Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 9, Torino, 1925.djvu/3: differenze tra le versioni

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{{ct|f=140%|t=1|v=1|L=5px|'''ROMANTICISMO MASCHERATO'''}}
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'''Una disputa tardiva.'''
'''Una disputa tardiva.'''


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Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.
Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.



{{ct|f=100%|t=1|v=.5|'''Giudizi temerari.'''}}
'''Giudizi temerari.'''

Il libro che induce in questo discorso non è altro che una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l'autore salienti, nel loro carattere più sintomatico. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi prima di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scrittori s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione che non e palese nell’arte, perchè è segnata da altre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più all’intenzione che ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire che per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei due volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una funzione d’accompagnamento, d’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, d’analisi vicina e informatrice; non s’accontenta che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli, Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sforzo di tanti e risultato di tanto pochi, ma sempre, dove riesce, bontà che premia la fatica, che riscatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, dello scrittore, e la distrazione, la fretta del pubblico che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.
Il libro che induce in questo discorso non è altro che una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l'autore salienti, nel loro carattere più sintomatico. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi prima di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scrittori s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione che non e palese nell’arte, perchè è segnata da altre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più all’intenzione che ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire che per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei due volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una funzione d’accompagnamento, d’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, d’analisi vicina e informatrice; non s’accontenta che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli, Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sforzo di tanti e risultato di tanto pochi, ma sempre, dove riesce, bontà che premia la fatica, che riscatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, dello scrittore, e la distrazione, la fretta del pubblico che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.


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Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,
Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,



{{ct|f=100%|t=1|v=.5|'''Massis e l’Indice.'''}}
'''Massis e l’Indice.'''

Massis fa professione di fede cattolica e di pensiero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti della fede. Crede quindi che gli sia sortita una funzione di provveditore alle lettere e d’indagatore delle tendenze e delle mire dei letterati: un ufficio intermedio tra quello della Congregazione dell' Indice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proibizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione dell'Indice, non contengono, esplicito o sottinteso, nessun principio positivo di discriminazione; lasciando all’arbitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindacabilità delle opere letterarie, elencano soltanto i libri proibiti ''ipso iure''. Non si erra di molto, credo, se si afferma che i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragioni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fame scandalose o la moda corre dietro a delle novità teoriche o scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’Indice giustamente non motiva le sentenze. La ragione e ovvia, e guai se non fosse così! I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’anche parere a taluno discutibili o non così forti da dover involvere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile la sentenza della Chiesa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dell’Indice, se non ha l’ugual valore dell’infallibilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trae: che i decreti della Congregazione son provvedimenti d’autorità, che un cattolico non può sindacare per quanto si creda superiore e immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a criticare le provvidenze che piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Congregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa proclami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditrice d’una dottrina letteraria, o a dedurre strettamente una regola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nutriti delle sue parole, non vanno a cercare un nuovo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovan nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di fraternità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle, se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.
Massis fa professione di fede cattolica e di pensiero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti della fede. Crede quindi che gli sia sortita una funzione di provveditore alle lettere e d’indagatore delle tendenze e delle mire dei letterati: un ufficio intermedio tra quello della Congregazione dell' Indice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proibizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione dell'Indice, non contengono, esplicito o sottinteso, nessun principio positivo di discriminazione; lasciando all’arbitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindacabilità delle opere letterarie, elencano soltanto i libri proibiti ''ipso iure''. Non si erra di molto, credo, se si afferma che i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragioni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fame scandalose o la moda corre dietro a delle novità teoriche o scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’Indice giustamente non motiva le sentenze. La ragione e ovvia, e guai se non fosse così! I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’anche parere a taluno discutibili o non così forti da dover involvere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile la sentenza della Chiesa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dell’Indice, se non ha l’ugual valore dell’infallibilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trae: che i decreti della Congregazione son provvedimenti d’autorità, che un cattolico non può sindacare per quanto si creda superiore e immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a criticare le provvidenze che piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Congregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa proclami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditrice d’una dottrina letteraria, o a dedurre strettamente una regola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nutriti delle sue parole, non vanno a cercare un nuovo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovan nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di fraternità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle, se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.


Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce ingiusto, che non sarà nemmeno colpa sua, e neanche se, invece di bello e brutto, dice buono e cattivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché allora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una mancanza formale, s’è consolata la miseria, e la decadenza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?
Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce ingiusto, che non sarà nemmeno colpa sua, e neanche se, invece di bello e brutto, dice buono e cattivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché allora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una mancanza formale, s’è consolata la miseria, e la decadenza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?



{{ct|f=100%|t=1|v=1|L=5px|'''II demoniaco Gide.'''}}
'''II demoniaco Gide.'''


«... cest un livre qui brûle les mains pendant qu’on le lit et avec lequel je n’ai jamais voulu me trouver en tête-à-tête tant je crois qu'il est redoutable» — chi legge queste parole capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima torbida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine o di qualche tara che la rode. Infatti chi la pronuncia è l’eroe d’una storia d' «inquiète puberté - cet état physiologique, cette crise où le masculin et le femminin se confondent où le instincts prennent le dessus, où le raisonnement lui même est tout affectif-cet état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. 114 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Gard, ''les Thibault'', annunciano i plurimi sempre uguali saggi su Gide e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero sugli eroi adolescenti che Martin du Gard è andato a scovare. Insomma, di quella stessa creazione ch’egli considera poi malvagia e anche irreale si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento del suo giudizio su Gide e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmente, qualunque libro càpiti di toccare parrà di fuoco. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pretende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e divieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e in qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dall’ombre, dalle suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciullo che più sarebbe oppresso e respinto da una rivelazione rapida, spensierata. Se è davvero opportuno seguitare a discutere di simili argomenti, gli opporremo che anche in questa materia non si vive di solo pane; e che, se un’esperienza dell' osceno è necessaria, è necessaria pure un’esperienza del torbido.
«... cest un livre qui brûle les mains pendant qu’on le lit et avec lequel je n’ai jamais voulu me trouver en tête-à-tête tant je crois qu'il est redoutable» — chi legge queste parole capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima torbida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine o di qualche tara che la rode. Infatti chi la pronuncia è l’eroe d’una storia d' «inquiète puberté - cet état physiologique, cette crise où le masculin et le femminin se confondent où le instincts prennent le dessus, où le raisonnement lui même est tout affectif-cet état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. 114 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Gard, ''les Thibault'', annunciano i plurimi sempre uguali saggi su Gide e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero sugli eroi adolescenti che Martin du Gard è andato a scovare. Insomma, di quella stessa creazione ch’egli considera poi malvagia e anche irreale si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento del suo giudizio su Gide e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmente, qualunque libro càpiti di toccare parrà di fuoco. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pretende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e divieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e in qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dall’ombre, dalle suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciullo che più sarebbe oppresso e respinto da una rivelazione rapida, spensierata. Se è davvero opportuno seguitare a discutere di simili argomenti, gli opporremo che anche in questa materia non si vive di solo pane; e che, se un’esperienza dell' osceno è necessaria, è necessaria pure un’esperienza del torbido.