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277 reno e probabilmente con lo stesso risultato. Continuai ad osservarmi per intendere come fossi arrivato a quel pensiero malvagio di danneggiare mio suocero. E m’ac¬ corsi d’essere stanco, mortalmente stanco. Se tutti aves¬ sero saputo quale giornata io avevo trascorsa, m’avreb¬ bero scusato. Avevo presa e violentemente abbandonata per ben due volte una donna ed ero ritornato due volte a mia moglie per rinnegare anche lei per due volte. La mia fortuna fu che allora, per associazione, nel mio ricordo fece capolino quel cadavere su cui invano avevo tentato di piangere, e il pensiero alle due donne spar¬ ve; altrimenti avrei finito col parlare di Carla. Non a- vevo sempre il desiderio di confessarmi anche quando non ero reso più magnanimo dall’azione del vino? Finii col parlare del Copler. Volevo che tutti sapessero che quel giorno avevo perduto il mio grande amico. Avreb¬ bero scusato il mio contegno. Gridai che il Copler era morto, veramente morto e che fino ad allora ne avevo taciuto per non rattristarli. Guarda! Guarda! Ecco che finalmente sentii salirmi le lacrime agli occhi e dovetti volgere altrove lo sguardo per celarle. Tutti risero perchè non mi credettero e allora inter¬ venne l’ostinazione ch’è proprio il carattere più eviden¬ te del vino. Descrissi il morto: — Pareva scolpito da Michelangelo, così rigido, nel¬ la pietra più incorruttibile. Ci fu un silenzio generale interrotto da Guido che esclamò : — E adesso non senti pili il bisogno di non rattri¬ starc