Le rime della Selva/Parte seconda/A una statua di San Giovanni Nepomuceno: differenze tra le versioni

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Santo patrono e massajo,
Sempre al medesimo posto?
Sia che ne agghiacci il gennajo,
Sia che ne avvampi l’agosto?
 
Sempre tra l’erta e la china?
Sempre di costa alla strada,
Ove più d’uno cammina
Senza saper dove vada?
 
In rivederti mi sento
Allargar l’anima. — Tu,
Ah, tu non pieghi a ogni vento,
Giusta l’usanza dei più.
 
Nè muti volto secondo
Chi ti si para davanti:
(Per un brav’uomo un po’ tondo,
Almeno dieci furfanti);
 
Ma sovra un piccolo sasso,
Come un estatico ammodo,
Senza mai andare a spasso
Te ne stai diritto e sodo.
 
Te ne stai lì con un’aria
Di povertà soddisfatta,
Di santità catafratta,
E d’indulgenza plenaria.
 
Quanto t’ammiro e t’invidio,
O caro santo dabbene,
Mentre m’affoga il fastidio,
E chi lo ha se lo tiene!
 
Quanto t’invidio e t’ammiro,
Mentre il destin m’apparecchia
Forse un novissimo tiro,
Forse una trappola vecchia!
 
Tra le amorevoli braccia
Tu ti stringi il crocifisso,
E puoi ben ridere in faccia
Ai diavoli dell’abisso;
 
Ma noi, mal seme d’Adamo,
Se un diavolo ci molesta,
Noi oramai non sappiamo
Come più tenergli testa.
 
E ciò perchè con la fede
È morta la carità;
E chi non ama non crede:
Ecco la gran verità.
 
Ah, perchè non fui un santo,
Un bravo santo ancor io?
O che ci vuole poi tanto
Ad esser umile e pio?
 
A voler bene al fratello,
A far con gioja il dovere,
A non cercar nel bordello
Il così detto piacere?
 
Non ci vuol quasi nïente
Solo un po’ di pazïenza,
E saper dire al serpente:
"Non mi bisogna; fo senza.
 
Non mi bisogna il tuo pomo,
Raggirator maledetto:
Vogl’essere un galantomo,
Un sant’omo, a tuo dispetto....
 
Ed anche di più d’un’Eva,
Là, nei giardini d’Ausonia....
Ah, credi forse ch’io beva
Ogni lor dolce fandonia?
 
Ah, credi forse che basti
Una gentil paroletta
Contro i propositi casti
D’un’anima benedetta?
 
Io del tuo pomo fo senza,
Perchè ne conosco il germe,
La radice, la semenza,
E so che dentro c’è il verme.
 
Lucido e sano di fuori
Putrido e scuro di dentro!...
Il mondo che tu rinfiori
Ha un grosso verme nel centro."
 
Far senza! Aver bene in testa
Che tutto va alla rovina!
È questa, bindoli, è questa
La sola buona dottrina;
 
La verità sempre nuova
Che dalle cose si spreme;
La sapïenza che giova
Al corpo e all’anima insieme.
 
Ogni altro salmo e vangelo
È cantafavola amara,
Che promettendovi il cielo,
L’inferno sol vi prepara.
 
Se fossi un santo, a quest’ora
Forse l’imagine mia
Sarebbe venuta fuora
In cromolitografia.
 
Avrei di mistico lume
Suffusa la fronte e il ciglio,
Nell’una mano un volume,
Nell’altra mano un bel giglio;
 
E rassomiglierei molto,
Nella serafica e vaga
Espressïone del volto,
A San Luigi Gonzaga.
 
La tenera penitente,
Con amoroso rispetto,
Per ben avermi presente
M’appenderebbe sul letto;
 
E in gonnellino, la sera,
Mi direbbe sospirando:
"O caro santo, che fiera
Lotta! a voi mi raccomando!"
 
Ed io lascerei dall’alto
Cader sovr’essa un’occhiata
Così benigna e beata
Da intenerire uno smalto.
 
Mah!... Ora è tardi. La cima
Non si conquista d’un tratto.
Dovevo pensarci prima.
Ora quel ch’è fatto è fatto.
 
E quel ch’è fatto è tal groppo
Che nemmen Dio può disfarlo,
Mentre il ricordo è, pur troppo,
L’indistruttibile tarlo;
 
Il tarlo che sempre rode,
Il tarlo che non dà pace,
Sin tanto che fra due prode
Un pover uomo non giace.
 
Posso pentirmi, se voglio;
Ma quanto a diventar santo,
Sarebbe peccar d’orgoglio
Il mai presumere tanto.
 
Del resto.... Non sono, è vero,
Un santo; ma, soprattutto,
Non sono adesso, e non ero
Nemmen prima, un farabutto.
 
Le mie le ho fatte, sicuro;
E non le ho punto scordate;
Ma se le ho fatte, vi giuro
Che le ho anche pagate.
 
E pagate a caro prezzo,
Con poche e piccole more;
Pagate pezzo per pezzo,
E troppo più del valore.
 
Sicchè di dir non mi périto
Che tale qual pajo e sono,
Al chiuder dei conti merito,
Se non iscusa, perdono.
 
O caro santo, mi strazia
Questo rancor chiuso e muto:
O non potresti, di grazia,
Venirmi un poco in ajuto?
 
Son così stanco ed affranto,
E pur da me mi divoro!
O non potresti, buon santo,
Darmi un pochin di ristoro?
 
Tu sei di pietra, lo so;
Ma forse intendi ed ascolti
Chi più del giusto pagò,
Chi a te pregando si volti.
 
Forse è più molle e clemente
La pietra che non il core
Dell’animale che mente
L’imagine del Signore.
 
Ah, lasciam ire quel ''forse'':
So che tu fai tante grazie!...
Per poco che sian soccorse,
Le voglie mie saran sazie.
 
Io non ti chiedo già nulla
Di quanto appare e dispare:
Oro, incenso.... erba trastulla!
Che ne dovrei dunque fare?
 
Io non ti chiedo le glorie,
Nè le delizie del mondo:
Per le vesciche e le scorie
Nutro un disprezzo profondo.
 
Io, se nel dir non eccedo,
Se d’ascoltarmi ti piace,
Io solamente ti chiedo
Di farmi finire in pace.
 
In pace! È questa la cosa
Migliore! poi, senza chiasso,
Scombiccherare in un sasso:
''Tizio alla fine riposa.''
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