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Versione delle 03:25, 19 mar 2016

370 quella parte che non era diventata una guaina. Per que¬ sto movimento mi parve piuttosto meditabondo che spasi¬ mante dal dolore. Forse ciò che produce il dolore nei grandi organismi, nei piccolissimi può ridursi fino a di¬ venire un’esperienza nuova, un solletico al pensiero. Lo ficcai nell’acqua calandovelo, come mi fu detto da Guido, per dieci braccia. Dopo di me Carmen e Guido calarono le loro lenze. Guido aveva ora a poppa anche un remo col quale spingeva la barca con l’arte che occorreva per¬ chè le lenze non s’aggrovigliassero. Pare che Luciano non fosse ancora al caso di dirigere in tale modo la barchetta. Del resto Luciano aveva ora l’incarico della piccola rete con la quale avrebbe levalo dall’acqua il pesce portalo dall’amo fino alla superficie. Per lungo tempo egli non ebbe nulla da fare. Guido ciarlava molto. Chissà che non sia stato attaccalo a Carmen dalla sua passione per l’inse¬ gnamento piuttosto che dall’amore. Io avrei voluto non starlo a sentire per continuare a pensare al piccolo ani¬ maletto che tenevo esposto alla voracità dei pesci, sospeso nell’acqua e che coi cenni della testolina — se li conti¬ nuava anche in acqua — avrebbe adescato meglio il pe¬ sce. Ma Guido mi chiamò ripetute volte e dovetti star a sentire la sua teoria sulla pesca. Il pesce avrebbe toccato varie volte l’esca e noi l’avremmo sentito, ma dovevamo guardarci del tirare la lenza finché non si fosse tesa. Al¬ lora dovevamo essere pronti per dare lo strappo che a- vrebbe infilzato sicuramente l’amo nella bocca del pesce. Guido come al solilo, fu lungo nelle sue spiegazioni. Voleva spiegarci chiaramente quello che avremmo sen¬ tito nella mano quando il pesce avrebbe annusato l’amo. E continuava le sue spiegazioni quando io e Carmen co¬ noscevamo già per esperienza la quasi sonora ripercus¬