottomettervi le opere ribelli, di epurare quelle contaminate. In opere d’arte hanno una figura, una potenza terribile, son veicolo di morte. Non son soltanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar l' allarme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e, a prescindere dai risultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo auto eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.
Per lui, invece, non sono da accettarsi; sono ombre vane, illusioni, menzogne o anche di peggio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, elemento morale: e, sottolineamo, nuovo. Si sta con lui infatti fuori della retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sottomettervi le opere ribelli, di epurare quelle contaminate. In opere d’arte hanno una figura, una potenza terribile, son veicolo di morte. Non son soltanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar l' allarme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e, a prescindere dai risultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo auto eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.


Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,
Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare.




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'''II demoniaco Gide.'''
'''Il demoniaco Gide.'''


«... cest un livre qui brûle les mains pendant qu’on le lit et avec lequel je n’ai jamais voulu me trouver en tête-à-tête tant je crois qu'il est redoutable» — chi legge queste parole capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima torbida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine o di qualche tara che la rode. Infatti chi la pronuncia è l’eroe d’una storia d' «inquiète puberté - cet état physiologique, cette crise où le masculin et le femminin se confondent où le instincts prennent le dessus, où le raisonnement lui même est tout affectif-cet état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. 114 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Gard, ''les Thibault'', annunciano i plurimi sempre uguali saggi su Gide e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero sugli eroi adolescenti che Martin du Gard è andato a scovare. Insomma, di quella stessa creazione ch’egli considera poi malvagia e anche irreale si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento del suo giudizio su Gide e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmente, qualunque libro càpiti di toccare parrà di fuoco. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pretende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e divieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e in qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dall’ombre, dalle suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciullo che più sarebbe oppresso e respinto da una rivelazione rapida, spensierata. Se è davvero opportuno seguitare a discutere di simili argomenti, gli opporremo che anche in questa materia non si vive di solo pane; e che, se un’esperienza dell' osceno è necessaria, è necessaria pure un’esperienza del torbido.
«... cest un livre qui brûle les mains pendant qu’on le lit et avec lequel je n’ai jamais voulu me trouver en tête-à-tête tant je crois qu'il est redoutable» — chi legge queste parole capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima torbida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine o di qualche tara che la rode. Infatti chi la pronuncia è l’eroe d’una storia d' «inquiète puberté - cet état physiologique, cette crise où le masculin et le femminin se confondent où le instincts prennent le dessus, où le raisonnement lui même est tout affectif-cet état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. 114 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Gard, ''les Thibault'', annunciano i plurimi sempre uguali saggi su Gide e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero sugli eroi adolescenti che Martin du Gard è andato a scovare. Insomma, di quella stessa creazione ch’egli considera poi malvagia e anche irreale si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento del suo giudizio su Gide e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmente, qualunque libro càpiti di toccare parrà di fuoco. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pretende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e divieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e in qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dall’ombre, dalle suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciullo che più sarebbe oppresso e respinto da una rivelazione rapida, spensierata. Se è davvero opportuno seguitare a discutere di simili argomenti, gli opporremo che anche in questa materia non si vive di solo pane; e che, se un’esperienza dell' osceno è necessaria, è necessaria pure un’esperienza del torbido.
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Però lo scandalo di Massis sarebbe confortato dalle confessioni del medesimo Gide; dal modo della raccolta dei suoi «Morceaux choisis» prima di tutto; da quella sua fiducia in un pubblico avvenire che è fatta apposta per inebriare gli adolescenti col gusto — e il premio — della scoperta fruttuosa; dalle confidenze in cui sembra indulgere non tanto come in uno sbocco lirico, per togliersi un peso di dosso, quanto per cattivarsi i cuori, per penetrare gli animi e adoperarli: «j’aime mieux faire agir que d’agir». E ancora: «J’écris pour qu’un adolescent, plus tard, pareil à celui que j’étais à seize ans mais plus libre, plus hardi, plus accompli, trouve lei réponse à son interrogation palpitante».
Però lo scandalo di Massis sarebbe confortato dalle confessioni del medesimo Gide; dal modo della raccolta dei suoi «Morceaux choisis» prima di tutto; da quella sua fiducia in un pubblico avvenire che è fatta apposta per inebriare gli adolescenti col gusto — e il premio — della scoperta fruttuosa; dalle confidenze in cui sembra indulgere non tanto come in uno sbocco lirico, per togliersi un peso di dosso, quanto per cattivarsi i cuori, per penetrare gli animi e adoperarli: «j’aime mieux faire agir que d’agir». E ancora: «J’écris pour qu’un adolescent, plus tard, pareil à celui que j’étais à seize ans mais plus libre, plus hardi, plus accompli, trouve lei réponse à son interrogation palpitante».


Nel tempo che Massis scrisse i suoi «jugements» non era divulgato uh libro che sarebbe una più triste testimonianza della direzione, segreta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, o magari il fallimento dell’opera come un effetto di debolezza, di passività, d’incapacità di costruire: sarebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opinioni prevalgono o si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molle delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tutt’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e infernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una dignità non mai prevista il nemico ch’egli non riesce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle qualità sataniche, gliela crea, Si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta negli accenti di cui Massis si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto che sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincarare la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, anche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrere i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la prima impressione, ch’era la più generosa.
Nel tempo che Massis scrisse i suoi «jugements» non era divulgato uh libro che sarebbe una più triste testimonianza della direzione, segreta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, o magari il fallimento dell’opera come un effetto di debolezza, di passività, d’incapacità di costruire: sarebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opinioni prevalgono o si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molte delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tutt’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e infernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una dignità non mai prevista il nemico ch’egli non riesce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle qualità sataniche, gliela crea, si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta negli accenti di cui Massis si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto che sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincarare la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, anche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrere i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la prima impressione, ch’era la più generosa.


Ecco, per essere più precisi, un episodio secondo Massis rivelatore. Delle «Caves du Vatican» Gide riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immotivato» di cui si macchia il protagonista Lafeadio. Chi è Lafeadio? — è un prodotto libero, di diverse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipendenza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore. Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una maniera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viaggio ignoto, che gli e indifferente e perciò lo urta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cette doublé fermeture que je peux faire jouer aisément; cette porte qui, cédant tout à coup, le laisserait couler en avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènements que j’ai curiosité que de moi - même (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma main, cette doublé fermeture — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi ! plus aisément encore qu’on êut cru. Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est sauvé. Je commence: une; deux; trois; quatre; (lentement! lentement!) cinq; six; sept; huit; neuf... Dix, un feu!» Cosi il delitto si compie.
Ecco, per essere più precisi, un episodio secondo Massis rivelatore. Delle «Caves du Vatican» Gide riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immotivato» di cui si macchia il protagonista Lafeadio. Chi è Lafeadio? — è un prodotto libero, di diverse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipendenza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore. Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una maniera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viaggio ignoto, che gli e indifferente e perciò lo urta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cette doublé fermeture que je peux faire jouer aisément; cette porte qui, cédant tout à coup, le laisserait couler en avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènements que j’ai curiosité que de moi - même (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma main, cette doublé fermeture — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi ! plus aisément encore qu’on êut cru. Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est sauvé. Je commence: une; deux; trois; quatre; (lentement! lentement!) cinq; six; sept; huit; neuf... Dix, un feu!» Cosi il delitto si compie.