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PIERO GOBETTI lite della critica riduce in polvere e lentamente dissolve.
Pag. 80.

IL BARETTI
nelle memorie e i dei suoi Di Pirro Gobetti voglio mettere oggi in carta alcuni ìicordi personali. I.o conobbi quando non era ancora arrivato all’università e già il suo cervello era una fucina di idee, le quali fermavano Tattenzione di chi l’ascoltava, anche per il modo rotto ed inspirato con cui egli le esponeva, accompagnando le parole col moto nervoso delle mani e del capo.
PIERO GOBETTI

lite della critica riduce in polvere e lentamente
All’università, mi organizzò nell’anno in cui volle frequentare il mio corso di finanza, un piccolo pubblico di ascoltatori non obbligati; sicché io, che in quell’anno avevo Intrapreso un insegnamento esegetico su alcuni testi di legge tributaria italiana — e i periti possono ben comprenderne l’aridità noiosa, sebbene voluta — dovetti fare sforzi erculei per trasformare il commento ad articoli di legge in un esercizio di logica economica applicata; e dello sforzo compiuto fui sempre grato al Gobetti perché ne usci un tentativo di mettere ordine nel disordine apparente, di costrurrc un ordine logico deduttivo su materiali frammentari.
dissolve.

nelle memorie e i
Ma le conversazioni migliori che ebbi con lui toccavano quasi sempre il problema del lavoro; e Tessersi egli fatto editore di un mio volume su «Le lotte del lavoro» fu la conseguenza di quelle conversazioni. Egli stesso ha scritto e stampato quel clic, intorno ai problemi del lavoro, pensò; e lo fece certamente meglio di quanto non possa ricostruire io, ricordando le sole cose clic mi rimasero più fitte nella memoria e ricordandole in quel modo approssimativo e vago che il tcmi>o trascorso consente. Tuttavia anche il ricordo altrui può giovare, se non altro, a fermare le sembianze sotto le (piali Tainico fu visto dall’amico e le idee che il sopravissuto potò illudersi di aver fatto conoscere a chi non ò più.
dei suoi

Di Pirro Gobetti voglio mettere oggi in
Vi fu un tempo, dunque, durante il quale Gobetti visse a contatto con operai torinesi, elementi scelti delle maestranze le quali popolano gli stabilimenti della «Fiat» e delle altre imprese nostre. Era un vero «Ordine nuovo n che sembrava allora sorgere; in cui al lavoro clic agisce e pensa era serbato il governo della società. A vantaggio ed istruzione di questa scelta di operai egli teneva qualcosa che non era tuia scuola od una università popolare o proletaria; ma conversazioni e lezioni tra amici e conoscenti, ricordi e ripetizioni di letture fatte, commenti ad articoli di giornali o su fatti del giorno.
carta alcuni ìicordi personali. I.o conobbi

quando non era ancora arrivato all’università
Egli vedeva nel mondo operaio, allora agitato dalle convulsioni del dopo guerra, formarsi i germi di una società nuova, a cui i teorizzatori del tempo davano il nome di comunistica o socialistica, ma clic in realtà era tutt’altra cosa. Non si può dire che Gobetti si fosse fermato neppure sul sindacalismo come su una dottrina atta ad andare in fondo a ciò che accadeva. Al disopra ed al di là dei nomi, egli vedeva le forze nuove, vergini, capaci di creazioni sociali diverse dalle attuali.
e già il suo cervello era una fucina di idee,

le quali fermavano Tattenzione di chi l’ascoltava,
Ci sono negli operai manuali, nei tecnici degli stabilimenti industriali, nei rustici appena tolti alla vanga e gittati nel tormento dei forni e nel rombo assordante del macchinario di fabbrica, energie, forze, volontà le quali ancora non sono state sfruttate; ci sono uomini d’eccezione, capaci di cose notevoli, intelligenze che l’ignoranza soltanto rende incapaci di dare frutti insperati. Il sindacalismo, la conquista delle fabbrica, la vittoria del proletariato sono soltanto gli strumenti, le formule per mezzo di cui riescono ad imporsi gli uomini di valore esistenti nella massa proletaria, e Toro esce purificato dalla bruta ganga appena estratta dalla miniera.
anche per il modo rotto ed inspirato con

cui egli le esponeva, accompagnando le parole
Perciò, egli che pure in sostanza repugnava alla statolatria, ed alla irrcggimentazionc comunistica, fu amico di comunisti, ne apprezzò gli sforzi. Aveva comune con essi il senso della rivoluzione, la quale, anche quando assunse per lui l’aggettivo liberale gli parve necessaria nei momenti delle grandi crisi, per scuotere Torcline costituito e per lasciare venire a galla, al luogo delle vanità fatte persone, uomini energici tratti dalle classi sociali non ancora fruste dall’esercizio del potere politico ed economico.
col moto nervoso delle mani e del capo.

All’università, mi organizzò nell’anno in cui
Sempre si dolse, allora e poi, che purtroppo venissero a galla non gli eroi, che tutti vagheggiavamo, ma puri imitatori, mascherati col rimbombo di assai parole grosse, dei politicanti corruttori venuti su dopo la caduta della destra storica. Il liberalismo concreto delle classi dirigenti italiane gli sembrò perciò ognora assai meschina cosa. Non negava quel che esso ebbe poi di eroico in taluni uomini, i quali videro nella difesa della legalità costituzionale la difesa dei diritti di tutti; ma gli pareva che il liberalismo fosse decaduto al livello di una formula priva di contenuto, usata per tener su gente vecchia, in decadenza, non capace di lottare per il raggiungimento di nuovi ideali. Perciò egli voleva che nella lotta intervenissero le classi operaie; che di dosso ad esse fossero tolti quei pesi morti di ignoranza, di povertà che le tengono in basso ed impediscono alla società intiera di valersi utilielle impressioni maestri mente delle loro forze fresche. Perciò egli era rivoluzionario; che senza un qualche scrollo creativo di una nuova formula gli pareva imjiossibile clic le classi operaie riuscissero a rompere la crosta di posizioni acquisite, di pregiudizi, di convenzionalismi, clic davano il potere sociale ad una classe fossilizzata. Non mi parve mai un ammiratore dei ceti borghesi, che in Italia, dopo la caduta della destra, cimisi ristretti ad occupazioni materiali e, datisi ad arricchire, non sentivano i grandi pioblcmi |Militici e sociali.
volle frequentare il mio corso di finanza, un

piccolo pubblico di ascoltatori non obbligati;
In tutto ciò v’era un tondo generoso di passione umana, di quello spirito di «discesa nel popolo» clic ò caratteristico dei momenti in cui si preparano i grandi rivolgimenti sociali.
sicché io, che in quell’anno avevo Intrapreso

un insegnamento esegetico su alcuni testi di
Pei sonai mente, a me pareva, discorrendo con lui ilei periodo in cui egli aspirava a portare tra gli operai il senso virile del liberalismo concepito come sforzo per educare e migliorare sò stessi, per capire il mondo circostante, por rispettare negli altri la propria personalità, di ritornare un quarto di secolo addietro, quando, poco prima del u;oo, anch’io, frequentando operai ed agitatori avevo creduto ncll’clcvazionc faticosa, meritata, conquistata degli uomini rozzi, cite lavorane colle loro mani, in cui è spesso lauta luce (li fresca, verde, genuina intelligenza. Non ho mai rimpianto quelle vecchie conversazioni ed ancor oggi ho taluno di quei primi agitatori come tra gli uomini migliori, per bontà d’animo e altezza di ideali, che io mi conosca. Ma dubito che la via della elevazione debba essere assai più aspra di quel’a che ingenuamente avevamo intravista.
legge tributaria italiana — e i periti possono

ben comprenderne l’aridità noiosa, sebbene voluta
Non già soltanto perché il movimento operaio, cosi bello negli anni della lotta e della persecuzione innanzi al 1900, sia caduto |>oi troppo spesso preda di profittatori, di politicanti e di chiacchieroni abili. Questi sono soltanto i sintomi di un male più profondo, di cui qualche volta discorrevo con Gobetti, e clic a me pareva consistesse probabilmente nella malvagità innata dell’uomo. Capitai una volta a fargli vedere certe mie non poche schede di appunti l»rcsi leggendo le opere di Le Play, clic gli economisti e gli statistici conoscono per i suoi bilanci di famiglie operaie: — oliera monumentale per fermo, la quale raccomanderà per un gran pezzo agli studiosi il nome dcll’nutorc, come quello del creatore di un metodo originale e preciso di studiare le condizioni sociali dei iiopoli; — ma che dovrebbe anche essere meglio ricordato come apostolo di un verbo sociale.
— dovetti fare sforzi erculei per trasformare

il commento ad articoli di legge in un
Chi il Le Play si mutò da ingegnere di miniere in compilatore di bilanci operai in seguito od una crisi di coscienza sofferta al termine di una lunga malattia; quando per una visione quasi religiosa egli si senti spinto a proclamare la necessità della «riforma sociale»; la quale in sostanza si riduceva poi a combattere la teoria di Rousseau della bontà originaria delTuomo selvaggio, che le istituzioni umane avrebbero corrotto e reso malvagio. Altri, notissimi, pensatori oppugnarono la teoria di Rousseau; ma dubito assai vi sia chi possa eguagliare il Le Play per la ricchezza dei riferimenti tratti dai grandi libri religiosi dclTumniiità e delle osservazioni compiute durante cinquant’anni, setto i più diversi climi storici, in luoghi tra loro lontanissimi, dagli Urali alla Siria, dalla Scandinavia alla Spagna ed al Marocco. Ignoro se vi sia uno scrittore il quale più di lui dia il senso storico di età trascorse: della tribù nomade della Bibbia, del servo della gleba, del compagno della corporazione medievale d’arte e mestieri, del mezzadro italiano, dell’operaio di fabbrica contemporaneo. Questo singolare ingegnere, il quale sarà un giorno studiato come una fónte dì prim’ordine dello storico della Russia j. ma dell’ukase di emancipazione e dallo studioso di forme economiche scomparse, non si stancò mai di ripetere che Rousseau aveva detto il falso e che l’uomo era nato malvagio, crudele, mentitore, ladro e che solo la forza delle istituzioni umane e della religione, solo i legamene della tradizione, delle consuetudini e la virtù dei pastori di popoli, dei notabili — altri poi li chiamò élites e per averli forniti del senso delle combinazioni ossia dell’imbroglio si procacciò gran fama — a poco a poco lo addomesticano, lo frenano, lo riducono a membro vantaggioso della società. Di qui l’utilità delle tradizioni religiosamente osservate, delle istituzioni antiche le quali si impongono ai popoli quasi avessero una virtù soprannaturale; di qui il pericolo sociale gravissimo di scuotere con fatti rivoluzionari quel senso di tabù che mantiene salda la compagine sociale. Se qualcuno, audace o incosciente, rompe l’incanto, si vede che il mondo sociale é tutto un tendone da palcoscenico; e dietro non c’è nulla. Il castello di carta stava in piedi perchè nessuno osava — tanta era la forza dell’incantesimo creata dai secoli — soffiarvi dentro; ma intanto, al riparo dell’incantesimo, vissero per secoli società che il Le Play chiama «prospere» in contrapposto alle società «instabili», che lo spilo non dico che Gobetti sin stato persuaso dagli appunti lc-playani che talvolta gli sfogliavo per pungere e frenare il suo animo forse troppo propenso a vedere il bene dei germi di rivoluzione gittati nel crogiolo sociale. Troppo poteva in lui lo spirito critico, l’insaziato desiderio di rapa e, il convincimento della forza creativa delTintclligonza per acquetarsi alla visione di un mondo governato dalla tradizione, dui notabili, dnlTininiaginc dei castighi annunciati ai disonesti dai versetti della Bibbia e del Corano. L’ingegno umano che uelTindustria moderna è stato capace di creazioni tanto utili alla prosperità materiale, perchè non dovrebbe, affinato dagli stessi mirabili ordigni da lui creati, perfezionare altresì il meccanismo della vita politica e sociale?
esercizio di logica economica applicata; e dello

sforzo compiuto fui sempre grato al Gobetti
Piero Gobetti aveva fede nella potenza rivollv/.ionatrice, nella virtù intima di innalzamento, nella capacità creativa di coloro che vivono quotidianamente accanto alla macchina, fattore- per eccellenza rivoluzionario, il clic vuol dire creativo di forme nuove, del mondo economico.
perché ne usci un tentativo di mettere

ordine nel disordine apparente, di costrurrc
Tuttavia egli, clic era sempre ansioso di far rivivere tra le generazioni nuove il ricordo di qualsiasi corrente oiiginalc del pensiero umano, non cessò mai di invitarmi a divulgare in una qualche lettura ed a raccogliere in un volumetto il succo degli insegnamenti dell’ingegnere autodidatta francese. Amantissimo della 1 iccola famiglia che egli si era creato, idolatrato dai genitori, egli vedeva nettamente clic il culto delle tradizioni, la continuità del focolare domestico, il rispetto al risparmio che costruisce la casa, l’impresa. la terra sono idee forze, le quali hanno aiich’cssc, insieme col pensiero critico e creativo, con la macchina rivoluzionatricc dell’economia e coll’aspirazione profonda delle masse lavoratrici a salire, rompendo l’equilibrio sociale esistente, diritto di cittadinanza, in quella città ideale che egli veniva costruendo nella sua mente, e che è bella perchè non è rigidamente immota; ma continuamente si trasforma sotto la pressione contrastante delle tante forze che- agiscono su di essa. Se i tempi e le forze fisiche, ahimè!, troppo impari al còmpito assunto, glie lo avessero consentito, anch’egli avrebbe creato, nella sua casa editrice, una di quelle forze sociali, uno di quei ligamchli tra uomo e uomo, tra spirito e spirito, i (inali impediscono che la nostra povera umanità si dissolva in un caos indistinto di atomi sperduti nel buio.
un ordine logico deduttivo su materiali frammentari.

Ma le conversazioni migliori che ebbi con
lui toccavano quasi sempre il problema del
lavoro; e Tessersi egli fatto editore di un mio
volume su «Le lotte del lavoro» fu la conseguenza
di quelle conversazioni. Egli stesso ha
scritto e stampato quel clic, intorno ai problemi
del lavoro, pensò; e lo fece certamente
meglio di quanto non possa ricostruire io, ricordando
le sole cose clic mi rimasero più
fitte nella memoria e ricordandole in quel
modo approssimativo e vago che il tcmi>o trascorso
consente. Tuttavia anche il ricordo altrui
può giovare, se non altro, a fermare le
sembianze sotto le (piali Tainico fu visto dall’amico
e le idee che il sopravissuto potò illudersi
di aver fatto conoscere a chi non ò più.
Vi fu un tempo, dunque, durante il quale
Gobetti visse a contatto con operai torinesi,
elementi scelti delle maestranze le quali popolano
gli stabilimenti della «Fiat» e delle
altre imprese nostre. Era un vero «Ordine
nuovo n che sembrava allora sorgere; in cui
al lavoro clic agisce e pensa era serbato il
governo della società. A vantaggio ed istruzione
di questa scelta di operai egli teneva
qualcosa che non era tuia scuola od una università
popolare o proletaria; ma conversazioni
e lezioni tra amici e conoscenti, ricordi e ripetizioni
di letture fatte, commenti ad articoli
di giornali o su fatti del giorno.
Egli vedeva nel mondo operaio, allora agitato
dalle convulsioni del dopo guerra, formarsi
i germi di una società nuova, a cui i
teorizzatori del tempo davano il nome di comunistica
o socialistica, ma clic in realtà era
tutt’altra cosa. Non si può dire che Gobetti
si fosse fermato neppure sul sindacalismo come
su una dottrina atta ad andare in fondo a
ciò che accadeva. Al disopra ed al di là dei
nomi, egli vedeva le forze nuove, vergini, capaci
di creazioni sociali diverse dalle attuali.
Ci sono negli operai manuali, nei tecnici degli
stabilimenti industriali, nei rustici appena
tolti alla vanga e gittati nel tormento dei
forni e nel rombo assordante del macchinario
di fabbrica, energie, forze, volontà le quali
ancora non sono state sfruttate; ci sono uomini
d’eccezione, capaci di cose notevoli, intelligenze
che l’ignoranza soltanto rende incapaci
di dare frutti insperati. Il sindacalismo,
la conquista delle fabbrica, la vittoria del proletariato
sono soltanto gli strumenti, le formule
per mezzo di cui riescono ad imporsi
gli uomini di valore esistenti nella massa proletaria,
e Toro esce purificato dalla bruta
ganga appena estratta dalla miniera.
Perciò, egli che pure in sostanza repugnava
alla statolatria, ed alla irrcggimentazionc comunistica,
fu amico di comunisti, ne apprezzò
gli sforzi. Aveva comune con essi il senso della
rivoluzione, la quale, anche quando assunse
per lui l’aggettivo liberale gli parve necessaria
nei momenti delle grandi crisi, per scuotere
Torcline costituito e per lasciare venire a galla,
al luogo delle vanità fatte persone, uomini
energici tratti dalle classi sociali non ancora
fruste dall’esercizio del potere politico ed economico.
Sempre si dolse, allora e poi, che purtroppo
venissero a galla non gli eroi, che tutti
vagheggiavamo, ma puri imitatori, mascherati
col rimbombo di assai parole grosse, dei politicanti
corruttori venuti su dopo la caduta della
destra storica. Il liberalismo concreto delle
classi dirigenti italiane gli sembrò perciò ognora
assai meschina cosa. Non negava quel che
esso ebbe poi di eroico in taluni uomini, i
quali videro nella difesa della legalità costituzionale
la difesa dei diritti di tutti; ma gli pareva
che il liberalismo fosse decaduto al livello
di una formula priva di contenuto, usata per
tener su gente vecchia, in decadenza, non
capace di lottare per il raggiungimento di
nuovi ideali. Perciò egli voleva che nella lotta
intervenissero le classi operaie; che di dosso
ad esse fossero tolti quei pesi morti di ignoranza,
di povertà che le tengono in basso ed
impediscono alla società intiera di valersi utilielle
impressioni
maestri
mente delle loro forze fresche. Perciò egli era
rivoluzionario; che senza un qualche scrollo
creativo di una nuova formula gli pareva imjiossibile
clic le classi operaie riuscissero a
rompere la crosta di posizioni acquisite, di pregiudizi,
di convenzionalismi, clic davano il potere
sociale ad una classe fossilizzata. Non mi
parve mai un ammiratore dei ceti borghesi,
che in Italia, dopo la caduta della destra,
cimisi ristretti ad occupazioni materiali e, datisi
ad arricchire, non sentivano i grandi
pioblcmi |Militici e sociali.
In tutto ciò v’era un tondo generoso di passione
umana, di quello spirito di «discesa nel
popolo» clic ò caratteristico dei momenti in
cui si preparano i grandi rivolgimenti sociali.
Pei sonai mente, a me pareva, discorrendo con
lui ilei periodo in cui egli aspirava a portare
tra gli operai il senso virile del liberalismo
concepito come sforzo per educare e migliorare
sò stessi, per capire il mondo circostante, por
rispettare negli altri la propria personalità, di
ritornare un quarto di secolo addietro, quando,
poco prima del u;oo, anch’io, frequentando
operai ed agitatori avevo creduto ncll’clcvazionc
faticosa, meritata, conquistata degli uomini
rozzi, cite lavorane colle loro mani, in cui
è spesso lauta luce (li fresca, verde, genuina
intelligenza. Non ho mai rimpianto quelle vecchie
conversazioni ed ancor oggi ho taluno di
quei primi agitatori come tra gli uomini migliori,
per bontà d’animo e altezza di ideali,
che io mi conosca. Ma dubito che la via della
elevazione debba essere assai più aspra di
quel’a che ingenuamente avevamo intravista.
Non già soltanto perché il movimento operaio,
cosi bello negli anni della lotta e della persecuzione
innanzi al 1900, sia caduto |>oi troppo
spesso preda di profittatori, di politicanti e di
chiacchieroni abili. Questi sono soltanto i sintomi
di un male più profondo, di cui qualche
volta discorrevo con Gobetti, e clic a me pareva
consistesse probabilmente nella malvagità
innata dell’uomo. Capitai una volta a fargli
vedere certe mie non poche schede di appunti
l»rcsi leggendo le opere di Le Play, clic gli economisti
e gli statistici conoscono per i suoi
bilanci di famiglie operaie: — oliera monumentale
per fermo, la quale raccomanderà per un
gran pezzo agli studiosi il nome dcU’nutorc,
come quello del creatore di un metodo originale
e preciso di studiare le condizioni sociali
dei iiopoli; — ma che dovrebbe anche essere
meglio ricordato come apostolo di un verbo sociale.
Chi il Le Play si mutò da ingegnere di
miniere in compilatore di bilanci operai in seguito
od una crisi di coscienza sofferta al termine
di una lunga malattia; quando per una
visione quasi religiosa egli si senti spinto a
proclamare la necessità della «riforma sociale»;
la quale in sostanza si riduceva poi a combattere
la teoria di Rousseau della bontà originaria
delTuomo selvaggio, che le istituzioni
umane avrebbero corrotto e reso malvagio. Altri,
notissimi, pensatori oppugnarono la teoria
di Rousseau; ma dubito assai vi sia chi possa
eguagliare il Le Play per la ricchezza dei riferimenti
tratti dai grandi libri religiosi dclTumniiità
e delle osservazioni compiute durante
cinquant’anni, setto i più diversi climi
storici, in luoghi tra loro lontanissimi, dagli
Urali alla Siria, dalla Scandinavia alla Spagna
ed al Marocco. Ignoro se vi sia uno scrittore
il quale più di lui dia il senso storico di
età trascorse: della tribù nomade della Bibbia,
del servo della gleba, del compagno della corporazione
medievale d’arte e mestieri, del
mezzadro italiano, dell’operaio di fabbrica
contemporaneo. Questo singolare ingegnere, il
quale sarà un giorno studiato come una fónte
dì prim’ordine dello storico della Russia
j. ma dell’ukase di emancipazione e dallo
studioso di forme economiche scomparse,
non si stancò mai di ripetere che Rousseau
aveva detto il falso e che T uomo
era nato malvagio, crudele, mentitore, ladro
e che solo la forza delle istituzioni umane
e della religione, solo i legamene della tradizione,
delle consuetudini e la virtù dei pastori
di popoli, dei notabili — altri poi li chiamò
élites e per averli forniti del senso delle combinazioni
ossia dell’imbroglio si procacciò gran
fama — a poco a poco lo addomesticano, lo
frenano, lo riducono a membro vantaggioso
della società. Di qui l’utilità delle tradizioni
religiosamente osservate, delle istituzioni antiche
le quali si impongono ai popoli quasi
avessero una virtù soprannaturale; di qui il
pericolo sociale gravissimo di scuotere con
fatti rivoluzionari quel senso di tabù che mantiene
salda la compagine sociale. Se qualcuno,
audace o incosciente, rompe l’incanto, si vede
che il mondo sociale é tutto un tendone da
palcoscenico; e dietro non c’è nulla. Il castello
di carta stava in piedi perchè nessuno osava
— tanta era la forza dell’incantesimo creata
dai secoli — soffiarvi dentro; ma intanto, al
riparo dell’incantesimo, vissero per secoli società
che il Le Play chiama «prospere» in contrapposto
alle società «instabili», che lo spilo
non dico che Gobetti sin stato persuaso
dagli appunti lc-playani che talvolta gli sfogliavo
per pungere e frenare il suo animo forse
troppo propenso a vedere il bene dei germi di
rivoluzione gittati nel crogiolo sociale. Troppo
poteva in lui lo spirito critico, l’insaziato
desiderio di rapa e, il convincimento della
forza creativa delTintclligonza per acquetarsi
alla visione di un mondo governato dalla tradizione,
dui notabili, dnlTininiaginc dei castighi
annunciati ai disonesti dai versetti della
Bibbia e del Corano. L’ingegno umano che
uelTindustria moderna è stato capace di creazioni
tanto utili alla prosperità materiale, perchè
non dovrebbe, affinato dagli stessi mirabili
ordigni da lui creati, perfezionare altresì
il meccanismo della vita politica e sociale?
Piero Gobetti aveva fede nella potenza rivoUv/.ionatrice,
nella virtù intima di innalzamento,
nella capacità creativa di coloro che
vivono quotidianamente accanto alla macchina,
fattore- per eccellenza rivoluzionario, il clic
vuol dire creativo di forme nuove, del mondo
economico.
Tuttavia egli, clic era sempre ansioso di
far rivivere tra le generazioni nuove il ricordo
di qualsiasi corrente oiiginalc del pensiero
umano, non cessò mai di invitarmi a divulgare
in una qualche lettura ed a raccogliere in un
volumetto il succo degli insegnamenti dell’ingegnere
autodidatta francese. Amantissimo
della 1 iccola famiglia che egli si era creato,
idolatrato dai genitori, egli vedeva nettamente
clic il culto delle tradizioni, la continuità del
focolare domestico, il rispetto al risparmio che
costruisce la casa, l’impresa. la terra sono
idee forze, le quali hanno aiich’cssc, insieme
col pensiero critico e creativo, con la macchina
rivoluzionatricc dell’economia e coll’aspirazione
profonda delle masse lavoratrici a salire,
rompendo l’equilibrio sociale esistente,
diritto di cittadinanza, in quella città ideale
che egli veniva costruendo nella sua mente, e
che è bella perchè non è rigidamente immota;
ma continuamente si trasforma sotto la pressione
contrastante delle tante forze che- agiscono
su di essa. Se i tempi e le forze fisiche,
ahimè!, troppo impari al còmpito assunto,
glie lo avessero consentito, anch’egli avrebbe
creato, nella sua casa editrice, una di quelle
forze sociali, uno di quei ligamchli tra uomo e
uomo, tra spirito e spirito, i (inali impediscono
che la nostra povera umanità si dissolva in
un caos indistinto di atomi sperduti nel buio.
Luigi Einaudi.
Luigi Einaudi.

Nulla è più doloroso per un vecchio maestro
Nulla è più doloroso per un vecchio maestro che dover commemorare un giovine scolaro, e uno scolaro come quello che ora il destino ci ha tolto. E’ contro natura. E torna alla mente la querela accorata del filosofo greco, che tutta l’atrocità della guerra compendiava nel détto famoso: «E’ questo il tempo che non i figli seppelliscono i padri, tua i padri i figli».
che dover commemorare un giovine scolaro,

e uno scolaro come quello che ora il destino
Non mai discepolo ha percorso innanzi ai miei occhi, ornai da lunga esperienza fatti acuti nel penetrare l’anima dei giovani, uno pnrahola di formazione autonoma e di virile maturazione più sorprendentemente rapida e più promettente di quella del povero Gobetti.
ci ha tolto. E’ contro natura. E torna

alla mente la querela accorata del filosofo
A dire la verità — e innanzi a un uomo quale egli fu la verità va eletta sempre per intero — la linea dei nostri rapporti, da docente a discente, era partita, se così posso esprimermi, dallo zero. Non lo avevo compreso, quando dapprima — or fa poco più di un lustro — vidi comparire alla mia scuola quel giovinette, il cui nome era già frammischiato a parecchie delle iniziative più eterodosse, più indisciplinate e scapigliate, e a cui un scintillìo d’occhi davvero stellare e un sorriso arguto di continuo errante dagli occhi alla bocca fresca ma dolorosa davano — almeno visti alla distanza da una cattedra a un banco di scuola — l’aria di una presa in giro sistematica e un poco iconoclastica. Del resto, egli non mi dissimulò mai che in realtà alle mie lezioni non ci si divertiva affatto, e che nè materia nè maestro gli andavano gran che a genio.
greco, che tutta l’atrocità della guerra compendiava

nel détto famoso: «E’ questo il
E’ bisognato che i nostri così male impostati e impacciati rapporti accademici doppiassero il capo delle tempeste dclTcsame finale — e fu davvero una piccola burrasca — perchè vedessimo aprirsi innanzi a noi un inare, uno sconfinato mare xli serena simpatia, di piena confidenza e di reciproca comprensione.
tempo che non i figli seppelliscono i padri,

tua i padri i figli».
E fu allora ch’io compresi il vero Gobetti ed imparai a scorgere, in quel sorriso che pareva enigmatico e in quel scintillio d’occhi che pareva canzonatorio, tesori di sincerità e di lealtà, di gentilezza e di finezza, e sopratutto della più pura idealità. E mi racconsolo, ora; pensando che anch’egli mostrò di aver capito ch’io non ero poi quel parruccone pedante, che forse egli si era immaginato.
Non mai discepolo ha percorso innanzi ai

miei occhi, ornai da lunga esperienza fatti
D’altra parte, quella dello scolaro non era evidentemente la vocazione e la posizione che convenisse a una natura come la sua. Egli assurse difatti, e si può dire quasi di un balzo, a quella di maestro. E quel maestro, nel senso più umano e direi umanistico, e cioè più bello ed alto della parola, egli ci sorpassò immediatamente tutti. Intorno a lui si raetxilsero subito, da una cerchia che si veniva facendo sempre più ampia, molte più forze giovanili, che a noi non sin riuscito in molti anni. Tant’è vero che vale più un solo limpido esempio che mille sapientissimi insegnamenti! Erano parecchie di quelle anime, pur della sua già più esperte della vita; erano ingegni, pur del suo più nutriti di stud: e anzi cultori ornai celebrati delle arti più varie, clic tuttavia avevano trovato in quel sincero e coraggioso ragazzo, poco più che ventenne, il loro punto di comune riferimento e di orientazione, la personificazione più schietta e completa di quell’: (leale di vita dello spirito e insieme di vita civile, a cui essi anelavano ma clic non erano riusciti da parte loro ad attuare che per frammenti.’ Ma anche i vecchi maestri ebbero ben presto la sensazione che e’era qualcosa da imparare da quello scolaro: la fedeltà irremovibile ni proprii principii, e la incondizionata dedizione ai proprii ideali. Per questo la sua fu una vita brevissima, si, ma bellissima. Fu, non un principio di vita «troncata, ma una vita, pur nel suo fulmineo ciclo, perfetta e conclusa. Fu una vita esemplare per tutti. L’ardore incomparabile di quella esistenza consumò rapidamente il fragile involucro; ma fu quella una fiammata magnifica, il cui fulgore vincerà il teinjio. E torna pur sempre, irresistibile, alle labbra la sublime sentenza: «Muor giovine colui clic agli Dei è caro».
acuti nel penetrare l’anima dei giovani, uno

pnrahola di formazione autonoma e di virile
maturazione più sorprendentemente rapida e
più promettente di quella del povero Gobetti.
A dire la verità — e innanzi a un uomo
quale egli fu la verità va eletta sempre per
intero — la linea dei nostri rapporti, da docente
a discente, era partita, se così posso
esprimermi, dallo zero. Non lo avevo compreso,
quando dapprima — or fa poco più di
un lustro — vidi comparire alla mia scuola
quel giovinette, il cui nome era già frammischiato
a parecchie delle iniziative più eterodosse,
più indisciplinate e scapigliate, e a cui
un scintillìo d’occhi davvero stellare e un sorriso
arguto di continuo errante dagli occhi
alla bocca fresca ma dolorosa davano — almeno
visti alla distanza da una cattedra a un
banco di scuola — l’aria di una presa in giro
sistematica e un poco iconoclastica. Del resto,
egli non mi dissimulò mai che in realtà alle
mie lezioni non ci si divertiva affatto, e che
nè materia nè maestro gli andavano gran che
a genio.
E’ bisognato che i nostri cosi male impostati
e impacciati rapporti accademici doppiassero
il capo delle tempeste dclTcsame finale
— e fu davvero una piccola burrasca —
perchè vedessimo aprirsi innanzi a noi un
inare, uno sconfinato mare xli serena simpatia,
di piena confidenza e di reciproca comprensione.
E fu allora ch’io compresi il vero Gobetti
ed imparai a scorgere, in quel sorriso che
pareva enigmatico e in quel scintillio d’occhi
che pareva canzonatorio, tesori di sincerità e
di lealtà, di gentilezza e di finezza, e sopratutto
della più pura idealità. E mi racconsolo,
ora; pensando che anch’egli mostrò di aver
capito ch’io non ero poi quel parruccone pedante,
che forse egli si era immaginato.
D’altra parte, quella dello scolaro non era
evidentemente la vocazione e la posizione che
convenisse a una natura come la sua. Egli assurse
difatti, e si può dire quasi di un balzo,
a quella di maestro. E quel maestro, nel senso
più umano e direi umanistico, e cioè più bello
ed alto della parola, egli ci sorpassò immediatamente
tutti. Intorno a lui si raetxilsero subito,
da una cerchia che si veniva facendo sempre
più ampia, molte più forze giovanili, che
a noi non sin riuscito in molti anni. Tant’è
vero che vale più un solo limpido esempio che
mille sapientissimi insegnamenti! Erano parecchie
di quelle anime, pur della sua già più
esperte della vita; erano ingegni, pur del suo
più nutriti di stud: e anzi cultori ornai celebrati
delle arti più varie, clic tuttavia avevano
trovato in quel sincero e coraggioso ragazzo,
poco più che ventenne, il loro punto di comune
riferimento e di orientazione, la personificazione
più schietta e completa di quell’: (leale
di vita dello spirito e insieme di vita civile,
a cui essi anelavano ma clic non erano riusciti
da parte loro ad attuare che per frammenti.’
Ma anche i vecchi maestri ebbero ben presto
la sensazione che e’era qualcosa da imparare
da quello scolaro: la fedeltà irremovibile ni
proprii principii, e la incondizionata dedizione
ai proprii ideali. Per questo la sua fu una vita
brevissima, si, ma bellissima. Fu, non un principio
di vita «troncata, ma una vita, pur nel
suo fulmineo ciclo, perfetta e conclusa. Fu
una vita esemplare per tutti. L’ardore incomparabile
di quella esistenza consumò rapidamente
il fragile involucro; ma fu quella una
fiammata magnifica, il cui fulgore vincerà il
teinjio. E torna pur sempre, irresistibile, alle
labbra la sublime sentenza: «Muor giovine
colui clic agli Dei è caro».
Piero Gobetti è morto in terra di Francia.
Piero Gobetti è morto in terra di Francia.

E pensando a quel povero morto, che mi fu e
E pensando a quel povero morto, che mi fu e mi diventava ognora più caro, mi risovvieuc un episodio del temilo della guerra,, che mi fu narrato appunto in terra di Francia. Un vecchio contadino era stato chiamato da uno dei villaggi vicini al fronte presso In salma di un figlio clic vi era caduto; e «piando fu in cospetto del morto, lungi dall’abbandonarsi a manifestazioni di dolore e di amore, si profondeva in segni del più profondo rispetto; e, infine, richiesto del perchè, rispose: «Perchè mi sembra clic il padre ora sia lui».
mi diventava ognora più caro, mi risovvieuc

un episodio del temilo della guerra,, che mi
E anche a me, pensando a quel mio discepolo, morto in condizioni così pietose, mentre cercava in paese straniero nuovo spazio alla vita del suo spirito, sembra che oramai il maestro sia lui.
fu narrato appunto in terra di Francia. Un

vecchio contadino era stato chiamato da uno
dei villaggi vicini al fronte presso In salma di
un figlio clic vi era caduto; e «piando fu in
cospetto del morto, lungi daU’abbandonarsi a
manifestazioni di dolore e di amore, si profondeva
in segni del più profondo rispetto; e, infine,
richiesto del perchè, rispose: «Perchè
mi sembra clic il padre ora sia lui».
E anche a me, pensando a quel mio discepolo,
morto in condizioni così pietose, mentre
cercava in paese straniero nuovo spazio alla
vita del suo spirito, sembra che oramai il
maestro sia lui.
Francesco U ufe ini.
Francesco U ufe ini.

Napoli, 24 febbraio 1926.
Napoli, 24 febbraio 1926.

Mi reputo ad onore potere aggiungere il
Mi reputo ad onore potere aggiungere il mio ai nomi degli amici ed estimatori di Piero Gobetti, venticinquenne, clic a me, vecchio di settantotto anni, è toccato piangere amaramentc per la sua crudele e improvvisa morte! Appena cessata la guerra, io volli tener dietro alle non poche pubblicazioni periodiche giovanili, clic seguiron immediatamente alTarmistizio; e più delle altre ini colpirmi quelle, per Tnppunto del Gobetti, a me ignoto sino allora, ma con cui ebbi subito occasione di scambiare, per lèttera, il saluto. Nel suo viaggio di nozze, io qui lo conobbi in jnin casa, unitamente con In gentile sposa: e qui 10 rividi l’anno dopo, al suo ritorno dalla.Sicilia, egli non nascondendo a me, nè io a lui, 11 pensiero e- Tanimo, se non in tutto conformi, piename nte di accordo in tutto quello che è virtù e devozione alla patria. Or anche volendo, io non jxitrei uè saprei dire abbastanza come e quanto, un anno più dell’altro, egli mi apparve singolarissimo, sia per dirittura inorale sia per energia di carattere. E assai addolorandomi della nemica sorte, che vie più gl’incrudcliva contro, oh, ben io ero lungi le mille miglia dal sospettare, che, da un istantc all’altro, mi sarebbe avvenuto di leggere deila pietosa sua fine, tanto lontano da’ suoi cari e dalla sua Torino, in una camera di una lontana*clinica straniera! Ho qui dinnanzi la ultima sua lettera, senza data — uè io ricordo se del 31 gennaio o del i° coi rente — clic mi dice: «Parto per Parigi, dove farò l’editore «francese, ossia il mio mestiere che in Italia «mi è interdetto. A Parigi non intendo fare «del libcllismo, o della polemica spicciola come «i granduebi spodestati di Russia: vorrei fare «un’opera di cultura nel senso del liberalismo «europeo e della democrazia moderna». Povero amico! Che la pura e cara tua memoria mi accompagni in quel tanto di solitario cammino, che ancora mi avanza Giustino Fortunato.
mio ai nomi degli amici ed estimatori di

Piero Gobetti, venticinquenne, clic a me, vecchio
Essere ad ogni momento noi, realizzare tutta la nostra possibilità di azione per noi e per gli altri in ogni istante, sentire il palpito esultante ed inebbrianle della vita, sempre, e non come mezzo a questa o quella Pallida idealità cvanascenle, ma in sè e per sò come mezzo e fine alla idealità stessa che sprigiona dal suo intimo. Attingere in tale fede la capacità e la forza di rinnovarsi ad ogni istante, vedere la vita come umanità che si svolge e si supera, debolezza che si vince senza arrestarsi mai, concretezza in cui ogni umile atto acquista la sua santità, la sua consacrazione perchè è atto nostro: ecco la gioia ed il significato dell’essere, la divinità del tempo che è progresso in cui muore l’ostacolo!
di settantotto anni, è toccato piangere amaramentc

per la sua crudele e improvvisa
morte! Appena cessata la guerra, io volli tener
dietro alle non poche pubblicazioni periodiche
giovanili, clic seguiron immediatamente
alTarmistizio; e più delle altre ini colpirmi
quelle, per Tnppunto del Gobetti, a me
ignoto sino allora, ma con cui ebbi subito occasione
di scambiare, per lèttera, il saluto. Nel
suo viaggio di nozze, io qui lo conobbi in jnin
casa, unitamente con In gentile sposa: e qui
10 rividi l’anno dopo, al suo ritorno dalla.Sicilia,
egli non nascondendo a me, nè io a lui,
11 pensiero e- Tanimo, se non in tutto conformi,
piename nte di accordo in tutto quello che è
virtù e devozione alla patria. Or anche volendo,
io non jxitrei uè saprei dire abbastanza
come e quanto, un anno più dell’altro, egli
mi apparve singolarissimo, sia per dirittura
inorale sia per energia di carattere. E assai
addolorandomi della nemica sorte, che vie
più gl’incrudcliva contro, oh, ben io ero lungi
le mille miglia dal sospettare, che, da un istantc
all’altro, mi sarebbe avvenuto di leggere
deila pietosa sua fine, tanto lontano da’ suoi
cari e dalla sua Torino, in una camera di una
lontana*clinica straniera! Ho qui dinnanzi la
ultima sua lettera, senza data — uè io ricordo
se del 31 gennaio o del i° coi rente — clic mi
dice: «Parto per Parigi, dove farò l’editore
«francese, ossia il mio mestiere che in Italia
«mi è interdetto. A Parigi non intendo fare
«del libcllismo, o della polemica spicciola come
«i granduebi spodestati di Russia: vorrei fare
«un’opera di cultura nel senso del liberalismo
«europeo e della democrazia moderna». Povero
amico! Che la pura e cara tua memoria
mi accompagni in quel tanto di solitario cammino,
che ancora mi avanza
Giustino Fortunato.
Essere ad ogni momento noi, realizzare tutta
la nostra possibilità di azione per noi e per
gli altri in ogni istante, sentire il palpito esultante
ed inebbrianle della vita, sempre, e non
come mezzo a questa o quella Pallida idealità
cvanascenle, ma in sè e per sò come mezzo e
fine alla idealità stessa che sprigiona dal suo
intimo. Attingere in tale fede la capacità e la
forza di rinnovarsi ad ogni istante, vedere la
vita come umanità che si svolge e si supera,
debolezza che si vince senza arrestarsi mai,
concretezza in cui ogni umile atto acquista la
sua santità, la sua consacrazione perchè è atto
nostro: ecco la gioia ed il significato dell’essere,
la divinità del tempo che è progresso in
cui muore l’ostacolo!
(da «Energie Nuove», 1919).
(da «Energie Nuove», 1919).
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