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NOTE E APPUNTI ARTE E VITA MORALE Rileggendo le “Confessions „ Una duplicità intima vizia non l’animo soltanto del Rousseau, ma l’opera sua e fa delle Confessions, in tante parti mirabili, un’opera in troppe altre falsa cd arida. L’arte vuole sguardo limpido e sereno, amore alla realtà, quale essa sia, abbandono ed oblio di sè mer desimi. Troppo sovente invece le Confessions vogliono essere autoapologia, difesa contro accuse.immaginarie o reali: l’autore non può interessarsi alla realtà perchè soltanto lo interessa il suo proposito difensivo. Si rileggano le pagine sul soggiorno a Venezia: l’ambasciatore Montaigu fin dal principio non è uomo con vizi e virtù, ma il nemico di Gian Giacomo. L’antico segretario non vede in lui se non quella persona che non riconobbe i suoi meriti: il lettore vede perciò in (incile pagine non l’ambasciatore, ma il nemico, anzi nemmeno il nemico perchè alla rappresentazione del «nemico» occorrerebbero altre qualità complementari, trascurate dal Rousseau nel suo astio, apprende soltanto i sentimenti di odio e di rancore del Rousseau per quell’individuo.
IL BARETTI

Pag. 89
Il Rousseau ignora la menzogna franca, schietta alla Cellini, che si impossessa della fantasia -e prende forma e costringe chi l’ha finta a viverla: c nemmeno si può dire presenti, come l’Alfieri, quella figura ideale, che noi ci facciamo di noi stessi e che non è in tutto conforme alla realtà, cd è tuttavia vera, perchè in lei crediamo e per lei trascuriamo la realtà che ci circonda, meschina c- insignificante rispetto a quell’ideale vissuto. Il Rousseau non dimentica quella clic è realtà per gli altri, ma entra in polemica coi suoi avversari:
NOTE E APPUNTI

ARTE E VITA MORALE
se egli mente, la sua menzógna è ((nella di chi mira a giustificarsi, che non dice tutto quello che sa o che esagera coscientemente qualcosa e nasconde volontariamente qualche altra: per quanto egli paia persuaso, la sua persuasione non è mai assoluta e totale, non annulla in tutto una voce segreta, che le si oppone e questa cattiva coscienza non soltanto è immorale, ma profondamente antiartistica.
Rileggendo le “ Confessions „

Una duplicità intima vizia non l’animo soltanto
I sottintesi del Rousseau sono ripugnanti, ma, anche lasciando da parte i passi scabrosi e scorrendo i più insignificanti, ci troviamo di fronte a quella cattiva coscienza, che è il vista di origine delle Confessions.
del Rousseau, ma l’opera sua e fa delle

Confessions, in tante parti mirabili, un’opera
Diderot è in prigione a Vincennes. Rien ne peindra jainaìs les angoisses que ma fit sentir le malheur de mon ami. Il Rousseau teme che debba restarvi per tutta la sua vita e scrive una lettera di supplica alla Pompadour.
in troppe altre falsa cd arida. L’arte vuole

sguardo limpido e sereno, amore alla realtà,
J’écrivis à M.me de Pompadour pour la conjurer de le faire relacker, d’pbtenir qu’on m’enfermàl avec lui. Il Rousseau non vuole dare molta importanza al suo atto, la lettera était trop peu raison nable pour ótre efficace, ma aggiunge che dopo la sua lettera il Diderot fu trattato meglio: je ne me flotte qu’elle ait contribué aux udoucissements qu’ on mit quelque temps apris à la captività da fiauvre Diderot. Sembra negare, e tuttavia vuole lasciare il sospetto che quella lettera peu rais on■nable abbia pur avuto qualche risultato, risultato tutt’altro che insignificante, perchè, aggiunge lo scrittore, senza quegli adoucissements, il Diderot sarebbe morto. Il lettore crede che ormai il Rousseau passi ad altro e soltanto pensa che forse la vita del Diderot è dipesa da quella lettera dell’amico generoso:
quale essa sia, abbandono ed oblio di sè mer

desimi. Troppo sovente invece le Confessions
ma al Rousseau la sua azione sembra troppo bella per non soffermarvisi ancora. - Au reste si ma lettre a produit peu d’effett je ne m’en s.itis pas non plus beaucoup fait fualoir, car je n’en parlai qu’à très peu de gens (c qui il colpo finale, con cui si chiude l’episodio e il libro) et jamais à Diderot lui-intime. — Qui il lettore dovrebbe riflettere: — Povero Gian Giacomo così buono e così calunniato! Si adepem per l’amico, e forse lo salva dalla disperazione e dalla morte c non se ne vanta neppure, anzi non ne fa paròla con l’amico salvalo.
vogliono essere autoapologia, difesa contro

accuse.immaginarie o reali: l’autore non
E’, si vede, un dire e uh non dire: le parole sono ispirate non dal desiderio di rappresentare il vero, ma di suscitare un sospetto, e col sospetto un sentimento di ammirazione e di compassione. Vi è sotto la narrazione un sottinteso clic.vizia il libro e lo rende arido e monotono.
può interessarsi alla realtà perchè soltanto lo

interessa il suo proposito difensivo. Si rileggano
Ma sotto il Rousseau corrotto, vizioso, bugiardo, vive un altro Rousseau: nel povero corpo malato, vive un fanciullo, che ama e canta. A questo fanciullo dobbiamo le pagine più belle delle Confessions. Altro è l’individualismo del maniaco die fa di sè stesso il centro dell’miiveiso e sospetta di tutti e teme di essere defraudato di lina lode o ingannato, altro è quello del fanciullo, che ignora l’universo e gode di sè medesimo, dei propri pensieri e delle proprie fantasie, c àura tutto quello che lo circonda, perchè in tutto ritrova il suo animo, perchè tutto fornisce alimento alla sua fantasticheria clic è tutta la sua vita.
le pagine sul soggiorno a Venezia: l’ambasciatore

Montaigu fin dal principio non è
Riso e pianto, che non hanno una ragione determinata eppure allargano ineffabilmente l’animo; fantasie illimitate e sublimi clic ogni determinazione rende vane e meschine, questa è la vita del fanciullo, questa la grande scoperta del Rousseau. Appena egli ritorna in sè stesso e dimentica amici e nomici, ritrova quel fanciullo sempre vivo in lui e rivive i beati istanti di solitudine c le gioie e i dolori brevi ed infiniti. Qui egli è non.più costretto a mentire: la bellezza delle sue pagine sorge dalla loro veracità, chè quel fanciullo è ia sostanza profonda del suo essere, l’ispiratore delle sue concezioni morali, religiose, artistiche.
uomo con vizi e virtù, ma il nemico di Gian

Giacomo. L’antico segretario non vede in lui
Vita fanciullesca è vita libera da ogni vincolo, gioiosa della propria libertà, e sembra rinnovarsi ogni qualvolta noi godiamo della nostra solitudine, dei nostri ricordi, delle nostre fantasticherie. Portate un fanciullo in una società di uomini maturi regolata da leggi e da convenzioni, in cui ognuno per essere sè stesso deve rinunciare e limitarsi e attendere a un determinato lavoro, ed ecco clic tutta quella ricchezza di sentimenti diverrà inutile c pericolosa cd egli si sentirà smarrito c apparirà ridicolo o sciocco. Così gli intensi sentimenti del fanciullo roussoiano si rifiutano ad ogni determinazione: il Rousseau saprà dirvi della gioia del fantasticare, e scriverà la ■enfatica e retorica Nouvelle ilélo’ise, quando vorrà dar fórma alle sue fantasie, dirà, come nessun altro ha saputo dire, rinnovando il mito del paradiso perduto, la sorpresa e la tristezza del fanciullo clic, punito ingiustamente, scopre l’esistenza del male e non ritrova più nelle cose die gli erano care, l’antica gioia, o narrerà del pianto convulso nella camera della cortigiana veneziana, e diverrà, per lo più, falso e astratto quando vorrà dar regole di morale e di educazione: nè parliamo ora della politica, clic, per sua natura, sembra essere agli antipodi della personalità roussoiatia.
se non quella persona che non riconobbe i suoi

meriti: il lettore vede perciò in (incile pagine
Chi ha parlato di panteismo a proposito dell’atiicre del Rousseau per la natura? Nessuna dottrina può costringere questo senso primordiale della vita, tutta gioia o tutto dolore, libera da ogni costrizione esteriore ed interiore.
non l’ambasciatore, ma il nemico, anzi nemmeno

il nemico perchè alla rappresentazione
La natura è l’ambiente di questa libertà fanciullesca, che più non si trova ove sia necessaria la riflessione e il ritegno. - Jamais je n’ai taut pansé, tant cxìsté, tu n! vi cu, tant eie moi, si je ose ninsi dire qui dans ccux (i viaggi) que fai jail seni et à pìed. La vite de la campagne, la succession des aspects agreables, le grand aìr, le grand appetii, la bonne sauté que je gagne en marciumi, la libertà du cabaret, l’eloignement de tout ce qui me fait sentir ma dependence, de tout ce qui me cappelle à ma situation, tout cela degagé mon àme, me donne tine plus grande audace de pensee, me jelle en quelque sorte dans Vini mensile des élres pour les combiners les choisir me les appropriar a mon gré sails gene et sans cf diri-li. Je dispose en maitre de la nature enfiare....
del «nemico» occorrerebbero altre qualità

complementari, trascurate dal Rousseau nel suo
La natura ha nel Rousseau una freschezza e una castità giovanile: i tratti più semplici e più comuni ’acquistano lo stupore di una prima apparizione. Quanti usignoli nella letteratura! Quanti «pianti soavi»! Le note degli usignoli del Rousseau non sono «soavi e scorte», eppure risuonnnò indimenticabili nell’animo nostro. - Je me concitai voluptueusemenl sur la tabletie d’une espèce de niche ou de jaussé porle enfoncée dans un mur de terrasse; le del de mon Ut était forine par les tétes des arbres; un rossignol était firéciscment au dessus de moi: je m’endormis à son chant; mon sommeil fut doux, mon réveil le fui davanlage. - E l’usignolo ritrovato nella seconda primavera delle Charmettcs? - La jote avec laquelle je vis les premiers bourgeons est inexprirnable. Revolt le printenips était pour moi ressusciter en paradis. A peine les neiges commenfaient à fornire que nous qiiittàines noire cachet, el nous fumes assez tot aux Cliarmeltes pour y avoir les prémiccs dii tossiglieli.
astio, apprende soltanto i sentimenti di odio

e di rancore del Rousseau per quell’individuo.
- E quello dcll’Ermitage? - Qttoiqu’ il flit froid et qu’il y cut. ménte encore de la neige, le lene c’ommcnqaìt à ve gè ter: onvoyait des violeltes et des primevcres, Ics bourgeons des arbres commcnfaient à poìndre, et la mal ménte de mon arrivée fut marquee par le premier chant du rossignol qui se fit entendre presque à ma fenétre, dans un bois qui toucliqit la maison. Après un long sommeil, outjliant à mon rcveil ma trasplanlation, je me croyais encore dans la rue de Crenelle, quand rato, si sente chiamato a tradurre in nobili forme il sentimento comune. Non medita, non critica nè fa suo il sentimento altrui, ma lo traduce in forine già consacrate dalla tradizione: la sua cura non è dedicata alle cose, ma alle parole, a questo esercizio di traduzione.
Il Rousseau ignora la menzogna franca,

schietta alla Cellini, che si impossessa della
Egli stesso sente quanto più importanti siano i fatti di tutte le sue parole.
fantasia -e prende forma e costringe chi l’ha

finta a viverla: c nemmeno si può dire presenti,
come l’Alfieri, quella figura ideale, che
noi ci facciamo di noi stessi e che non è in
tutto conforme alla realtà, cd è tuttavia vera,
perchè in lei crediamo e per lei trascuriamo la
realtà che ci circonda, meschina c- insignificante
rispetto a quell’ideale vissuto. Il Rousseau
non dimentica quella clic è realtà per gli
altri, ma entra in polemica coi suoi avversari:
se egli mente, la sua menzógna è ((nella di
chi mira a giustificarsi, che non dice tutto
quello che sa o che esagera coscientemente
qualcosa e nasconde volontariamente qualche
altra: per quanto egli paia persuaso, la sua
persuasione non è mai assoluta e totale, non
annulla in tutto una voce segreta, che le si
oppone e questa cattiva coscienza non soltanto
è immorale, ma profondamente antiartistica.
I sottintesi del Rousseau sono ripugnanti, ma,
anche lasciando da parte i passi scabrosi e
scorrendo i più insignificanti, ci troviamo di
fronte a quella cattiva coscienza, che è il vista
di origine delle Confessions.
Diderot è in prigione a Vincennes. Rien ne
peindra jainaìs les angoisses que ma fit sentir
le malheur de mon ami. Il Rousseau
teme che debba restarvi per tutta la sua vita
e scrive una lettera di supplica alla Pompadour.
J’écrivis à M.me de Pompadour pour la
conjurer de le faire relacker, d’pbtenir qu’on
m’enfermàl avec lui. Il Rousseau non vuole
dare molta importanza al suo atto, la lettera
était trop peu raison nable pour ótre efficace,
ma aggiunge che dopo la sua lettera il Diderot
fu trattato meglio: je ne me flotte qu’elle
ait contribué aux udoucissements qu’ on mit
quelque temps apris à la captività da fiauvre
Diderot. Sembra negare, e tuttavia vuole lasciare
il sospetto che quella lettera peu rais on■nable
abbia pur avuto qualche risultato, risultato
tutt’altro che insignificante, perchè, aggiunge
lo scrittore, senza quegli adoucissements,
il Diderot sarebbe morto. Il lettore crede
che ormai il Rousseau passi ad altro e soltanto
pensa che forse la vita del Diderot è
dipesa da quella lettera dell’amico generoso:
ma al Rousseau la sua azione sembra troppo
bella per non soffermarvisi ancora. - Au
reste si ma lettre a produit peu d’effett je ne
m’en s.itis pas non plus beaucoup fait fualoir,
car je n’en parlai qu’à très peu de gens (c qui
il colpo finale, con cui si chiude l’episodio e
il libro) et jamais à Diderot lui-intime. -- Qui il
lettore dovrebbe riflettere: — Povero Gian
Giacomo così buono e così calunniato! Si adepem
per l’amico, e forse lo salva dalla disperazione
e dalla morte c non se ne vanta neppure,
anzi non ne fa paròla con l’amico salvalo.
E’, si vede, un dire e uh non dire: le
parole sono ispirate non dal desiderio di rappresentare
il vero, ma di suscitare un sospetto,
e col sospetto un sentimento di ammirazione e
di compassione. Vi è sotto la narrazione un
sottinteso clic.vizia il libro e lo rende arido
e monotono.
Ma sotto il Rousseau corrotto, vizioso, bugiardo,
vive un altro Rousseau: nel povero
corpo malato, vive un fanciullo, che ama e
canta. A questo fanciullo dobbiamo le pagine
più belle delle Confessions. Altro è l’individualismo
del maniaco die fa di sè stesso il centro
dell’miiveiso e sospetta di tutti e teme di
essere defraudato di lina lode o ingannato, altro
è quello del fanciullo, che ignora l’universo
e gode di sè medesimo, dei propri pensieri
e delle proprie fantasie, c àura tutto quello
che lo circonda, perchè in tutto ritrova il
suo animo, perchè tutto fornisce alimento alla
sua fantasticheria clic è tutta la sua vita.
Riso e pianto, che non hanno una ragione determinata
eppure allargano ineffabilmente l’animo;
fantasie illimitate e sublimi clic ogni
determinazione rende vane e meschine, questa
è la vita del fanciullo, questa la grande
scoperta del Rousseau. Appena egli ritorna in
sè stesso e dimentica amici e nomici, ritrova
quel fanciullo sempre vivo in lui e rivive i
beati istanti di solitudine c le gioie e i dolori
brevi ed infiniti. Qui egli è non.più costretto
a mentire: la bellezza delle sue pagine sorge
dalla loro veracità, chè quel fanciullo è ia sostanza
profonda del suo essere, l’ispiratore
delle sue concezioni morali, religiose, artistiche.
Vita fanciullesca è vita libera da ogni vincolo,
gioiosa della propria libertà, e sembra
rinnovarsi ogni qualvolta noi godiamo della
nostra solitudine, dei nostri ricordi, delle nostre
fantasticherie. Portate un fanciullo in una
società di uomini maturi regolata da leggi e
da convenzioni, in cui ognuno per essere sè
stesso deve rinunciare e limitarsi e attendere
a un determinato lavoro, ed ecco clic tutta
quella ricchezza di sentimenti diverrà inutile
c pericolosa cd egli si sentirà smarrito c apparirà
ridicolo o sciocco. Così gli intensi sentimenti
del fanciullo roussoiano si rifiutano
ad ogni determinazione: il Rousseau saprà
dirvi della gioia del fantasticare, e scriverà la
■enfatica e retorica Nouvelle ilélo’ise, quando
vorrà dar fórma alle sue fantasie, dirà, come
nessun altro ha saputo dire, rinnovando il
mito del paradiso perduto, la sorpresa e la tristezza
del fanciullo clic, punito ingiustamente,
scopre l’esistenza del male e non ritrova più
nelle cose die gli erano care, l’antica gioia, o
narrerà del pianto convulso nella camera della
cortigiana veneziana, e diverrà, per lo più, falso
e astratto quando vorrà dar regole di morale
e di educazione: nè parliamo ora della
politica, clic, per sua natura, sembra essere
agli antipodi della personalità roussoiatia.
Chi ha parlato di panteismo a proposito
dell’atiicre del Rousseau per la natura? Nessuna
dottrina può costringere questo senso
primordiale della vita, tutta gioia o tutto dolore,
libera da ogni costrizione esteriore ed interiore.
La natura è l’ambiente di questa libertà
fanciullesca, che più non si trova ove sia
necessaria la riflessione e il ritegno. - Jamais
je n’ai taut pansé, tant cxìsté, tu n! vi cu, tant
eie moi, si je ose ninsi dire qui dans ccux (i
viaggi) que fai jail seni et à pìed. La vite de
la campagne, la succession des aspects agreables,
le grand aìr, le grand appetii, la bonne
sauté que je gagne en marciumi, la libertà du
cabaret, l’eloignement de tout ce qui me fait
sentir ma dependence, de tout ce qui me cappelle
à ma situation, tout cela degagé mon
àme, me donne tine plus grande audace de pensee,
me jelle en quelque sorte dans Vini mensile
des élres pour les combiners les choisir me
les appropriar a mon gré sails gene et sans
cf diri-li. Je dispose en maitre de la nature enfiare....
La natura ha nel Rousseau una freschezza
e una castità giovanile: i tratti più
semplici e più comuni ’acquistano lo stupore
di una prima apparizione. Quanti usignoli
nella letteratura! Quanti «pianti soavi»! Le
note degli usignoli del Rousseau non sono
«soavi e scorte», eppure risuonnnò indimenticabili
nell’animo nostro. - Je me concitai voluptueusemenl
sur la tabletie d’une espèce de
niche ou de jaussé porle enfoncée dans un
mur de terrasse; le del de mon Ut était forine
par les tétes des arbres; un rossignol était firéciscment
au dessus de moi: je m’endormis à
son chant; mon sommeil fut doux, mon réveil
le fui davanlage. - E l’usignolo ritrovato nella
seconda primavera delle Charmettcs? - La jote
avec laquelle je vis les premiers bourgeons est
inexprirnable. Revolt le printenips était pour
moi ressusciter en paradis. A peine les neiges
commenfaient à fornire que nous qiiittàines
noire cachet, el nous fumes assez tot aux
Cliarmeltes pour y avoir les prémiccs dii tossiglieli.
- E quello dcll’Ermitage? - Qttoiqu’ il
flit froid et qu’il y cut. ménte encore de la neige,
le lene c’ommcnqaìt à ve gè ter: onvoyait des
violeltes et des primevcres, Ics bourgeons des
arbres commcnfaient à poìndre, et la mal
ménte de mon arrivée fut marquee par le premier
chant du rossignol qui se fit entendre
presque à ma fenétre, dans un bois qui toucliqit
la maison. Après un long sommeil, outjliant
à mon rcveil ma trasplanlation, je me
croyais encore dans la rue de Crenelle, quand
rato, si sente chiamato a tradurre in nobili
forme il sentimento comune. Non medita, non
critica nè fa suo il sentimento altrui, ma lo
traduce in forine già consacrate dalla tradizione: la sua cura non è dedicata alle cose,
ma alle parole, a questo esercizio di traduzione.
Egli stesso sente quanto più importanti
siano i fatti di tutte le sue parole.
Ma qual parlar sì belle opre pareggia?
Ma qual parlar sì belle opre pareggia?

Neppure il poeta crede nella poesia sua, la
Neppure il poeta crede nella poesia sua, la quale, per vero, non è veramente sua, ma traduce un pensiero comune, il pensiero comune ’al popolo di Milano in quei giorni di aprile, in un linguaggio altrettanto comune, il linguaggio del letterato italiano, improntato a un generico petrarchismo, non senza qualche spunto di enfasi mondana.
quale, per vero, non è veramente sua, ma

traduce un pensiero comune, il pensiero comune
Fili che il ver fu delitto, e la Menzogna Corse gridando, minacciosa il ciglio:
’al popolo di Milano in quei giorni di aprile,

in un linguaggio altrettanto comune, il linguaggio
«Io son sola che parlo, io sono il vero», Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna Non fu vergogna anzi gentil consiglio; Chè non è sola lede esser sincero, Nè rischio è bello senza nobil fine.
del letterato italiano, improntato a

un generico petrarchismo, non senza qualche
Or che il superbo morso Ad onesta parola è tolto alfine, Ogni compresso affetto al labbro è corso; Or s’udrà ciò che, sotto il giogo antico.
spunto di enfasi mondana.

Fili che il ver fu delitto, e la Menzogna
Sommesso dapprima esser poeta discorso Al cauto orecchio di fidato amicò.
Corse gridando, minacciosa il ciglio:

«Io son sola che parlo, io sono il vero»,
Passano anni: il Manzoni nella sua solitudine inedita sugli avvéniménti straordinari ai quali ha assistito. La lontananza c il distacco gli fanno intendere ben diversamente quegli eventi: non ne t empie tùia critica politica, come il Foscolo nei Discorsi sulla Servitù d’Italia, chè la passione politica gli è estranea, ma una critica morale. La scomparsa di Napoleone gli fa rivedere in un punto tutta la grande epopea: e il suo silenzio durante la vita di lui gli appare ora dovuto a ben più profonde ragioni, che quelle esposte nei versi citati. - Lui folgorante in soglio vide il mio genio e tacque...
Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna

Non fu vergogna anzi gentil consiglio;
— Soltanto chi aveva serbato il silenzio davanti a Napoleone imperante e a Napoleone caduto poteva essere eletto dalla Provvidenza a esprimere il religioso sbigottimento di fronte a quella grandezza, che fa presentire la onnipotènza divina. E, anziché giudicare come nell’ode inedita la grandezza caduta, il Manzoni sospende ogni giudizio, e, anziché farsi portavoce dei sensi di una folla di uomini, di una nazione o di un partito, si fa portavoce dell’umanità tutta, Ma se non giudica Napoleone, il Manzoni sente il dovere di’ giudicare quegli altri uomini che, nei giorni passati esultarono, maledirono, imprecarono c prima che altri sè stesso che in quei giorni si unì al sentimento generale.
Chè non è sola lede esser sincero,

Nè rischio è bello senza nobil fine.
La grandezza superiore di Napoleone vuole il religioso silenzio che si conviene alla presenza di Dio: la’piccolezza, la debolezza degli, uomini comuni vuole essere giudicata: che sarebbe la nostra vita se noi giudicassimo di continuo negli altri noi medesimi?
Or che il superbo morso

Ad onesta parola è tolto alfine,
Accanto all’epopea, la commedia. Il Manzoni rivede anche sè stesso e i milanési dell’aprile 1S14: si ricorda di quell’esultanza generale, di quel sottinteso che era nei discorsi di tutti: Finalmente si può parlare — , che era il sentimento più profondo, se pure quasi sempre inespresso, di tutte le facili dissertazioni politiche del giorno. Allora tutto quello gli era sembrato un sentiménto nobile e lo aveva rivestito di nobili accenti (Or che il superbo morso - Ad onesta parola è tolto alfine. - Ogni compresso effetto al labbro è corso): ora non tutto in quella gioia gli sembra puro. E quella gioia egli rivede sul volto di don Abbondio alla notizia della morte di Don Rodrigo. La debolezza clic prima sotto il nobile eloquio nascondeva la sua sostanziale comicità («Or s’udrà ciò che sotto il giogo antico, - Sommesso appena esser potea discorso - Al cauto orecchio di fidato amico»), ora svela la sira vera natura. Il silenzio di un giorno e la eloquenza di oggi appaiono effetti della medesi DANZE tout à coup ce ramage me fit tressaìllir ma colpevole debolezza. Certo Don Abbonii usignolo der.’Erm-tage sembra cantare nell’alba gelida del primo fiorire di primavera, l’eterna fanciullezza, sempre viva e simile a sè stessa nonostante il succedersi degli anni c degli eventi, e ad un tempo salutare l’avvento di un’età più giovanile, più schietta, più sana.
Ogni compresso affetto al labbro è corso;

Or s’udrà ciò che, sotto il giogo antico.
Nel libro, viziato da tante menzogne, scritto da un povero malato, è l’annuncio dei prossimo sorgere di spiriti fraterni, se pur più vigorosi c più integri, di Goethe, di Tolstoi, di Leopardi.
Sommesso dapprima esser poeta discorso

Al cauto orecchio di fidato amicò.
La “Fonte „ di un episodio dei Promessi Sposi Nemmeno agli spiriti solitari è sempre dato tenersi immuni dal contatto della folla: vi sono giorni in cui aneli’essi debbono rinunciare al proprio ben scaltrito giudizio, che li distingue dai loro simili, e pensare come tutti pensano, vale a dire, con generosità talvolta, ma più spésso confusamente e male. Persino Alessandro Manzoni non potè sottrarsi al fascino pericoloso di quei giorni: o almeno dobbiamo congetturarlo se leggiamo la canzono «Aprile 1814», scritta il 23 aprile 1S14, due giorni dopo la morte del Prilla, quattro giorni prima clic il commissario imperiale giungesse ili Milano a prenderne possesso in nome delle Potenze vincitrici. La poesia del Manzoni trentenne è delle meno manzoniane: sulle labbra del Manzoni sorgono spontanei i concetti che sono sulle labbra di tutti i milanesi: — Finalmente se ne sono andati! Non più tasse esose, 11011 più coscrizione! — , e con la espressione della gioia per la fine della dominazione francese, la fiducia indistinta nell’avvenire di Milano e dell’Italia, negli alleati magnanimi, che ascolteranno le preghiere dell’Italia «possenti cui par che piaccia ogni più nobil cosa» e nel governo provvisorio». •• jg t.ì e guardingo». Non però il pensiero generale egli lo esprime con le parole di tutti: lettedio che vieti meno ai doveri del suo ministero, c permette al malvagio di compiere i suoi disegni, c si rallegra per la sua morte, è ben lontano dal Manzoni clic per prudenza tace sotto Napoleone ed esulta eli poter celebrare la fine dei mali della sua patria: ma il.Manzoni ci insegna come siano semplici c in apparenza insignificanti le origini delle colpe più gravi.
Passano anni: il Manzoni nella sua solitudine

inedita sugli avvéniménti straordinari ai
E’ così facile il passo dalla debolezza alla colpa!
quali ha assistito. La lontananza c il distacco

gli fanno intendere ben diversamente quegli
Col processo della cianca morale si è svolto nel Manzoni un processo artistico: il sentimento, che egli prima provav a come i suoi concittadini senza meditarlo 0 che traduceva in parole comuni, ora clic egli lo ha compreso nella sua natura e ilei suoi limiti, trova facilmente un tono giusto e manzoniano. Allora il sottinteso di tutti i discorsi egli lo aveva collocato in bella mostra nell’esordio solenne dell’ode: ora invece esso rimane animatore dcT’eloqncnza di Don Abbondio, ma si rifiuta di mostrarsi subito-nel suo vero essere. Si nasconde sotto forme ipocrite, sotto l’abito professionale: — Vedete, figliuoli, se la Provvidenza arriva alla fine certa gente. — ; poi si espande più libero, lira non ancora formulato.
eventi: non ne t empie tùia critica politica, come

il Foscolo nei Discorsi sulla Servitù d’Italia,
Non sembra vero a Don Abbondio di dire ad alta vece in pubblico quei pensieri che fino allora aveva rimuginato in silenzio e che aveva persili- temuto pensare. Ma filialmente la gioia erompe con piena sincerità: e il sottinteso del discorso si formula in parole precise:
chè la passione politica gli è estranea, ma

una critica morale. La scomparsa di Napoleone
— Ci ha dato 1111 gran fastidio a tutti, vedete, ché adesso lo possiamo dire. — Tanto oscure c recondite sono le fonti dello stile, che i letterati credono di conquistare con un arido cd estenuante esercizio! Ma di ben più segreti contrasti che quelli di una sterile ambizione letteraria si alimenta l’arte vera:
gli fa rivedere in un punto tutta la grande

epopea: e il suo silenzio durante la vita di
lui gli appare ora dovuto a ben più profonde
ragioni, che quelle esposte nei versi citati. - Lui
folgorante in soglio vide il mio genio e tacque...
— Soltanto chi aveva serbato il silenzio
davanti a Napoleone imperante e a Napoleone
caduto poteva essere eletto dalla Provvidenza
a esprimere il religioso sbigottimento di
fronte a quella grandezza, che fa presentire la
onnipotènza divina. E, anziché giudicare come
nell’ode inedita la grandezza caduta, il
Manzoni sospende ogni giudizio, e, anziché
farsi portavoce dei sensi di una folla di uomini,
di una nazione o di un partito, si fa portavoce
dell’umanità tutta,
Ma se non giudica Napoleone, il Manzoni
sente il dovere di’ giudicare quegli altri uomini
che, nei giorni passati esultarono, maledirono,
imprecarono c prima che altri sè stesso
che in quei giorni si unì al sentimento generale.
La grandezza superiore di Napoleone
vuole il religioso silenzio che si conviene
alla presenza di Dio: la’piccolezza, la debolezza
degli, uomini comuni vuole essere giudicata: che sarebbe la nostra vita se noi giudicassimo
di continuo negli altri noi medesimi?
Accanto all’epopea, la commedia. Il Manzoni
rivede anche sè stesso e i milanési dell’aprile
1S14: si ricorda di quell’esultanza generale,
di quel sottinteso che era nei discorsi
di tutti: Finalmente si può parlare — , che era
il sentimento più profondo, se pure quasi sempre
inespresso, di tutte le facili dissertazioni
politiche del giorno. Allora tutto quello gli
era sembrato un sentiménto nobile e lo aveva
rivestito di nobili accenti (Or che il superbo
morso - Ad onesta parola è tolto alfine. - Ogni
compresso effetto al labbro è corso): ora non
tutto in quella gioia gli sembra puro. E quella
gioia egli rivede sul volto di don Abbondio
alla notizia della morte di Don Rodrigo. La
debolezza clic prima sotto il nobile eloquio
nascondeva la sua sostanziale comicità («Or
s’udrà ciò che sotto il giogo antico, - Sommesso
appena esser potea discorso - Al cauto
orecchio di fidato amico»), ora svela la sira
vera natura. Il silenzio di un giorno e la eloquenza
di oggi appaiono effetti della medesi
DANZE
tout à coup ce ramage me fit tressaìllir ma colpevole debolezza. Certo Don Abbonii
usignolo der.’Erm-tage sembra cantare nell’alba
gelida del primo fiorire di primavera,
l’eterna fanciullezza, sempre viva e simile a
sè stessa nonostante il succedersi degli anni c
degli eventi, e ad un tempo salutare l’avvento
di un’età più giovanile, più schietta, più sana.
Nel libro, viziato da tante menzogne,
scritto da un povero malato, è l’annuncio dei
prossimo sorgere di spiriti fraterni, se pur più
vigorosi c più integri, di Goethe, di Tolstoi,
di Leopardi.
La “ Fonte „ di un episodio
dei Promessi Sposi
Nemmeno agli spiriti solitari è sempre dato
tenersi immuni dal contatto della folla: vi
sono giorni in cui aneli’essi debbono rinunciare
al proprio ben scaltrito giudizio, che li
distingue dai loro simili, e pensare come tutti
pensano, vale a dire, con generosità talvolta,
ma più spésso confusamente e male. Persino
Alessandro Manzoni non potè sottrarsi al fascino
pericoloso di quei giorni: o almeno dobbiamo
congetturarlo se leggiamo la canzono
«Aprile 1814», scritta il 23 aprile 1S14, due
giorni dopo la morte del Prilla, quattro giorni
prima clic il commissario imperiale giungesse
ili Milano a prenderne possesso in nome delle
Potenze vincitrici. La poesia del Manzoni trentenne
è delle meno manzoniane: sulle labbra
del Manzoni sorgono spontanei i concetti che
sono sulle labbra di tutti i milanesi: — Finalmente
se ne sono andati! Non più tasse
esose, 11011 più coscrizione! — , e con la espressione
della gioia per la fine delia dominazione
francese, la fiducia indistinta nell’avvenire
di Milano e dell’Italia, negli alleati magnanimi,
che ascolteranno le preghiere dell’Italia
«possenti cui par che piaccia ogni più nobil
cosa» e nel governo provvisorio». •• jg t.ì e
guardingo». Non però il pensiero generale
egli lo esprime con le parole di tutti: lettedio
che vieti meno ai doveri del suo ministero,
c permette al malvagio di compiere i suoi
disegni, c si rallegra per la sua morte, è ben
lontano dal Manzoni clic per prudenza tace
sotto Napoleone ed esulta eli poter celebrare la
fine dei mali della sua patria: ma il.Manzoni
ci insegna come siano semplici c in apparenza
insignificanti le origini delle colpe più gravi.
E’ così facile il passo dalla debolezza alla
colpa!
Col processo della cianca morale si è svolto
nel Manzoni un processo artistico: il sentimento,
che egli prima provav a come i suoi concittadini
senza meditarlo 0 che traduceva in
parole comuni, ora clic egli lo ha compreso
nella sua natura e ilei suoi limiti, trova facilmente
un tono giusto e manzoniano. Allora
il sottinteso di tutti i discorsi egli lo aveva
collocato in bella mostra nell’esordio solenne
dell’ode: ora invece esso rimane animatore
dcT’eloqncnza di Don Abbondio, ma si rifiuta
di mostrarsi subito-nel suo vero essere. Si nasconde
sotto forme ipocrite, sotto l’abito professionale: — Vedete, figliuoli, se la Provvidenza
arriva alla fine certa gente. — ; poi si
espande più libero, lira non ancora formulato.
Non sembra vero a Don Abbondio di dire ad
alta vece in pubblico quei pensieri che fino
allora aveva rimuginato in silenzio e che aveva
persili- temuto pensare. Ma filialmente la
gioia erompe con piena sincerità: e il sottinteso
del discorso si formula in parole precise:
— Ci ha dato 1111 gran fastidio a tutti, vedete,
ché adesso lo possiamo dire. —
Tanto oscure c recondite sono le fonti dello
stile, che i letterati credono di conquistare con
un arido cd estenuante esercizio! Ma di ben
più segreti contrasti che quelli di una sterile
ambizione letteraria si alimenta l’arte vera:
che sarebbe dello stile dei «Promessi Sposi»
che sarebbe dello stile dei «Promessi Sposi»

se non si alimentasse di un decennio la critica
morale esercitata dal Manzoni su sè medesimo?
se non si alimentasse di un decennio la critica morale esercitata dal Manzoni su sè medesimo?

Wagner il pedante.
Wagner il pedante.

Pigliando pretesto da recenti numeri di
Pigliando pretesto da recenti numeri di danza di Alexandre Sakharoff al Teatro di Torino, il Prof. Lionello Venturi ha steso brevemente sul Secolo, tempo fa, una cronistoria della danza ìicll’ultimo ventennio. La danza, vanto italiano un tempo, e ai di nostri così amorosamente studiata e rigorosamente coltivata oltralpe e oltreoceano, non «richiama alla memoria» di 1111 italiano odierno, dice il Venturi, «che un paio di gambe di donna magnificamente tornite». Mi piace questa evocazione plastica di una ben determinata forma come indice di un gusto. Difatti il pubblico italiano avrà ammirato Kalsavina. ina non lia morso in quella ch’era la polpa del Balletto Russo, le rade volte che scese in Italia. Passato proprio remoto e irrevocabilmente.
danza di Alexandre Sakharoff al Teatro di

Torino, il Prof. Lionello Venturi ha steso brevemente
Quello che fece non dico la fortuna, ina la vita stessa del Balletto Russo fu l’incontro davvero astrale di Diaghilew, Strawinsky e Njinsky. (E impazzito questo fu gran ventura trovare un Massin da mettere al posto di quell’iiupareggiabìle).
sul Secolo, tempo fa, una cronistoria

della danza ìicll’ultimo ventennio. La danza,
Tutti gli altri nomi, non csclusi quelli di Cecchetti maestro principe se non unico e di Fokin, sono di astri attratti nell’orbita della gran costellazione, cometa migrante, anzi migrata ormai, disciolta ahimè!
vanto italiano un tempo, e ai di nostri così

amorosamente studiata e rigorosamente coltivata
oltralpe e oltreoceano, non «richiama
alla memoria» di 1111 italiano odierno, dice il
Venturi, «che un paio di gambe di donna magnificamente
tornite». Mi piace questa evocazione
plastica di una ben determinata forma
come indice di un gusto. Difatti il pubblico
italiano avrà ammirato Kalsavina. ina non lia
morso in quella ch’era la polpa del Balletto
Russo, le rade volte che scese in Italia. Passato
proprio remoto e irrevocabilmente.
Quello che fece non dico la fortuna, ina la
vita stessa del Balletto Russo fu l’incontro
davvero astrale di Diaghilew, Strawinsky e
Njinsky. (E impazzito questo fu gran ventura
trovare un Massin da mettere al posto di quell’iiupareggiabìle).
Tutti gli altri nomi, non csclusi
quelli di Cecchetti maestro principe se
non unico e di Fokin, sono di astri attratti nell’orbita
della gran costellazione, cometa migrante,
anzi migrata ormai, disciolta ahimè!
senza ritorno.
senza ritorno.

«Poesia colle braccia e colle gambe», dice
«Poesia colle braccia e colle gambe», dice Baudelaire, quella del danzatore. Ma come ogni vera poesia solo se si subordina non dico alla legge del ritmo, ma a una necessità’superiore clic la purifica e in un certo senso la trascende.
Baudelaire, quella del danzatore. Ma come

ogni vera poesia solo se si subordina non dico
Il segreto della perfezione di certe opere, Il Barbiere di Siviglia, poniamo, o La Sonnambula va ricercato, sta bene, nella invenzione poetica die vi si esprime senza soluzione di continuità, ma si badi clic questa perfezione è raggiunta é mantenuta mediante l’inquadramento esteriore così programmàticamente chiuso.
alla legge del ritmo, ma a una necessità’superiore

clic la purifica e in un certo senso la
C’è una gerarchia che deve rigorosamente mantenersi nella esecuzione. Sì che la fantasia ora idillica ora comica è ordinata sempre, mai scapigliata o deliquescente. Si deve ancor ripetere che l’ordine è un buon conduttore della poesia?
trascende.

Il segreto della perfezione di certe opere, Il
Il Balletto Russo giunse un momento a realizzare perfettamente questa che tra i’opere d’arte è la più complessa: lo spettacolo teatrale.
Barbiere di Siviglia, poniamo, o La Sonnambula

va ricercato, sta bene, nella invenzione
Raggiunse la rappresentazione del quadro vivente, dico nel senso più letterale: la visione del poeta uè.l’atto di farsi, di prendere corpo c vivere. Fu la liberazione dal malo incantamento wagneriano. Idolatria per idolatria, a questa i bei Corpi intrccciautisi e snodantisi in giochi fantastici e artisticamente e senza paragone più pura di quell’altra clic si reggeva su così faticosi miti giustificativi che dal filosofico dovevan finire nel religioso.
poetica die vi si esprime senza soluzione di

continuità, ma si badi clic questa perfezione è
Quanto ili movimento suggeriscono in una loro pittura un Botticelli, un Raffaello, un Tintoretto, quanto di plastico suggerisce la musica di un Bach, di un Bcethowen, di un Rossini, il Balletto Russo lo traspose in termini, in forme propri a sè solo, in mi mondo retto come il nostro quotidiano dalle tre dimensioni, sublimato, ma riconoscibile come il Paradiso Terrestre dai suoi primi abitatori; i quali nominaron subito gli animali e le piante e s’inchinarono adorando al Creatore. Mondo in cui legge e libertà s’identificano. Natura primigenia, gerarchica armonia, perduta, e riscoperta ogni volta che il fiat si ripete attraverso la fatica divinatoria dell’artista. Subordinazione di ogni individuo, di ogni elemento a 1111 ordine che: lo trascende e regola.
raggiunta é mantenuta mediante l’inquadramento

esteriore così programmàticamente chiuso.
A questo è giunto il Balletto Russo. Basti citare Petrouchka, le Spectre de la Rose, le Sacre du Printemps. In questi balletti il danzatore dimenticava di chiamarsi Njinsky: non era che materia plastica obbediente all’impulso di una particolare funzione, e in questo limite l’invenzione individuale aveva libero gioco. Le membra del suo corpo concorrevano all’opera generale non altrimenti della massa del corpo di ballo. Ogni organo perfettamente addestrato a servire all’intero organismo. Sì che poi Njinsky e Karsavina, soli sulla scena bastavano a popolarle e indimenticabilmente.
C’è una gerarchia che deve rigorosamente

mantenersi nella esecuzione. Sì che la fantasia
Era veramente lo spettro corporeo di una rosa quello che il sogno della fanciulla evocava; polputo bolide carnicino eliti terminava la sua traiettoria, spiccata chissà di dove, traversando di volo la impannata della finestra e posandosi ai piedi della dormiente.
ora idillica ora comica è ordinata sempre,

mai scapigliata o deliquescente. Si deve ancor
Al signor Alessandro Sakaroff non si può negare il dono del ritmo: si rammentano di lui certo irrigidirsi e allenarsi delle membra nel seguire la sua musica, la felina elasticità di certi abbandoni rotti a mezzo, certi passi così p,recisamente serrati controtempo in una misura come di chi si contraddica per gioco.
ripetere che l’ordine è un buon conduttore della

poesia?
Una certa eleganza preziosa gli tien luogo di prestanza fisica. Gli manca il dono della mimica, cioè il dono dell’invenzione, ch’è l’essenziale specie per chi come lui per sè solo compone le sue figurazioni e le vuol esprimere.
Il Balletto Russo giunse un momento a

realizzare perfettamente questa che tra i’opere
Dirci clic gli manca addirittura l’intelligenza, in quanto utilizzazione dei suoi mezzi, e loro massimo rendimento. Più ancor clic ai gusti del pubblico, è ai suoi stessi che indulge.
d’arte è la più complessa: lo spettacolo teatrale.

Raggiunse la rappresentazione del quadro
Della musica non gl’importa: un ritmo soltanto gli ci vuole, ben scandito, sul quale scivolare (il Capriccio di circo è una delle sue migliori trovate) e snodare, nel tempo più rigoroso, le membra in poche e appena variate mosso, facendo valere le vesti onde si adorna, sontuose e delicate c molli e pesanti e flessuose.
vivente, dico nel senso più letterale: la

visione del poeta uè.l’atto di farsi, di prendere
Non si esce dall’ambito della illustra zione da salotto mondano: non ricerca, ma ricercatezza; ci vediamo spiegato Un virtuosiiio, non più nuovo, se pur squisito nella ''celta dei colori. Rammento nella cosiddetta Visione del 400 il modo con cui sotto alla ricca veste di velluto verde a ricami d’oro, appare
corpo c vivere. Fu la liberazione dal malo
incantamento wagneriano. Idolatria per idolatria,
a questa i bei Corpi intrccciautisi e snodantisi
in giochi fantastici e artisticamente e
senza paragone più pura di quell’altra clic si
reggeva su così faticosi miti giustificativi che
dal filosofico dovevan finire nel religioso.
Quanto ili movimento suggeriscono in una
loro pittura un Botticelli, un Raffaello, un Tintoretto,
quanto di plastico suggerisce la musica
di un Bach, di un Bcethowen, di un Rossini,
il Balletto Russo lo traspose in termini,
in forme propri a sè solo, in mi mondo retto
come il nostro quotidiano dalle tre dimensioni,
sublimato, ma riconoscibile come il Paradiso
Terrestre dai suoi primi abitatori; i
quali nominaron subito gli animali e le piante e
s’inchinarono adorando al Creatore. Mondo in
cui legge e libertà s’identificano. Natura primigenia,
gerarchica armonia, perduta, e riscoperta
ogni volta che il fiat si ripete attraverso
la fatica divinatoria dell’artista. Subordinazione
di ogni individuo, di ogni elemento a
1111 ordine che: lo trascende e regola.
A questo è giunto il Balletto Russo. Basti
citare Petrouchka, le Spectre de la Rose, le
Sacre du Printemps. In questi balletti il danzatore
dimenticava di chiamarsi Njinsky: non
era che materia plastica obbediente all’impulso
di una particolare funzione, e in questo
limite l’invenzione individuale aveva libero
gioco. Le membra del suo corpo concorrevano
all’opera generale non altrimenti della massa
del corpo di ballo. Ogni organo perfettamente
addestrato a servire all’intero organismo. Sì
che poi Njinsky e Karsavina, soli sulla scena
bastavano a popolarle e indimenticabilmente.
Era veramente lo spettro corporeo di una rosa
quello che il sogno della fanciulla evocava;
polputo bolide carnicino eliti terminava la sua
traiettoria, spiccata chissà di dove, traversando
di volo la impannata della finestra e posandosi
ai piedi della dormiente.
Al signor Alessandro Sakaroff non si può
negare il dono del ritmo: si rammentano di
lui certo irrigidirsi e allenarsi delle membra
nel seguire la sua musica, la felina elasticità
di certi abbandoni rotti a mezzo, certi passi
così p,recisamente serrati controtempo in una
misura come di chi si contraddica per gioco.
Una certa eleganza preziosa gli tien luogo di
prestanza fisica. Gli manca il dono della mimica,
cioè il dono dell’invenzione, ch’è l’essenziale
specie per chi come lui per sè solo
compone le sue figurazioni e le vuol esprimere.
Dirci clic gli manca addirittura l’intelligenza,
in quanto utilizzazione dei suoi mezzi,
e loro massimo rendimento. Più ancor clic ai
gusti del pubblico, è ai suoi stessi che indulge.
Della musica non gl’importa: un ritmo soltanto
gli ci vuole, ben scandito, sul quale scivolare
(il Capriccio di circo è una delle sue
migliori trovate) e snodare, nel tempo più
rigoroso, le membra in poche e appena variate
mosso, facendo valere le vesti onde si adorna,
sontuose e delicate c molli e pesanti e flessuose.
Non si esce dall’ambito della illustra
zione da salotto mondano: non ricerca, ma
ricercatezza; ci vediamo spiegato Un virtuosiiio,
non più nuovo, se pur squisito nella
''celta dei colori. Rammento nella cosiddetta
Visione del 400 il modo con cui sotto alla ricca
veste di velluto verde a ricami d’oro, appare
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